venerdì 9 maggio 2014

Politica/mente

politica

 

La politica senza politica
di Anselm Jappe

All'inizio, il "primato della politica" è stato l'idea che recava il marchio di fabbrica del giurista del Führer, Carl Schmitt. Ma da un po' di tempo, la sinistra "radicale" ha attaccato il suo carro ai buoi del "ritorno della politica", supponendo che la politica sia l'opposto del "mercato". Dobbiamo allora convincerci che l'opposizione al capitalismo, o i suoi derivati contemporanei, passi attraverso quello che viene comunemente chiamato politica? E' ovvio che non sarebbe cambiato niente se fosse stato eletto Royal, al posto di Sarkozy. E anche se i trotzkisti - i quali hanno preso il posto dei socialdemocratici che, a loro volta, sono diventati liberali - fossero andati al potere in Francia, il mondo non sarebbe andato sottosopra. In Germania, il Partito del Socialismo Democratico" partecipa ai governi regionali; in Italia, Rifondazione Comunista ha i suoi ministri; anche i centri sociali italiani, spesso considerati la crema della crema della lotta, mandano qualche vicesindaco in municipio. Dovunque, questi rappresentanti della sinistra "radicale"finiscono per sostenere le politiche neoliberiste. Abbiamo, quindi, bisogno di formare "veri" partiti radicali? Partiti che non affondino in queste paludi? Oppure le ragioni di questi "tradimenti" sono strutturali; facendo sì che ogni istanza di partecipazione alla politica, porti inevitabilmente ad arrendersi al mercato e alle sue leggi, a prescindere da ogni intenzione soggettiva di fare il contrario?
Sembra opportuno porre una domanda preliminare: che cosa si intende con il termine "politica"? In questo incontriamo una confusione simile a quella che tormenta il "lavoro" e la sua critica. Criticare il lavoro, per quasi tutti non ha senso e si identifica il lavoro con l'attività produttiva in quanto tale, che è indubbiamente un fatto stabilito, presente in ogni società umana. Ma le cose cambiano non appena per lavoro intendiamo quello che questa parola effettivamente definisce nella società capitalista: il dispendio auto-referenziale di energia umana senza alcuna considerazione per il suo contenuto. Così concepito, il lavoro è un fenomeno storico che pertiene esclusivamente alla società capitalista e che può essere criticato ed eventualmente abolito. Così, il "lavoro", che tutti gli attori della scena politica, sinistra, destra e centro, vogliono salvare, è il lavoro così come lo intendiamo in questo senso ristretto.
Allo stesso modo, il concetto di politica va definitivamente chiarito. Essa viene identificata con l'azione collettiva, con l'intervento cosciente degli uomini nella società, con "l'amore per il mondo"(Arendt), ed è ovvio che nessuno si può opporre ad essa e che una "critica della politica" può solo essere concepita come mera indifferenza nei confronti del mondo. Ma quelli che comunemente invocano un "ritorno alla politica" hanno un'idea più specifica di cosa sia la "politica", quella politica la cui scomparsa presunta causa crisi di astinenza così gravi. L'evocazione rituale della "politica" come solo modo possibile di cambiare il mondo è il concetto di base dell'odierna "sinistra", da sociologhi Bourdieisti alla Moltitudine, da ATTAC all'elettorato "radicale" di sinistra. Nonostante la loro esplicita intenzione a creare una "differente complessità" politica, soccombono ripetutamente al "realismo" ed al "male minore", partecipano alle elezioni, rispettano i risultati dei referendum, discutono la possibile evoluzione del Partito Socialista, cercano di fare alleanze per arrivare ad un "compromesso storico. In opposizione a questo desiderio di "giocare il gioco" - e quasi sempre come "rappresentanti" di qualche "interesse" - dobbiamo ricordare quei movimenti e quei momenti di opposizione radicale impegnata nella "anti-politica": dagli anarchici storici alle avanguardie artistiche, da alcuni movimenti nel Sud del mondo, come Critica Radical a Fortaleza (Brasile), agli scioperi a gatto selvaggio nel Maggio '68 in Francia e allo stato continuo di insubordinazione nelle fabbriche italiane durante tutti gli anni 1970. Questa "anti-politica" è altrettanto remota quanto lo è il rifiuto dell'intervento cosciente dei movimenti "anti-arte", il rifiuto dell'arte nel caso dei dadaisti, dei surrealisti o dei situazionisti, che non era un rifiuto del mezzo artistico ma, al contrario, era visto come l'unico modo per rimanere fedeli agli intenti originali dell'arte.
Ma qualcuno può pensare che la politica sia la sfera sociale che potrebbe consentire di mettere dei limiti al Mercato? Che la politica sia per natura "democratica" ed in opposizione al mondo economico capitalista, dove governa la legge del più forte?
La moderna società capitalista, basata sulle merci e sulla competizione universale, ha bisogno di una dimensione che si assuma la responsabilità di quelle pubbliche strutture senza le quali non potrebbe esistere. Questa dimensione è lo Stato, e la politica, nel moderno (e ristretto) significato del termine, è la lotta per assumere il controllo dello Stato. Ma questa sfera della politica non è esterna o alternativa alla sfera dell'economia delle merci. Al contrario, è strutturalmente dipendente da essa. Nell'arena politica, l'oggetto del contendere è la distribuzione dei frutti del sistema delle merci - il movimento operaio ha giocato essenzialmente tale ruolo - ma non la sua esistenza. La prova visibile: in politica non è possibile niente che non sia stato precedentemente "finanziato" dalla produzione di merci, ed ogni volta che quest'ultima esce dai suoi binari, la politica diventa uno scontro fra bande armate. Questo tipo di "politica" è un meccanismo regolatore secondario all'interno del sistema feticista ed inconscio delle merci. Non rappresenta una dimensione "neutrale" o una conquista da strappare, da parte dei movimenti di opposizione, alla borghesia capitalista. Perché, in effetti, quest'ultima non è necessariamente ostile allo Stato o alla sfera pubblica; tutto dipende dal periodo storico.
I sostenitori contemporanei della "politica" tradiscono la loro intenzione originale ad "agire" dal momento che riducono quest'azione a dei ritocchi alla macchina che accettano in quanto tale. Oggi, la "azione" deve confrontarsi con situazioni che sono troppo gravi per essere affrontate coi vecchi metodi politici. D'ora in poi, si procede nel quadro di una vera e propria mutazione antropologica regressiva, che è il risultato di più di due secoli di capitalismo e, allo stesso tempo, della sua programmata auto-distruzione, diventata evidente negli ultimi decenni. Questa regressione ci conduce all'imbarbarimento. Il verificarsi costante di incidenti, come quelli che vedono coinvolti adolescenti i quali, scherzando e ridendo, usano un cellulare per registrare il video di una compagna di scuola che viene investita da un autobus, in modo da poterlo poi mettere su youtube, non può essere sufficientemente spiegato da cose  come la disoccupazione, la precarietà ed il fallimento delle nostre scuole. Sostengo che invece stiamo assistendo ad una "regressione antropologica" generalizzata (che non vuol dire che essa si manifesti in modo uniforme), la quale appare essere il prodotto di un profondo disordine psicologico collettivo, la conseguenza del feticismo delle merci e della relazione che le merci impongono sul modo in cui l'individuo interagisce col mondo. Di fronte alla crisi di civiltà, nessuno è in grado di proporre, onestamente, un rimedio a breve termine. Anzi, proprio perché la situazione è così grave, si rafforza il male dicendo: dobbiamo agire velocemente, e non importa quale forma prenda l'azione, non abbiamo tempo per dibattere, la prassi vale più della teoria. In quest'era di capitalismo finanziario e molecolare, non possiamo accontentarci di forme di opposizione dell'era fordista.
Una precondizione per ristabilire la prospettiva d'azione è quella di compiere una rottura chiara e definitiva con tutta la "politica" in senso istituzionale. Oggi, la sola forma di "politica" possibile è la separazione radicale dal mondo della politica e delle sue istituzioni, di rappresentanza e delega, per poter inventare una nuova forma di intervento diretto con cui sostituirla. In questo contesto, la cosa più inutile che si possa fare è quella di dibattere con persone che vogliono ancora votare. Con coloro i quali, quasi 140 anni dopo l'introduzione del suffragio universale, ancora affollano le urne, servono solo le parole pronunciate da Octave Mirabeau, nel 1888 (1), o da Albert Libertad, nel 1906 (2). La conquista del suffragio universale è stata una delle grandi battaglie della sinistra storica. L'elettore di destra, comunque, non è così sciocco: a volte prende quel poco che si aspetta dal suo candidato, anche quando quel poco non si trova nella piattaforma elettorale del suo partito (per esempio, la tolleranza nei confronti dell'evasione fiscale e della violazione delle leggi sul lavoro). I suoi rappresentanti non lo tradiscono troppo; e l'elettore che vota solo per il candidato che darà un lavoro a suo figlio o che farà ottenere alcuni sussidi al contadino nel suo distretto, è, dopo tutto, l'elettore più razionale. Molto più imbecille l'elettore di sinistra: anche se non ha mai ottenuto quello per cui ha votato, persiste. Non ha ottenuto né il grande cambiamento, e neppure le briciole. Si lasca cullare da mere promesse. Questo è il motivo per cui, coloro che votano in Italia per Berlusconi non sono affatto degli stupidi: non sono stati sedotti dalle sue reti televisive, come vorrebbero far credere i suoi avversari. Hanno ottenuto benefici limitati, ma molto reali, dal suo governo (e soprattutto dalla sua politica del lasciar-fare). Ma continuare a votare per la sinistra quando è già stata al governo - e qui possiamo vedere quanta ragione abbia Mirabeau - si avvicina al regno del patologico.
Il rifiuto della "politica" così concepito non è il prodotto di un gusto estetico per l'estremismo. Di fronte alla regressione antropologica che ci minaccia, fare appello al Parlamento è come cercare di calmare un uragano per mezzo di una marcia di protesta. Le sole proposte "realistiche" - nel senso che potrebbero cambiare effettivamente l corso degli eventi - sono del seguente tipo: l'immediata abolizione, a partire da domani, di tutta la televisione. C'è un partito in tutto il mondo che avrebbe il coraggio di abbracciare una simile proposta? Quali misure sono state adottate nel corso degli ultimi decenni che potrebbero rallentare davvero l'avanzare della barbarie? Si potrebbe dire che pochi piccoli passi sono meglio di niente. Ma quali di questi piccoli passi sono stati fatti? Trent'anni fa, gli elementi più coraggiosi proposero una legge che avrebbe stabilito un giorno alla settimana senza televisione. Oggi, abbiamo centinai di canali televisivi. Se non è stato fatto niente per impedire questa continua degenerazione, significa che gli obiettivi e i metodi erano sbagliati e che noi dobbiamo pensare qualcos'altro. Ed è evidente che questo non può essere fatto trattando il pubblico con i guanti, e neppure tenendo conferenze televisive.
Ci sono alcuni esempi di azione anti-politica: i "mietitori volontari" anti-OGM, specialmente quelli che operano di notte, ristabilendo così una connessione con la tradizione del sabotaggio, invece di assecondare i media, e quelle azioni che hanno l'obiettivo di prevenire la video-sorveglianza, danneggiando le apparecchiature di rilevamento biometrico. Si possono citare anche i residenti del Val di Susa, che in varie occasioni hanno bloccato la costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità sulle loro montagne. Questa predominanza di lotte "difensive" non è necessariamente un'indicazione dell'assenza di una prospettiva più ampia. Al contrario, queste lotte contro i peggiori "fenomeni dannosi" aiutano a mantenere aperto il percorso verso una tale prospettiva. E' necessario quanto meno preservare la possibilità per un'emancipazione futura contro la disumanizzazione imposta dalla merce, la quale ci espone al pericolo che ci si possa definitivamente precludere la possibilità di un'alternativa. Questo apre la strada ad opportunità di nuovi fronti e di nuove alleanze. Ci sono questioni, come l'espropriazione fatta agli individui della loro propria riproduzione biologica, correntemente pubblicizzata sotto la rubrica di "tecnologie di fecondazione artificiale", in rapporto alle quali le posizioni della sinistra modernista sono pienamente conformi ai folli schemi di onnipotenza tecnologica contemporanea, rispetto alle quali persino le posizioni del Papa sembrano acquistare una certa aria di razionalità. L'opposto della barbarie è l'umanizzazione, un concetto che è reale abbastanza, ma difficile da definire. Un tipo possibile di "politica" oggi dovrebbe consistere nella difesa delle vittorie minori, ottenute storicamente nella strada verso l'umanizzazione, in opposizione alla sua abolizione. Il capitalismo contemporaneo non è solo l'ingiustizia economica che troviamo sempre al centro della discussione, e la sua lista di misfatti non è minimamente completata dalle catastrofi ambientali che causa. Esso è anche uno smantellamento - una "decostruzione" - delle basi simboliche e psicologiche della cultura umana, cosa specialmente evidente nel processo di de-realizzazione che è stato lanciato dai mezzi di comunicazione elettronica. Riguardo a questo aspetto del problema, non ha importanza se la facci che compare sullo schermo del computer sia quella di Sarkozy o di Royal, di Besncenot o di Le Pen.
Dobbiamo reinventare una pratica senza cedere alla richiesta di "fare qualcosa e farlo velocemente", che porta sempre ad una nuova versione di cose che abbiamo già provato ed abbiamo trovato insufficienti. Il vero problema è il confinamento generale - un confinamento che è soprattutto mentale - nella forma feticista di esistenza, che colpisce tanto gli avversari quanto i sostenitori del sistema delle merci (3). La lotta per rompere con queste forme che sono ancorate nelle menti di ognuno, per riuscire a privare della loro aria di innocenza, il denaro e le merci, la competizione ed il lavoro, lo stato e lo "sviluppo", il progresso e la crescita, dipende da quelle "battaglie teoriche" che si situano oltre la contrapposizione fissata fra "teoria" e "prassi". Perché l'analisi della logica delle merci, o del patriarcato, dovrebbe essere "mera" teoria, mentre qualsiasi sciopero operaio, e qualsiasi dimostrazione studentesca, che protesta perché l'università non dà loro una preparazione sufficiente per aver successo sul mercato del lavoro, dovrebbe invece essere vista come "prassi" o come "politica"?
Prima di agire, gli uomini pensano e sentono, ed il modo in cui agiscono deriva da che cosa pensano e sentono. Cambiare il modo in cui gli uomini pensano e sentono è già una forma di azione, una forma di prassi. Una volta che ci sia una coscienza chiara, almeno da parte di una minoranza, degli obiettivi di un'azione, questa può essere svolta rapidamente. Bisogna ricordarsi del maggio '68, a prima vista sorprendente, ma in realtà preparato silenziosamente da lucide minoranze. Oppure, da un'altra parte, spesso abbiamo visto - e soprattutto nella rivoluzione russa - dove portano anche le migliori opportunità d'azione, quando manca un reale chiarimento teorico preliminare. Tale chiarimento non deve trovarsi necessariamente nei libri e nelle riunioni, ma dev'essere presente nella mente delle persone. Invece di identificare la politica con le pubbliche istituzioni della società delle merci, si potrebbe identificare con la prassi in generale. Ma questa prassi non dev'essere astrattamente opposta alla teoria. La teoria di cui stiamo parlando non è la serva della prassi, e neppure la sua preparazione, ma una parte integrale di essa. Il feticismo non è una serie di false rappresentazioni; esso è l'insieme di forme - come il denaro - nelle quali la vita reale si svolge all'interno di una società capitalista. Ogni passo avanti verso la comprensione teorica, così come la sua diffusione, è di per sé un atto pratico.
Certo, questo non è abbastanza. Le future forme di prassi saranno certamente molto diverse e comporteranno anche forme difensive di lotta a livello di riproduzione materiale (come lotte contro il lavoro precario e contro la distruzione del Welfare). E mentre è necessario rompere con la "politica" che propone solo di difendere, dentro il quadro del mercato, gli interessi delle categorie sociali costituite sulla logica feticista del mercato stesso, seguendo le linee di "acquisire potere", è nondimeno necessario impedire allo sviluppo capitalistico di distruggere le basi di sopravvivenza per grandi settori della popolazione e di generare nuove forme di povertà, le quali sono spesso più il risultato dell'esclusione che dello sfruttamento. In questi giorni, essere sfruttati è diventato quasi un privilegio, confrontato al destino delle masse di quelli che sono stati dichiarati "superflui" perché non sono più "redditizi" (cioè, non possono essere proficuamente usati per produrre merci). La reazione dei "superflui", comunque, assume molte differenti forme e può, essa stessa, tendere alla barbarie. Il fatto che uno sia vittima non gli conferisce nessuna garanzia di integrità morale. Oggi, molto più di prima, un fatto riveste la massima importanza: il comportamento degli individui in risposta alle vicissitudini della vita sotto il capitalismo, non è il risultato meccanico della loro "situazione sociale", o dei loro "interessi", o del loro background geografico, etnico o religioso, o del loro genere e del loro orientamento sessuale. Non possiamo predire la risposta di ciascuno al crollo del capitalismo nella barbarie. Questo non a causa di una "individualizzazione" presumibilmente generalizzata, nella quale i sociologhi fanno rientrare tutti,
lodandola, in modo da non dover parlare della crescente standardizzazione che essa nasconde. Ma le linee di divisione non sono più create dallo sviluppo capitalista. Proprio come la barbarie può crescere dovunque, nelle scuole superiori della Finlandia e nelle baraccopoli africane, fra i Bobos (***Nota: in francese, per Bobo - contrazione di "bourgeois-bohème" -  si intende quella categoria socioprofessionale che abita i grandi centri urbani, le cui simpatie vanno alla sinistra ecologista, che vota a sinistra ma ha il portafoglio a destra) e le gang dei ghetti, fra i soldati high-tech e fra i ribelli disarmati, allo stesso modo lo può fare dovunque anche la resistenza alla barbarie e l'impulso verso l'emancipazione sociale (pure fra molte difficoltà), anche laddove nessuno se lo aspetterebbe. Sebbene nessuna singola categoria sociale abbia risposto alla chiamata di coloro che cercano l'agente dell'emancipazione sociale, nondimeno l'opposizione alle condizioni inumane di vita sotto il capitalismo riemerge sempre. Questo paesaggio che pullula di falsi amici e di inaspettati complici costituisce il terreno, distinguibile, necessariamente, solo in modo vago al presente, nel quale tutte le "ricomposizioni politiche" dovranno avere luogo.

 - Anselm Jappe - da "Crédit à Mort: La décomposition du capitalisme et ses critiques", Éditions Lignes, Fécamp, 2011 -

(1) "C'è qualcosa che mi stupisce enormemente. In effetti, mi piacerebbe dire che mi stupisce, e che, nello scientifico momento in cui scrivo, dopo innumerevoli esperienze, dopo gli scandali quotidiani, possa ancora esistere nella nostra cara Francia (...) un votante, un singolo votante - questo irrazionale, inorganico, allucinatorio animale - che acconsenta a porre fine ai suoi affari, ai suoi sogni, ed ai suoi piaceri, per poter votare a favore di qualcuno o di qualcosa. Se pensiamo a questa cosa solo per un istante, un tale sorprendente fenomeno non è forse in grado di confondere i filosofi più sottili e di confondere la ragione stessa? Dov'è il Balzac in grado di consegnarci la fisiologia del moderno elettore, oppure lo Charcot che possa spiegarci l'anatomia e la mentalità di questo incurabile lunatico? (...) Hanno votato ieri, voteranno domani, e lo faranno sempre. Le pecore che vanno al macello, non dicono niente e non sperano niente. Ma almeno non votano per il macellaio che le ucciderà, e per il borghese che le mangerà. Più bestiale delle bestie, più appecorato delle pecore, l'elettore chiama il suo macellaio e sceglie il suo borghese. Ha fatto rivoluzioni per conquistare questo diritto (...) Come ti ho detto, buon uomo, va' a casa e vai a scioperare." (pubblicato su Le Figaro, 28 novembre 1888, e ripubblicato in "Octave Mirabeau - La Grève des électeurs" 2007).
 
(2) "Il criminale è l'elettore. (...) La scelta è tua, tu l'elettore, tu, che accetti ciò che esiste; tu, che, con il tuo voto, sancisci tutta la tua miseria; tu, che, votando, consacri la tua servitù. (...) Tu sei una minaccia per noi, uomini liberi, anarchici. Tu sei pericoloso quanto i tiranni, come i padroni a cui ti consegni, chi voti, chi eleggi, chi sostieni, chi nutri, chi proteggi con le tue baionette, chi difendi con la tua forza bruta, chi aduli con la tua ignoranza, chi legittimi con la tua scheda e chi ci imponi per mezzo della tua imbecillità. (...) Se i candidati avidi di mandati e ripieni di stupidità, ti grattano la schiena e pizzicano il culo della tua sovranità di carta; se ti intossichi dell'incenso e delle promesse in cui sei stato immerso da coloro che ti hanno sempre tradito, chi ti ha ingannato prima e chi ti ingannerà di nuovo domani; questo è perché tu sei come loro. (...) Andiamo, vota! Abbi fede nei tuoi delegati, credi in coloro per cui hai votato. Ma smettila di lamentarti. I giochi che subisci, sei tu che li imponi. I crimini di cui soffri, sei tu che li commetti. Sei tu il capo, sei tu il criminale e, ironia, sei tu lo schiavo, sei tu la vittima." (A. Libertad, Le Culte de la charogne. Anarchisme, un état de revolution permanente (1897-1908), Marseilles, Agone, 2006.)

(3) D'altra parte, una delle nuove realtà con cui dobbiamo confrontarci oggi è il fatto che la prassi anticapitalista si trova confusa sul confine fra sostenitori e nemici del sistema e nello disseminazione di frammenti di critica fra i numerosi individui che partecipano simultaneamente alle attività ordinarie di questo mondo: leggono Marcuse e lavorano per una società di pubblicità, gestiscono un'impresa e regalano soldi ai zapatisti, dichiarano di essere anarchici e lavorano per un qualche genere di amministrazione ... Si deve vivere, certo, ma nessuno vuole essere scambiato per un Bobo, però. Questo comporta un vero e proprio "mitridatismo" contro i rimorsi di coscienza che potrebbero disturbare l'esistenza.

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