venerdì 4 maggio 2018

Capitalismo di Stato

ultimo stadio

L'ultimo stadio del capitalismo di Stato
- di Robert Kurz -

La crisi, quale crisi?
Così, con questa domanda, non troppo tempo fa, gli ideologi liberali sia di destra che di sinistra mostravano di essere convinti dell'immortalità del capitalismo.
Sia la gente comune che i poveri, così come le élite, nascondono sempre più il fatto che non solo questo tipo di società ha una storia, ma anche il fatto che questa società è essa stessa il prodotto di una dinamica cieca. In particolare, nel corso degli ultimi vent'anni, tutti quanto hanno voluto percepire puntualmente solo degli eventi che si verificavano in seno a delle forme sociali astoriche dell'economia capitalista. [*1]
Similmente a quanto avviene per Dorian Gray, nel romanzo di Oscar Wilde, quella che sembrava invecchiare e rivestirsi sempre più con gli stracci della miseria - mentre la logica del denaro continuava a risplendere con la freschezza di una falsa giovinezza - non era il capitalismo, bensì solo la sua immagine del mondo sociale. Il "lunedì nero" del più grande collasso finanziario di tutti i tempi ha brutalmente rivelato il vero volto del Dorian Gray capitalista. Ma in questa nuova spinta della crisi, non c'è nessuno che voglia percepire queste caratteristiche. La cieca fiducia nel capitalismo spinge unicamente a ricercare dei colpevoli. "La condotta discutibile" degli speculatori e la "politica economica anglosassone" vengono accusate di essere responsabili del disastro.
Questa spiegazione semplicistica e dai contorni antisemiti [*2] è già stata regolarmente usata in passato. Da oltre vent'anni, al processo di globalizzazione si accompagnano ondate di crisi finanziarie. Tutte le misure (apparentemente coronate da successo) che sono state prese per impedire una "fusione del nucleo" del sistema finanziario internazionale non hanno fatto altro che ristrutturarlo, senza mai affrontare il vero problema.
L'attuale evoluzione ha fatto saltare in aria tutti i vecchi concetti; la crisi non interessa solamente il settore creditizio ipotecario americano, ma si è innescata una reazione a catena che è ben lungi dall'essere arrivata alla fine. Le cause, non le si troveranno nei difetti personali e nelle carenze morali degli attori, ma nel nucleo economico del sistema stesso.
Il capitalismo non è altro che la ricerca dell'accumulazione di denaro come fine in sé. E la "sostanza" di questo denaro è l'utilizzo sempre più crescente della forza lavoro umana. Simultaneamente, la concorrenza comporta un aumento della produttività, che rende tale forza lavoro sempre più superflua. Nonostante tutte le crisi, questa contraddizione interna sembrava fosse stata sempre superata grazie al massiccio assorbimento di forza lavoro da parte delle nuove industrie. Il "miracolo economico" del periodo successivo al 1945 ha fatto diventare questa capacità del capitalismo una professione di fede. A partire dagli anni '80, dalla terza rivoluzione industriale, quella della microelettronica, si è giunti ad un nuovo livello di razionalizzazione che ha innescato, a sua volta, una svalorizzazione della forza lavoro umano, su una scala mai vista prima. È la "sostanza" stessa della valorizzazione del capitale che si dissolve, senza che vedano la luce dei nuovi settori in grado di generare una vera crescita economica. La fase neoliberista non era altro che il tentativo di gestire in maniera repressiva la crisi sociale derivante da questa circostanza, promuovendo al tempo stesso, per mezzo dell'espansione sfrenata del credito, per mezzo dell'indebitamento e per mezzo delle bolle finanziarie sui mercati finanziari ed immobiliari, una crescita "senza sostanza" del "capitale fittizio".
Ma, in particolare, il peccato originale del monetarismo è consistito nell'apertura mondiale delle valvole monetarie, e più in particolare nel fatto che la banca centrale americana abbia inondato di dollari i mercati internazionali. In effetti, tale dottrina postula la limitazione della massa monetaria, vista come fondamento della dottrina neoliberista. In realtà, è stato il flusso di denaro pubblico, privo di ogni sostanza, ad aver sovvenzionato una crescita del valore dei patrimoni finanziari, senza alcuna contropartita. Oggigiorno, questo "paradossale socialismo del denaro senza sostanza" è stato duramente sconfitto , come era prima avvenuto con il capitalismo di Stato, sia Est così come ad Ovest, con la versione keynesiana della crescita sovvenzionata dallo Stato. Negli Stati Uniti, la nazionalizzazione di fatto del sistema bancario americano, ed il piano del ministro delle finanze per arginare la crisi per mezzo di circa mille miliardi di dollari di denaro pubblico, non sono altro che dei gesti disperati. Dall'oggi al domani, la cosiddetta libertà di mercato ha rivelato il suo carattere intrinseco di capitalismo di Stato fino al punto che alcuni hanno già cominciato ad ironizzare a proposito della "Repubblica Popolare di Wall street". Ma tutto questo non ha risolto nulla. In un certo qual modo, ci troviamo di fronte a quello che è l'ultimo stadio del capitalismo di Stato; nel migliore dei casi, quest'ultimo può ritardare il crollo degli indici borsistici, azionando ancora una volta la macchina per stampare soldi. A differenza delle epoche precedenti, non esiste più alcun margine per alimentare l'emergere di nuovi settori economici trainanti.
Tutto questo ha avuto come conseguenza la fine degli Stati Uniti in quanto potenza mondiale. Le guerre di intervento non possono più essere finanziate ed il dollaro perde il suo status di riferimento monetario mondiale. Ma all'orizzonte non si vede nessun serio pretendente al trono. Il risentimento nei confronti del "dominio anglosassone" non rappresenta in alcun modo una critica del capitalismo e inoltre manca di serietà. Infatti, la congiuntura economica basata sul deficit si appoggiava sul flusso di esportazione verso gli Stati Uniti. Le capacità industriali in Asia, in Europa ed altrove non dipendono affatto dai benefici e dai salari reali, ma direttamente o indirettamente dall'indebitamento estero degli Stati Uniti. L'economia neoliberista delle bolle finanziarie è stata una sorta di "keynesismo globale" che oggi si sta disintegrando, come prima era avvenuto con il keynesismo nazionale. Le "potenze emergenti" non hanno la benché minima autonomia economica e sono legate mani e piedi alla catena globale dei deficit. La loro dinamica, così tanto ammirata, era un puro miraggio privo di qualsiasi fondamento interno. Perciò, non ci sarà, da nessuna parte, alcun ritorno ad un capitalismo "serio" con dei posti di lavoro "reali". Ci dovremo invece aspettare una sorta di effetto domino della crisi finanziaria sull'economia "reale", a cui nessuna regione del mondo può sfuggire. Il capitalismo di Stato ed il capitalismo della "libera" concorrenza rivelano di essere le due facce della stessa medaglia. A collassare, non è un "modello" che potrebbe essere rimpiazzato per mezzo di un altro. È il modo dominante di produzione e di vita, la base comune del mercato mondiale.

- Robert Kurz - Pubblicato il 28/9/2008 su "Folha de Sao Paulo" -

NOTE:

[*1] - Secondo l'ideologia capitalista, categorie come il denaro, il lavoro ecc. sono sempre esistite ed esisteranno sempre.
[*2] - Generalmente, l'antisemitismo si è sempre basato su una personificazione dei meccanismi capitalistici, dove l'Ebreo rappresenta il finanziere rapace che pervertirebbe la "buona" produzione di mercato.


fonte:  Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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