giovedì 30 novembre 2017

La crisi siamo noi!

compagni

Risposta a Badiou: Che cosa dopo la politica?
- di Jehu -

Considera i seguenti autori conosciuti, i quali, in qualche modo, hanno affrontato e discusso le conclusioni relative alla teoria del valore di Marx:

- Negri e Hardt
- Foucault
- Lefebvre

- (aggiungi qui il tuo "teorico" preferito)

Sulla base di ciò che questi autori hanno scritto, domandati: come fare a sbarazzarci della schiavitù salariale? Ne hanno una qualche idea? Ad esempio, qual è la soluzione proposta da Negri ed Hardt riguardo al problema dell'abolizione della schiavitù salariale? Quella di Foucault? Quella di Lefebvre? Voglio dire, questi tizi hanno scritto libri molto interessanti. E fino a quando ti limiti a cercare una qualche lettura serale, va tutto bene.
Ma cos'hanno da dire a proposito dell'abolizione della schiavitù salariale che possa essere rilevante rispetto a quello che stai cercando di fare? Quale strategia suggeriscono? C'è una di queste persone che può darti un qualche suggerimento su come fare a smettere di essere uno schiavo salariato? Qualcuno di loro si rivolge direttamente a te e ti parla delle tue condizioni in quanto schiavo salariato?
Dimmi in quale dei loro libri, Negri ed Hardt dicono, «Se tu non vuoi essere uno schiavo, fai questo, questo e questo.» Cioè, quale che siano le tue critiche rispetto a Marx, quanto meno lui ha detto, «Se voi non volete essere schiavi, unitevi in un partito politico, vincete la lotta per la democrazia ed usate il potere dello Stato per emanciparvi.»
Foucault fornisce qualche idea su come porre fine alla schiavitù salariale? Lo fa David Harvey? E allora, perché li leggi? In cosa consiste l'interesse che hai per le loro idee? Vuoi passare davvero il resto della tua vita a leggere persone che non hanno nessuna idea di come fare a mettere fine alla schiavitù salariale?

Badiou ed il rifiuto della politica
Ho chiesto questo perché Alain Badiou ha pubblicato recentemente un saggio nel quale si propone di affrontare il problema di come liberarci dalla schiavitù salariale. Nel suo saggio, Badiou respinge esplicitamente la partecipazione alla politica elettorale. Parlando a proposito dei recenti risultati elettorali in Francia, Badiou ha detto:
«Dobbiamo restare indifferenti alle elezioni, le quali, tutt'al più, comportano una scelta puramente tattica fra due cose: astenersi dalla partecipazione a questo spettacolo "democratico", oppure sostenere questo o quel concorrente per motivi circostanziali - cosa che, per l'appunto, dobbiamo definire secondo il contesto di una politica comunista (sic), un contesto che non ha niente a che fare con i rituali del potere dello Stato.»
Secondo Badiou, noi dobbiamo lavorare attivamente ad una "politica comunista", che non ha niente a che fare con l'attuale Stato.
Qui, il termine "politica comunista" è incoerente. Chiaramente, Badiou la sta usando come tappabuchi. Penso che Badiou intenda dire "comunismo", e non "politica comunista". L'utilizzo del termine "politica comunista" evoca delle richieste allo Stato, e non si può fare a meno che abbia un tale effetto. Puoi dire che la politica comunista non ha niente a che fare con lo Stato, ma la gente continuerà a pensare la politica nei termini dello Stato.
Quindi, come fa il comunismo a differenziarsi dalla politica incentrata sullo Stato? I lassalliani (socialdemocratici) non ci vedono nessuna differenza. Il leninisti, al contrario, pensano che tutta la politica sia borghese, tranne quella portata avanti da un partito di avanguardia. Badiou, a suo merito, sembra voler evitare entrambi questi due fallimenti del 20° secolo, ma ci dà poco altro da cui partire.
Ci offre questo suggerimento:
«Permettetemi di ricordare i principi della seconda strada: stabilire, contro la proprietà privata, delle forme collettive di controllo dei mezzi di produzione, di credito e di scambio; una polimorfia del lavoro, qualcosa che in particolare venga minato dall'opposizione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale; che ha come una delle conseguenze, l'internazionalismo; e forme di controllo popolare che lavorano per mettere fine allo Stato separato.»
Un movimento che ha come scopo dichiarato quello di abolire lo Stato separato? Badiou vuole una comune, ma, per qualche strana ragione, non lo dice esplicitamente, almeno non lo fa in questo saggio. Anziché dire semplicemente, «Dobbiamo sostituire lo Stato separato con una comune di produttori sociali», usa la goffa locuzione, «politica comunista».
Il comunismo è ciò che fa una comune. La sua attività è la comunizzazione di tutte le relazioni sociali.

Dopo la politica, cosa?
Come alternativa alla politica elettorale, Badiou offre la tipica strategia di sinistra.
1 - Una situazione storica instabile (guerra o calamità ecologica), precipita la società in una profonda       prolungata crisi politico-economica.
2 - Alla società si presenta una scelta fra capitalismo o comunismo;
     accompagnata da nuove forme di controllo popolare che sostituiscono l'attuale Stato.
3 - La ribellione di una minoranza che paralizza il potere dello Stato, già minato dalla crisi.
4 - L'emergere di un'organizzazione in grado di rovesciare lo Stato e sostituirlo col comunismo.

Il problema con la strategia della sinistra, così come viene descritta da Badiou - in particolare il punto 3 - sta nel fatto che Engels e Marx l’avevano dichiarata obsoleta giù più di cento anni fa. Sebbene Engels e Marx non avrebbero scommesso i loro due centesimi sulla discussione a proposito della strategia, la Comune di Parigi aveva praticamente dimostrato che barricate ed insurrezione erano una strategia ormai defunta. Al suo posto, Marx ed Engels avevano proposto che la classe operaia dovesse organizzarsi in un partito e conquistare il potere politico.
Ad ogni modo, sfortunatamente è proprio questa la strategia proposta da Marx ed Engels che Badiou (e molti altri comunisti) dichiara ora obsoleta. Se l'insurrezione era già obsoleta nella seconda metà del 19° secolo, ed il partito politico si è rivelato obsoleto nella seconda metà del 20° secolo, a quanto pare sembra che ora siamo usciti fuori di testa. Il punto n°3 della lista di Badiou - la rivolta popolare - è un enorme buco che nessuno sembra sapere come fare a riempirlo. Tutto quello che veramente sappiamo del punto n°3 è che può essere riempito o da pallottole o da schede.
Probabilmente non ci troviamo sul punto di stare per rovesciare uno Stato moderno per mezzo della forza delle armi, e sicuramente non accadrà che andando a votare in un'elezione faremo esistere il comunismo.

Anarchici e strategia
Un'aggiunta anarchica innovativa alla discussione sulla strategia, è l'idea di uno sciopero generale. Gli anarchici, quando coerenti, hanno a lungo rifiutato la partecipazione a qualsiasi forma di politica elettorale. Piuttosto che occupare lo Stato esistente facendo uso di mezzi politici, molti anarchici suggeriscono che la classe operaia dovrebbe semplicemente rifiutarsi di andare a lavorare per il capitale per mezzo di uno sciopero generale. La strategia è potente in quanto, direttamente o indirettamente, tutte le classi parassitarie e lo Stato stesso dipendono dal lavoro salariato. Il lavoratore salariato viene sfruttato direttamente dal capitale ed il plusvalore estratto viene diviso fra gli sfruttatori sotto forma di profitto, di rendita e di entrate fiscali. Se la classe operaia riuscisse ad astenersi dal lavorare per il capitale facendo uno sciopero generale, sostanzialmente chiuderebbero il rubinetto che alimenta gli sfruttatori. La strategia dovrebbe produrre una crisi che inghiottirebbe le classi sfruttatrici.
Il problema con questa strategia è che essa richiede un altissimo livello organizzativo e di coscienza tra la classe operaia. Il lavoratori devono essere preparati ad un lungo sciopero e a battersi contro l'intervento militare, la sovversione politica e le defezioni nelle proprie file.
Per definizione, la classe operaia non è in grado di sopravvivere per un lungo periodo di tempo senza vendere la sua forza lavoro. Il modo di produzione è strutturato in modo tale che il lavoratore abbia poco più di quello di cui ha bisogno per vivere settimana dopo settimana. Qualsiasi magro mezzo di sostentamento abbia accumulato al di là di questo, in un conflitto prolungato si esaurirebbe rapidamente.
C'è un limite al tempo durante cui la classe operaia può resistere al bisogno di vendere il proprio lavoro, e tale limite è determinato dallo sviluppo delle forze produttive. Più alto è lo sviluppo delle forze produttive, più bassi sono i salari dei lavoratori è più breve è la durata del tempo in cui possono tenere duro. Le stime che ho visto suggeriscono che i lavoratori nelle economie capitaliste più avanzate possono tener duro non più di un mese o due. Nella maggior parte dei casi, sono costretti a tornare al lavoro per quando è dovuto il pagamento dell'affitto o del mutuo.
Sembrerebbe perciò che la classe operaia non abbia né la capacità militare né quella politica di mettere fine alla schiavitù salariale, né abbia i mezzi per tirarsi fuori dalla relazione salariale. Ciò potrebbe spiegare perché tutte le proposte concrete per poter attualmente porre fine al lavoro salariato ed alle relazioni esistenti, come quella che propone Badiou, scoppiettano e muoiono impotentemente. Manca una vera strategia secondo la quale possiamo mettere fine al lavoro salariato.
La strategia migliore che le persone possono escogitare è quella che proviene dal fatto che la società esistente precipita improvvisamente in una catastrofe profonda e prolungata nella sua forma di una grande guerra o di un cambiamento climatico. Badiou fa riferimento alle guerre che hanno preceduto la Comune di Parigi, la rivoluzione sovietica e la Repubblica popolare cinese. Quelle guerre hanno vuto l'effetto di scuotere alla radice la società esistente, aprendo la strada affinché la classe operaia potesse opportunisticamente affermare la propria pretesa di potere.
Ma chi è che oggi vuole una replica degli orribili eventi che hanno portato alla fondazione della Repubblica popolare cinese (80 milioni di morti) o all'Unione Sovietica (20 milioni di morti)? O cosa ancora più importante, fare affidamento su eventi catastrofici spontanei su larga scala ci deruba dell'iniziativa per poter creare la nostra propria storia.

La classe operaia deve abolire sé stessa
Con questo approccio, c'è un problema ancora più profondo: per la prima volta, Marx ed Engels sembrano suggerire che attualmente la classe operaia non metta fine alle altre classi sociali. Quest'idea viene espressa in maniera più chiara nel capitolo 32 del Capitale, volume I. Se esaminiamo il capitolo ne dettaglio, vediamo che Marx sostiene che le classe sfruttatrici mettono fine a loro stesse, attraverso un processo di accumulazione capitalistica che comincia con la distruzione dei produttori individuali e che finisce con i capitali che si uccidono a vicenda.
Marx può essere (ed è stato) letto come colui che dice che i proletari non mettono fine ai capitalisti; piuttosto, mettono fine a sé stessi in quanto classe.
Ciò suggerirebbe che la strategia di cui oggi abbiamo bisogno non si concentrerà sulle forme di lotta necessarie a rovesciare lo Stato (militare o politico), ma le forme di lotta al fine che il proletariato abolisca sé stesso. Una strategia di questo tipo è coerente con il nostro precedente presupposto che riguarda i limiti dell'insurrezione e delle elezioni come strada che porta al comunismo. La classe operaia non può abolire sé stessa facendo uso di mezzi militari, e di certo non può semplicemente votare per decretare la fine della sua esistenza. La classe operaia non può nemmeno rifiutare di dare il suo lavoro agli sfruttatori a causa do certi limiti ben definiti poiché alla fine deve mangiare.
Tuttavia, quello che la classe operaia può fare è negare ai suoi sfruttatori il surplus di tempo di lavoro, il plusvalore da cui dipendono le classi parassitarie. Ancora una volta, per quanto lontano si possa andare in questa direzione, è determinato dal livello di sviluppo delle forze produttive. Ma qui c'è una differenza: mentre lo sviluppo delle forze produttive riduce i mezzi disponibili per la classe operaia, per sopravvivere ad uno sciopero generale, il livello di sviluppo delle forze produttive incrementa l'impatto che ha sugli sfruttatori trattenere il tempo di lavoro.
Ad un certo punto dello sviluppo delle forze produttive, la parte più grande della giornata lavorativa può essere eliminata senza mettere a repentaglio la magra sussistenza della classe operaia. Tale eliminazione di surplus di tempo di lavoro costringe le classi parassitarie a quello che Marx aveva chiamato, «una lotta fra fratelli ostili.» La riduzione del tempo di lavoro in eccesso abbassa il tasso di profitto, e ciò porta alla concentrazione e alla centralizzazione di capitali, alla bancarotta ed al collasso finanziario.
Andrew Kliman e la sua scuola della caduta del saggio di profitto ha sostenuto a lungo che la caduta del tasso di profitto conduce alla crisi, ma devono ancora essere in grado di applicare quest'asserzione alle loro idee strategiche. Una caduta nel tasso di profitto viene prodotta non solo dalla sovraccumulazione di capitale; può anche essere prodotta artificialmente attraverso un'azione energica sul proletariato per far loro trattenere la parte di surplus del loro tempo di lavoro.
Se la scuola della caduta del saggio di profitto ha ragione, il proletariato ha il potere di creare quel genere di crisi politico-economica che Badieau sostiene essere necessaria a far crollare il sistema. In altre parole, possiamo creare artificialmente quella sorta di «situazione storica instabile, che scuote fortemente le soggettività conservatrici».

Azione diretta
Ma qui abbiamo un inversione nella strategia proposta da Badiou. Anziché aspettare una guerra, o che avvenga spontaneamente una catastrofe economica o ecologica, possiamo creare una massiccia crisi sociale cambiando direttamente la coscienza della classe lavoratrice per mezzo della nostra azione diretta.
Come funziona la cosa? Passerò a spiegare il meccanismo economico più tardi, ma lo si trova già descritto nel capitolo 15 del III volume del Capitale.
Il punto che voglio affrontare adesso è quello del meccanismo sociale, quello dell'azione diretta.
La politica ha a che fare con la lotta di classe, ma qui in realtà non c'è nessuna lotta di classe in corso. In primo luogo, il proletariato deve porre fine alla produzione di plusvalore come condizione per la vendita della sua forza lavoro. Almeno in teoria, la classe operaia può decidere quanto a lungo lavorerà in cambio dei salari, ed imporrà al capitale questo limite.
Naturalmente questo richiede organizzazione e coscienza che, ad essere completamente onesti, ancora non esiste. Dobbiamo creare quest'organizzazione e questa coscienza per mezzo della nostra azione diretta. Ci sono ben poche possibilità che possa sorgere spontaneamente. La coscienza della necessità di mettere fine alla produzione di plusvalore come condizione per il salario non è data dal modo di produzione. Piuttosto, ogni lavoratore sa che il suo salario dipende dalla capacità del suo datore di lavoro di realizzare un profitto.
L'idea secondo la quale la nostra sussistenza dipenda necessariamente dal profitto dei capitalisti, è proprio ciò che dev'essere messo in discussione attraverso la nostra azione diretta. Un tale sforzo, con ogni probabilità, sarà foriero di conflitti, anche violenti, dal momento che andremo a confutare quello che ciascun lavoratore ritiene sia una condizione della sua sopravvivenza. Dobbiamo fare uso di metodi di azione improntati alla pazienza, necessariamente non violenti, per convincere le persone che all'inizio penseranno che stiamo cercando di farli morire di fame.
Faccio sempre riferimento al movimento anti-segregazione, poiché la risposta della maggior parte dei bianchi del sud degli Stati Uniti, rispetto ai primi tentativi di mettere fine alla segregazione , è stata quel tipo di risposta violenta che dovremo aspettarci. Sebbene i lavoratori neri cercassero semplicemente di far valere i loro diritti contro lo Stato, la maggior parte dei lavoratori bianchi considerava quelle azioni come se fossero un attacco diretto rivolto contro di loro. In molti casi attaccavano i loro colleghi neri che non stavano facendo nient'altro che esigere quei diritti di cui gli altri lavoratori già godevano.
Contro di noi, non dobbiamo aspettarci meno violenza di quella che si è vista durante i periodi peggiori degli anni 1960. Il fatto è che noi stiamo cercando di convincere le persone a smettere di fare qualcosa che loro ritengono sia una precondizione essenziale per la loro sopravvivenza fisica. Non prenderanno in considerazione un'idea simile, senza che ci sia una reazione estrema.

Diventare la crisi
Cosa stiamo cercando di fare attraverso la nostra campagna di azione diretta? Stiamo cercando di determinare la più grande alterazione nelle coscienze che ci sia mai stata nella storia dell'umanità. Non possiamo produrre una simile rivoluzione nella coscienza della classe operaia con la forza delle armi, ma solo attraverso delle leggi.
Dobbiamo confrontarci direttamente con la classe operaia, coinvolgerli, e spiegare loro pazientemente che non devono essere più la classe operaia. Questo comporta necessariamente il fatto che dev'essere impedito loro di dedicarsi alla vendita della loro forza lavoro e di creare plusvalore per le classi parassitarie. Un tale compito non è molto diverso dall'impedire che durante uno sciopero i lavoratori disoccupati agiscano come crumiri. La differenza sta nel fatto che qui chiediamo ai lavoratori solo di astenersi dal lavorare per una parte della settimana lavorativa; non chiediamo loro di smettere del tutto di lavorare. All'inizio, questo sarà per poco più di un giorno alla settimana; un giorno stabilito in anticipo, annunciato pubblicamente, in modo da limitare il tempo di lavoro ad una durata prestabilita.
Quel che è importante, è rendere noto a tutti i lavoratori, il più ampiamente possibile, che cosa intendiamo fare con la nostra azione diretta. Il nemico lo sa già. Dobbiamo essere sicuri che anche ogni lavoratore lo sappia. Questo permetterà ad ogni lavoratore di prendere parte all'astensione dal lavoro a modo suo, collettivamente o individualmente, a seconda delle circostanze. Alcuni potranno solo limitarsi a che lo spostamento verso il loro luogo di lavoro venga impedito da noi. Altri potrebbero solo lavorare più lentamente. Altri ancora possono interrompere il lavoro tutti insieme o darsi malati. Col tempo, anche loro si uniranno all'azione.
Il punto è quello di impedire ripetutamente la produzione del plusvalore, in un dato giorno, per una dato periodo di tempo, ogni settimana, per qualsiasi lavoro che superi - diciamo - le 30 o le 28 ore settimanali.

L'impatto di questa strategia sul capitale
Quale sarà l'impatto che avrà questa strategia sul capitale e sul proletariato?
In primo luogo, secondo la teoria di Marx, una riduzione forzata delle ore di lavoro colpirà più duramente il capitale finanziario, dal momento che quel settore è costituito quasi interamente di crediti cartacei. Questo dovrebbe essere per noi di estremo interesse, considerato che ho visto stime secondo le quali ora il mercato dei derivati ammonterebbe a più di 1,2 milioni di miliardi di dollari. Questo corrisponde a circa 15 volte il valore totale annuo del PIL mondiale. Questo mercato è altamente indebitato, del tutto deregolamentato e basta solo un movimento molto piccolo (forse un calo del 3% nella caduta del saggio di profitto) nel valore di questi derivati per far crollare l'intero schema di Ponzi [N.d.t.: Lo schema Ponzi è un modello economico di vendita truffaldino che promette forti guadagni alle vittime a patto che queste reclutino nuovi "investitori", a loro volta vittime della truffa]. Un crollo di tale portata costringerebbe immediatamente lo Stato ad intervenire per salvare il settore finanziario, e sarebbe una replica del 2008.
Una modesta riduzione del tempo di lavoro di solo un giorno su 40 ore di lavoro settimanale, taglierebbe del 20% il tempo di lavoro totale, ma avrebbe un impatto maggiore rispetto a quello del 20% sui profitti. Per esempio, se il tasso di plusvalore è del 100%, una riduzione del 20% del tempo di lavoro ridurrebbe del 40% il valore del plusvalore. La massa di valore disponibile per essere distribuito fra le classi parassitarie cadrebbe in misura proporzionale. Ci sarebbe una lotta fra i capitali, da parte di ciascuno allo scopo di minimizzare l'impatto che una tale caduta avrebbe sui loro profitti, e spingerebbe le perdite verso gli altri capitali. Questa lotta si estenderebbe oltre le imprese capitaliste, fino ad includere il capitale finanziario, le proprietà immobiliari e le entrate fiscali dello stesso Stato.
In questo modo, l'intero strato dei parassiti che vivono al di fuori del lavoro della produzione verrebbe trascinato dentro il conflitto per dividersi una torta sempre più piccola di plusvalore.

L'impatto di questa strategia sul lavoro salariato
In secondo luogo, nel capitolo 15, Marx riserva molta attenzione all'impatto che una simile crisi avrebbe sulla classe operaia. Egli spiega che una crisi, causata da un tasso di profitto in caduta, porterebbe ad una disoccupazione ancora maggiore. Nel caso della classe operaia che si astiene dal lavorare, tuttavia, l'occupazione non dovrebbe diminuire, dal momento che la crisi viene provocata da una caduta nel plusvalore determinata da una riduzione delle ore di lavoro. L'impatto della crisi dovrebbe essere completamente assorbito dal capitale, che lascerebbe pressoché intatti i salari della classe operaia. Certo, ci sarebbero alcuni cambiamenti nell'occupazione, nella misura in cui alcune compagnie falliscono, ma questo viene più che compensato da una maggiore occupazione complessiva. Il capitale sarà costretto ad utilizzare l'esercito del lavoro di riserva, attirando milioni di nuovi lavoratori nella produzione.
Dal momento che il capitale non può ripristinare il tasso di profitto licenziando lavoratori, deve allora incrementare gli investimenti in macchinari migliori, in scienza, tecnologia ed organizzazione, per poter intensificare lo sfruttamento del lavoro. Marx chiama questo sforzo "l'incremento della densità del tempo di lavoro" e discute su come essa funziona nel capitolo 15 del I volume. L'analisi tratta dei limiti alle ore di lavoro nell'Inghilterra degli anni 1840. Nel nostro caso, un impatto simile deriverebbe dagli sforzi della classe operaia per ridurre il proprio orario di lavoro, non per mezzo della legge. Sebbene imposto dall'azione diretta della classe operaia, anziché dalla legge, il risultato dovrebbe essere lo stesso. Il capitale, se deve produrre profitto, dovrà produrlo facendo uso di meno lavoro di quanto ne usasse prima.
Il tempo libero della classe operaia - il comunismo - viene incrementato.

- Jehu - Pubblicato il 23 ottobre 2017 su The Real Movement -

fonte: The Real Movement

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