lunedì 27 novembre 2017

Il capitale automatico

macron

Quella che segue è la traduzione della postfazione all'ultimo libro di Tom Thomas, "Le capital automate", in uscita in Francia a fine novembre per le "Editions Jubarte". Inutile sottolineare che naturalmente l'analisi e le considerazioni espresse più avanti, si attagliano benissimo anche alla situazione italiana, pure in mancanza [per ora] del "fattore Macron"!


A proposito di "Populismo": un commento delle elezioni del 2017 in Francia
- Tom Thomas -

Queste elezioni sono un'occasione per tornare al termine "populismo", termine mistificante come si vedrà, ma abbondantemente utilizzato dai media per stigmatizzare il "Front Nazional" ed il partito degli "Insoumis". La crescita esponenziale dell'influenza di questi partiti riguardo un numero non trascurabile di proletari, ha in effetti mostrato assai bene quanta importanza abbia avuto sostenere che non serva a niente sostituire, come essi sostengono, dei dirigenti del "Comitato per la politica monetaria" (MPC) con degli altri dirigenti che affermano di essere "anti-sistema", mentre aspirano solo a dirigere loro stessi quel sistema con lo scopo dichiarato di stimolarne meglio la sua "crescita", vale a dire la valorizzazione e l'accumulazione di capitale.
Questo piccolo libro ci ha ricordato il modo in cui l'opera geniale di K. Marx consente di affermare che, nel Comitato per la politica monetaria, è il movimento di auto-valorizzazione del capitale -  in altre parole, il capitale che esiste solo in quanto valore che si valorizza - a dirigere gli agenti della produzione; e non loro a dirigere il capitale. Loro, vale a dire principalmente coloro che occupano i posti più elevati nel mondo aziendale, nei media, nella finanza e, in particolare, negli apparati dello Stato, e che si sforzano di assicurare una riproduzione sempre più allargata del capitale (la sua accumulazione). Loro sono - e non possono essere altro se non - i «funzionari del capitale».
Fra l'altro, queste elezioni sono state, sia per la crescita dei voti "populisti" che per la crescita dell'astensione, una manifestazione dell'aggravarsi della crisi politica. Questa tendenza si accompagna in maniera evidente a quella del costante degrado, dovuto alla crisi, della situazione delle masse popolari. Vale a dire, dovuto alle decisioni che devono necessariamente essere prese da quei funzionari, per cercare di rilanciare la valorizzazione del capitale, senza tuttavia poter ottenere questo risultato a causa degli ostacoli che vi si frappongono, fra i quali, al primo posto abbiamo la drastica diminuzione della quantità di lavoro produttivo di valore che il capitale può utilizzare, diminuzione dovuta al livello elevato raggiunto grazie al progresso della scienza applicata alla produzione (sviluppo dei macchinari automatizzati). Cosa che li porta a dover ampliare sempre più questo degrado, l'impoverimento delle masse, nel mentre che allo stesso tempo indurisce il lato totalitario e poliziesco del potere borghese al fine di contenere la resistenza suscitata da una tale politica (un indurimento che aumenterà ulteriormente se la resistenza assumerà consistenza). In un modo di produzione in cui viene non solo generato lo Stato che deve garantire la valorizzazione del capitale, ma viene generata anche l'ideologia che lo Stato deve e può assicurare, nel momento in cui questa crescita, l'occupazione, il livello di vita, la salute, in breve, il benessere generale, non sorprende affatto che i partiti politici che lo governano - ed in generale coloro che sono la sedicente "élite" - siano ritenuti responsabili di ottenere il contrario, e siano di conseguenza screditati. E lo sono ancora di più quando, in una simile situazione di impoverimento, il carrierismo, il nepotismo, le prebende, i privilegi - tutte cose che sono moneta corrente in quest'ambiente - appaiono ancora più insopportabili di quanto lo fossero prima.
L'astensionismo record registrato a queste elezioni, straordinariamente di massa fra la popolazione proletaria, indica come l'esperienza si faccia strada poco a poco: non è con questo tipo di elezioni che può migliorare la situazione. Per circa il 50% dei francesi che sono in età di poter votare, e che l'hanno fatto, la stragrande maggioranza lo ha fatto a favore di partiti che si sono presentati come «dégagistes» (gli "Insoumis" ed il Fronte National, "En Marche"). Questa propensione al «dégagisme» [«rovesciamento totale»] è una tendenza che si sta diffondendo un po' dappertutto nel mondo, e che si riflette in una formula apparentemente radicale che è di moda in numerosi paesi: «che se ne vadano via tutti». Come se tutto ciò potesse servire a cambiare qualcosa, se non il fatto che le funzioni dei capitalisti non verrebbero più garantite dalle stesse persone di prima.

Nel 2013, ho scritto in "La montée des extrêmes, de la crise économique à la crise politique": «È assai probabile che [...] le forze politiche tradizionali dell'alternanza destra-sinistra, che, ormai da molto tempo, non costituiscono più un'alternativa, siano ormai screditate al punto da dover cedere il posto ad una di quelle forze che vengono definite come "populiste", "protestatarie", "estremiste"». Non avevo previsto che, per contrattaccare tale eventualità, - benché non rimettesse in discussione il "Comitato per la politica monetaria" (MPC), cosa che non le conveniva poiché accentuerebbe indubbiamente il caos economico, rovinando ulteriormente il processo di valorizzazione - la borghesia sarebbe stata così furba da surfare anch'essa l'onda del "dégagisme", costruendo, in modo semplice e rapido, su tutti i principali mezzi di comunicazione, la candidatura di un Macron ed il movimento "En Marche"; vale a dire, sostituendo la zuppa col pan bagnato, il vecchio personale screditato con lo stesso personale più giovane, ma deciso ad applicare la medesima politica. Un successo che tuttavia è stato assai relativo, dal momento che solo un magro 15% di elettori francesi, quasi tutti borghesi, ha votato a favore di questa manovra. Ciò detto, l'esperienza Macron non farà altro che allontanare in maniera molto provvisoria l'ascesa del cosiddetto "populismo", dal momento che non sarà altro che ricerca, accentuata, della tendenza al degrado accelerato delle condizioni di vita del proletariato, ed anche della piccola-borghesia. Poiché, se il Fronte National egli Insoumis hanno anche il "dégagisme" nei loro programmi, non si accontenteranno di cambiare i dirigenti screditati. Cercheranno di intercettare la rabbia, proponendo un'altra politica che sarebbe una sedicente soluzione alla crisi della valorizzazione del capitale. In particolare, promettono di stimolare una crescita del capitale che venga messa al servizio di un popolo che si suppone vada al potere per mezzo dei suoi intermediari. Questo dovrebbe avvenire attraverso un rafforzamento del ruolo dello Stato che, organizzando un ritorno al protezionismo ed al nazionalismo, dominerebbe i mostri della finanza, del liberismo, delle multinazionali, ed obbligherebbe il capitale a ridurre i dividendi, ad investire, ad assumere, ad aumentare i salari (diretti ed indiretti), a finanziare i servizi pubblici, ecc.. E per di più, al colmo della stupidità e della falsità, tutto ciò nel momento stesso in cui le condizioni oggettive della sua valorizzazione sono, storicamente ed inesorabilmente, in via d'estinzione.
Nella misura in cui questo cosiddetto "populismo" attira nella sua rete una parte non trascurabile di coloro i quali sono infuriati nel vedere che la situazione si deteriora sempre più implacabilmente, e quanto questa situazione sia particolarmente reazionaria e pericolosa, in quanto è assai efficace nello sviare nel soffocare la lotta di classe, vale allora la pena ricordare che cosa serve per poter combatterlo meglio.
Osserviamo innanzitutto che questi tribuni dalla gola forte che si rivolgono al "popolo" perché occupi a suo profitto il posto delle "élite" fanno confusione. Per loro, il popolo esisterebbe come un'unità reale, come se ci fosse un interesse comune in quel 99% che per loro sono il popolo, a fronte di quell'1% che sono l'oligarchia. Come se questa parola magica che apre tutte le porte potesse far sparire la realtà delle classi sociali contrapposte o, quanto meno, gli interessi divergenti e contraddittori. L'utilizzo che fanno di questa parola non è il risultato di una semplice opportunità data dal linguaggio. Per loro, "popolo" si riferisce all'idea di una vera e propria comunità di individui, che ha ovviamente anche come nome quello di Nazione, di Patria, puri prodotti dell'ideologia borghese, se ne esiste una. Il popolo è nazionale, e la Nazione deve difendersi contro le Nazioni concorrenti, contro l'oligarchia cosmopolita (globalista) senza Patria, contro gli stranieri, ecc..

Ma la cosa più importante non è che ci siano degli ideologhi e leader populisti che tentano di fare esistere e di dar vita al mito del popolo unito in un comune nazionalismo. Il fatto è che, per combatterlo, bisogna comprendere perché, su quali basi materiali, numerosi individui, ivi compresi i proletari, vi aderiscono. E queste basi sono quelle dei rapporti di produzione che definiscono il capitale e generano le ideologie del «feticismo della merce» e dello Stato che sono state brevemente spiegate in questo piccolo libro.
Come è stato qui ricordato, la cosa più importante di riferisce al fato che, nel "Comitato per la politica monetaria" (MPC), è il capitale - i quale esiste solo come «valore che si valorizza» - ad imporre necessariamente ed implacabilmente le leggi di questa valorizzazione agli agenti della produzione, ed il ruolo dei capitalisti e dei loro Stati è quello di fare del loro meglio perché ciò riesca. Ma dal momento che questi agenti vedono l'economia solo come relazioni fra le merci, che loro conoscono solo attraverso delle forme apparenti del valore che non sembrano avere alcun rapporto con la sua sostanza (il lavoro socializzato sotto la forma del lavoro astratto), forme apparenti quali i prezzi, i profitti, il tasso di interesse e di cambio, ecc., essi credono fermamente che si tratti di forme naturali, eterne, che regolano questi rapporti fra cose, fra le merci. E che tutto ciò sia calcolabile, gestibile razionalmente. Non sanno che in realtà non fanno altro che proporre che quel che pensano sia (e sovente si sbagliano) la miglior valorizzazione del capitale, la sua maggior riproduzione possibile. Tutto ciò mentre ignorano quella che è l'unica base: il lavoro umano produttivo del plusvalore. Da qui, per esempio, la loro totale incomprensione della crisi attuale ed il loro essere impotenti a risolverla. Si tratta della conseguenza della loro incapacità di comprendere - e ciò avviene perché significherebbe mettere in discussione, cosa che si scontra con i loro interessi di classe - che l'economia è determinata dalle relazioni di proprietà e di produzione fra gli uomini, dai quali risulta un modo di divisione del lavoro e dei prodotti (del loro scambio). L'economia non è una scienza naturale, ma è storica e politica.
La seconda cosa designa l'ideologia secondo la quale lo Stato non sarebbe altro che un apparato tecnico, amministrativo, che potrebbe quindi, nelle mani di un governo ad hoc, "popolare", assicurare una gestione razionale ed equa del«l'economia» (come se essa potesse essere qualcosa di diverso dalla valorizzazione del capitale) e messo così al servizio di un mitico «interesse generale». Ad esempio, per i "populisti" basterebbe solo che lo Stato decidesse di modificare a beneficio dei lavoratori il rapporto tra salari e profitti, e/o reinvestire una più larga parte dividendi, anziché distribuirlo agli azionisti, e/o svalutare la moneta uscendo dall'euro, per rilanciare la crescita del capitale, creare dei posti di lavoro ed il benessere per tutti.
Come abbiamo visto, le basi materiali di questi feticismi, di queste ideologie che ne derivano, sono le relazioni commerciali e capitaliste di proprietà, altrimenti dette di produzione. Sono queste a far sì che tali relazioni fra degli uomini prendano la forma apparente di rapporti fra cose, fra merci. E come inoltre abbiamo visto, ne consegue anche che, lungi dal poter dirigere l'economia, sono gli uomini ad essere diretti dalla volontà del valore-soggetto, dal movimento inesorabile dell'auto-valorizzazione del capitale automatico. Nel "Comitato per la politica monetaria" (MPC) il processo di produzione non esiste altro che come supporto del processo di valorizzazione. Il capitale esiste solo come valore che si valorizza. Il capitalista, come funzione ed unica qualità ha solo quella di essere il più efficace possibile nella messa in opera della valorizzazione del capitale che egli personifica, e se fallisce spariscono entrambi. Voler perseguire una politica contraria a queste leggi senza pretendere di abolire ciò su cui si basano, significa andare incontro al caos ed al fallimento. D'altronde tutti gli economisti, di destra come di sinistra, non fanno che spiegare, ciascuno con le proprie ricette (liberali, sociali, keynesiani, monetaristi, ecc.) che cosa andrebbe fatto affinché la crescita del capitale - per cui del PIL, della valorizzazione - sia la più alta possibile.

Che cos'è allora il "populismo"? È il fatto che una massa eterogenea di individui chiamata "popolo" reagisca alla crisi che colpisce tutti - ed è questo il loro unico punto comune - seguendo le dichiarazioni mistificatrici della stessa ideologia borghese. E lo fa prendendole alla lettera, spingendone i suoi miti fino all'estremo. Soprattutto rivolgendosi allo Stato, in quanto è esso, secondo quest'ideologia, che dovrebbe poterlo fare e rappresentare l'interesse generale, che dovrebbe costringere i capitalisti ed il capitale (che suppone siano solamente dei mezzi di produzione, delle cose di cui si può disporre a piacere) a servire il popolo, a preferire «l'essere umano» piuttosto che i profitti, a sviluppare la produzione indipendentemente dalla valorizzazione, ed altre sciocchezze del genere. Fanno uso del linguaggio cosiddetto di sinistra, che consiste nel pretendere di poter innalzare il livello di vita del popolo ripristinando l'autorità dello Stato sull'economia, e la grandezza della Nazione disprezzata e calpestata dai capitalisti apolidi (globalisti). Un funesto inganno, che nondimeno costituisce il fattore soggettivo della loro popolarità.
La borghesia dominante ha fabbricato ed usato a suo uso e consumo il termine "populismo" al fine di stigmatizzare. Da parte delle élite al potere, si è voluto condannare con disprezzo le esigenze delle persone che non capiscono niente delle leggi cosiddette "economiche", e per cui le leggi della valorizzazione sono naturali, indipendenti dai rapporti sociali, e non specifiche al "Comitato per la politica monetaria" (MPC). Secondo loro, solo delle persone ignoranti, eccitate da dei demagoghi, si opporrebbero cercando di "detronizzare" le élite che applicano quelle leggi. E che élite! Talmente saggi da non aver per niente compreso quali sono le cause della più grande crisi della storia del capitalismo, così come sono assolutamente impotenti ad impedirne l'aggravarsi. Al contrario, tutte le misure che prendono per tentare di raggiungere il loro scopo non fanno altro che riunire tutte le condizioni di tale aggravamento, fra le altre cose sotto le sembianze di un prossimo e gigantesco crack finanziario. Non riescono a capire perché il movimento storico ed automatico della valorizzazione del capitale è sul punto di auto-bloccarsi, in quanto è il capitale stesso che distrugge le sue basi: il lavoro umano produttore di plusvalore.
Protestare contro le misure di pauperizzazione generalizzata che continuano ad essere aggravate dalla borghesia, è il minimo, «il minimo sindacale» come si suol dire. Non è questo ciò che si può rimproverare agli individui che sono attratti dai partiti "populisti". E se fra di loro esiste effettivamente ancora molta ignoranza per quanto attiene alle cause della situazione, non è certo peggiore dell'ignoranza mostrata delle arroganti élite che loro vorrebbero "detronizzare". Perciò, ovviamente, la critica da sviluppare nei confronti del cosiddetto "populismo" è del tutto differente da quella che viene rivolta ad esso dalle "élite" intellettuali, economiche, politiche e mediatiche borghesi che, aggiungendo alla loro crassa ignoranza un'incredibile pedanteria, «scoreggiano ben più in alto dei loro culi»!
Gli è che, in quanto estremismo borghese, il "populismo" non solo non apporta alcuna soluzione praticabile alla crisi della valorizzazione del capitale (e su questo le cosiddette élite borghesi hanno ragione, salvo che anch'esse si trovano nella medesima situazione) ma, peggio ancora, e come d'altra parte è stato dimostrato dall'esperienza degli anni 1930, questo estremismo è la preparazione ad una sorta di neofascismo del 21° secolo. Diciamo piuttosto, poiché lo sviluppo del capitalismo oggi non è affatto lo stesso di allora (questo punto verrà sviluppato ulteriormente), vediamo una rapida accelerazione della tendenza storica del capitalismo al totalitarismo, conseguenza di una forte accentuazione della concentrazione del capitale che ha generato la crisi, e come risposta all'aggravarsi degli antagonismi  che la crisi implica.

Ho inserito questo breve commento a proposito delle elezioni del 2017 in Francia, come postfazione al mio libro attuale, perché essa illustra assai bene il fatto che capire perché il lavoro concreto che si socializza come lavoro astratto, i prodotti nei quali il lavoro si oggettivizza come valore di scambio e come denaro, perché il valore è un soggetto automatico, perché il capitale è auto-valorizzazione, perché tutte queste sono delle questioni importanti per la lotta di classe: poiché, fra le altre cose, significa comprendere che il suo fine non è quello di rimpiazzare dei funzionari del capitale con altri funzionari, come propongono i "populisti", ma di abolire il capitale in quanto relazione di produzione e di appropriazione.

- Tom Thomas - Pubblicato su Démistification il 20 Ottobre 2017 -

fonte: Démistification

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