giovedì 19 ottobre 2017

Il Lavoro & il Tempo Libero

Anna May Wong from The Shanghai Gesture d. Josef von Sternberg (1932)

- Robert Kurz - Intervista alla Rivista E - (Dicembre 1997) -

Il controverso sociologo tedesco, in un'intervista alla Rivista E, afferma che il sistema capitalista ha spazzato via ogni valore positivo del lavoro, trasformandolo in una frenetica ricerca di denaro.
Robert Kurz è stato la voce fuori dal coro nell'analisi del crollo del sistema socialista. Senza fare uso di sofismi scandalosi, facili da inventare in un'epoca di unanimità, il sociologo tedesco ha identificato nella caduta del muro di Berlino il fallimento di qualsiasi sistema produttivo moderno («si tratta di una crisi globale che minaccia il presunto vincitore e che indica l'esistenza di fondamenta comuni ai due sistemi»). Ribellandosi contro lo status quo degli intellettuali, Kurz mantiene una visione estremamente pessimista di quelle che sono le relazioni di lavoro («il cui fine è soltanto l'accumulazione di capitale») e, di conseguenza, riguardo l'uso gratificante del tempo libero. Pertanto, per lui, qual è il valore che attualmente viene relegato al lavoro? La risposta - nell'intervista che segue - spinge alla riflessione ed all'allarmismo, cosa che in tempo di crisi non fa affatto male.

Rivista E: Avendo presente la crisi economica che si sta dispiegando, nella quale si profila un panorama recessivo in cui la questione occupazionale si fa urgente, qual è l'importanza di realizzare un dibattito intorno allo svago ed al tempo libero?

Robert Kurz: Specialmente in epoca di crisi, è estremamente importante non perdere di vista il dibattito emancipatore sul tempo libero, ma, al contrario, bisogna approfondirlo. In bassato, tale dibattito si è alimentato della prospettiva secondo cui lo sviluppo della produttività tecnica avrebbe diminuito sempre più il tempo necessario per il lavoro, ed avrebbe aumentato sempre più il tempo libero. Tale pensiero si è dimostrato ingenuo, in quanto implica una ragione che non appartiene al sistema moderno dell'economia di mercati. In realtà, il sistema non riesce a convertire la crescita permanente della produttività in maggior tempo libero per il lavoratori, ma solo in lavoro più proficuo - o meglio, al contrario, in disoccupazione. Per questo il dibattito su più tempo libero, finora ha riguardato i periodi buoni. Nella crisi strutturale dei mercati del lavoro è emerso un falso pragmatismo che amministra solamente le necessità del sistema. Perciò non si discute più dell'aumento del tempo libero, ma piuttosto del concetto illusorio di creare posti di lavoro a qualsiasi - dovesse anche essere il peggiore - prezzo. Il motivo non è più la speranza, bensì la paura. In realtà, il tempo libero esiste, ma sotto forma negativa. Ciò significa che il sistema mercantilista non riesce più ad organizzare la propria produttività. C'è bisogno di coraggio per discutere di questi fatti, invece di reagire ciecamente agli stimoli insensati della logica dominante.

Rivista E: Nel libro "Il Collasso della Modernizzazione - dal Crollo del Socialismo di Caserma alla Crisi dell'Economia Mondiale", lei si riferisce al lavoro in quanto «sfruttamento economico astratto, nelle imprese, della forza lavoro umana e delle materie prime» ed aggiunge che «essa è un'attività che, stranamente, trae la sua finalità da sé stessa». Ci può spiegare meglio questi concetti?

Robert Kurz: La vecchia definizione "sfruttamento" suggerisce che i prodotti vengono sempre presi dai lavoratori e dati agli altri. Ma il problema è assai più complesso. Il capitalismo non  è una società che in modo primordiale gli uni lavorano e gli altri ne approfittano. Esso ha confuso il rapporto fra il mezzo ed il fine. Il lavoro non è un mezzo per raggiungere dei fini personali, ma l'assurda auto-referenzialità di un sistema in cui le persone sono state ridotte ad un mezzo. Nemmeno gli imprenditori sono i soggetti, bensì sono parti di un meccanismo economico irrazionale. Perciò sarebbe meglio, anziché parlare di semplice sfruttamento, usare il termine di spreco astratto di forza lavoro umana in maniera ponderata. Gli uomini sono oggetti di altri uomini che restano soltanto in secondo piano - in primo piano c'è solo il materiale di un meccanismo sociale. Questa teoria dev'essere criticata radicalmente.

Rivista E: L'uomo è destinato a vivere sotto questa forma sconfortante di produzione oppure ha un'altra alternativa che non sia quella del "lavoro morto" cui lei allude? C'è una funzione ideale per il lavoro?

Robert Kurz: Il lavoro non è una condizione sovra-storica dell'esistenza umana, ma è un risultato storico. Il fatto che gli uomini trasformano la materia prima o  che prestano servizi agli altri di per sé non definisce solo quello che chiamiamo lavoro. Il termine astratto "lavoro" ha senso soltanto in un sistema che ignora ogni differenza qualitativa delle attività e del quotidiano per ridurli ad un astratto comune. Solo nella "economia asservita" (Karl Polanyi) del sistema produttivo moderno è emerso il lavoro come ambiente funzionale della razionalità imprenditoriale separato dalla vita. Solo in tali condizioni, può emergere l'antagonismo fra lavoro e tempo libero. Sotto quest'aspetto sarebbe un sollievo criticare il lavoro in sé, anziché cercare di definirlo di nuovo ogni volta. Non esiste lavoro giusto, ma solamente lavoro come funzione che ha perso il suo senso ed al quale dobbiamo porre fine.

Rivista E: Quale sarebbe la (giusta) formula ideale del "lavoro vivente"? È del tutto contestabile l'idea di lucro? Sarebbe possibile trovare, modernamente, ancora una volta forme non monetarie di lavoro?

Robert Kurz: Purtroppo attualmente ci troviamo intrappolati nei concetti, poiché non abbiamo ancora imparato a pensare al di là del lavoro. Così il profitto in quanto tale, ad esempio, non è nient'altro che il modo in cui, nel calcolo amministrativo, appare il fine astratto del lavoro. Questa categoria di profitto non ha niente a che vedere con il fatto che anche una società liberata dal lavoro non spende tutto, ma conta su delle riserve per sostituire i mezzi di produzione già spesi - o per creare, se vuole, capacità addizionali. Però, il profitto come forma monetaria di lavoro astratto non riflette questo problema funzionale o tecnico, ma solamente l'obbligo all'accumulazione permanente del capitale finanziario in quanto dipendente dal modello di redditività. In questa maniera, al giorno d'oggi secondo i parametri della globalizzazione, vengono eliminati mezzi di produzione ancora intatti, anche se le necessità di base non sono state soddisfatte; e le riserve vengono sprecate per degli scopi che non riflettono le reali necessità. Perciò, le idee di forme di lavoro non monetarie sono una contraddizione in termini - così come l'idea contraria di un reddito di base per tutti coloro che si trovano senza lavoro.
Senza il meccanismo economico del sistema, la forma monetaria sarebbe soltanto una forma marginale per poche transazioni - come nelle società premoderne. Il denaro ha assunto la forma di flusso sociale generale solo a causa dell'auto-fine moderno del lavoro, che ha come obiettivo quello di trasformare l'energia umana astratta in denaro. Naturalmente, ciò non significa la necessità del ritorno alla società agraria antica, ma, al contrario, di andare oltre il denaro dal momento che esso non riesce più a controllare le forze produttive moderne. Il denaro è nient'altro che un mezzo primitivo che rappresenta la forma materializzata del lavoro e che in tale funzione ha trasformato il fine irrazionale che occupa lo spazio degli antichi dei. L'economia monetaria totalitaria moderna è una religione secolarizzata. Così come la soggettività umana è dipesa dal sacrificio agli dei del passato, nella modernità dipende dalla dedizione dell'uomo alle leggi del denaro. Solamente la nostra paura superstiziosa ci impedisce di criticare il denaro.

Rivista E: Lei afferma che «la sottomissione sensibile del lavoro e delle necessità all'auto-riflessione cieca nel denaro è mostruosa» e che la paralisi del sistema che non è stato in grado di trasformare il lavoro vivo in denaro ha creato un processo contraddittorio. Come spiega questa contraddizione?

Robert Kurz: Il feticcio doppiamente secolarizzato - lavoro e denaro - è un meccanismo sociale, un meccanismo globale del capitale. Questo pensiero, assai più che una metafora, lo si può trovare già nell'opera di Adam Smith, il fondatore del pensiero economico moderni. La famosa hand invisible (Mano invisibile) è la funzione meccanica del sistema, sotto forma di un riferimento automatico (parlando in maniera cibernetica) del lavoro morto (denaro) a sé stesso: la forma morta del denaro si trasforma in forma viva del lavoro umano per trasformarsi nuovamente (in quantità maggiore) in forma morta di denaro, e così all'infinito. Ma in questo meccanismo globale c'è un difetto logico: da un lato, il fine automatico del capitale è quello di accumulare lavoro morto astratto attraverso il dispendio astratto di lavoro vivo; dall'altro lato, la concorrenza sui mercati anonimi costringe ad uno sviluppo delle forze del lavoro che rende superfluo il lavoro vivo e che estrae il lavoro dal processo di produzione. Questa contraddizione interna del capitale, in passato ha portato a varie crisi che hanno potuto essere compensate per mezzo dell'espansione del sistema. Il lavoro vivo si è reso superfluo solo in relazione allo stesso prodotto; ma con il fatto che i prodotti diventano sempre più a buon mercato, la produzione vendibile è aumentata così tanto in modo che ci fosse anche più lavoro vivo redditizio. L'eliminazione del lavoro vivo dalla produzione è avvenuta più lentamente rispetto all'espansione dei mercati. Tale relazione si inverte oggi per la prima volta con le nuove forze del lavoro microelettronico della terza rivoluzione industriale: ora, la razionalizzazione e l'automazione avanzano più rapidamente di quanto faccia l'espansione dei mercati. Il meccanismo globale si indebolisce e alla fine ristagna.

Rivista E: Lei sostiene che le crisi inerenti alla crescita del lavoro astratto apparivano superabili. Sarebbe la crisi attuale, alla fine, ad essere un sintomo della stanchezza del sistema? Il suo libro è stato scritto nell'epoca della fine del regime sovietico. Oggi, passati quasi dieci anni dall'inizio del processo di destrutturalizzazione dell'Est e di fronte al ritorno al potere dei socialisti in gran parte degli Stati europei, lei ritiene davvero che il "sistema crollato" non verrà mai più riesumato?

Robert Kurz: Il "sistema vinto" del socialismo non è mai stato un'alternativa al capitalismo occidentale, ma semmai ne è stato solo una variante storica - dovuta al problema della "modernizzazione ritardata". Sia il socialismo occidentale che la dottrina keynesiana non sono riusciti a superare il capitalismo. In generale, finora la sinistra è stata solamente una dissidenza storica rispetto al liberalismo del XIX secolo, la quale pensava anche secondo le categorie del sistema mercantilista moderno. La caratteristica comune al comunismo, al socialismo ed al keynesismo è stata il tentativo di regolamentare il meccanismo attraverso lo Stato e la politica, anziché negarlo. Perciò, l'indebolimento del sistema ha reso impossibili tutte le varianti di regolamentazione politica. Non abbiamo una rinascita di queste idee obsolete, ma soltanto una certa nostalgia socialista o keynesiana. Blair e Schröder sono delle marionette dei media. Non rappresentano una nuova prospettiva, ma sono solo la forma paradossale di un neoliberismo socialista, o di un socialismo neoliberista. È il socialismo dopo la sua capitolazione totale, il fantasma di una falsa speranza che è morto oramai da molto tempo.

Rivista E: È fantasioso immaginare una società senza lavoro? In che modo affronta il concetto del non-lavoro (svago, tempo libero)?

Robert Kurz: Una società posteriore al lavoro ed al denaro sarà in grado di organizzare le forze produttive anche al di là delle istituzioni del mercato e dello Stato, attraverso l'auto-amministrazione diretta. Il «metabolismo sociale con la natura» (Marx) e l'attività umana in sé non si fermerà qui, ma neppure torneranno mai più alla forma astratta e feticista che chiamano lavoro. Perciò non solo può aumentare il tempo libero, così come in generale deve sparire l'antagonismo fra lavoro e tempo libero. Se smette di esistere un ambiente di "economia assorbita" separata e ridotta funzionalmente, quindi il lavoro, le fasi dell'attività e dell'inattività si collocheranno in maniera nuova e diversa e per cui ancora non abbiamo dei termini esatti. Si può pensare sia ad un ozio attivo che ad un'attività tranquilla, forse contemplativa.

Rivista E: La distribuzione del tempo libero è democratica? Lo svago ed il tempo libero sono benefici di cui godono solo i ricchi ed i disoccupati?

Robert Kurz: Sotto il giogo del meccanismo globale capitalista ed ancora di più in tempo di crisi, non esiste tempo veramente libero. Il cosiddetto svago non è un tempo liberato, ma è semmai parte del feticismo e dei suoi obblighi sistemici. Gli imprenditori ed i politici devono smettere di dormire per non sbagliare. Il loro svago è solo continuazione del lavoro con altri mezzi. Sport ed hobby costosi non garantiscono tranquillità, e assai spesso portano ancora più stress. Lo svago dei ricchi è diventato edonismo ad alto grado. Anche i disoccupati non riescono a godere del tempo libero per svagarsi. Il loro lavoro è quello di cercare lavoro; e i poveri scavano nei cassonetti della società per poter sopravvivere. Il tempo di disoccupazione non è tempo libero, è tempo di miseria.

Rivista E: Come analizza i programmi ch gestiscono l'uso del tempo libero?

Robert Kurz: Il tempo libero capitalista non è più spazio di svago e di autonomia, dal momento che è stato occupato da tempo dall'industria della cultura e dello svago. In alte parole: il tempo libero è dominato sia dall'obiettivo dell'accumulazione del lavoro morto che dallo stesso tempo di lavoro. L'industria culturale reprime l'autonomia culturale e la riflessione intellettuale od artistica delle masse. I suoi prodotti sono prevedibili e sono destinati ad un consumo cieco. Così, il sistema mira a squalificare anche la capacità di consumo delle persone. Invece di una conoscenza frutto della riflessione, c'è solo la reazione automatica agli stimoli, come con il cane di Pavlov. Questa riduzione, espropriazione ed idiotizzazione del consumo è universale ed è altrettanto globalizzata dei mercati finanziari. Periferia e centro, poveri e ricchi, Nord e Sud hanno qualcosa in comune: imbestialimento secondo i criteri di mercato. Questo non è poi così diverso in Germania se paragonata al Brasile. Il sistema non ammette una miscela produttiva delle culture, ma semmai una dittatura globalizzata che livella verso il basso le offerte dell'industria culturale che aiuta in tutto il mondo l'uomo ad ammazzare il tempo.

fonte: EXIT!

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