giovedì 15 giugno 2017

ricette per l'osteria dell'avvenire

Gabutti

Dostoevskij indovinò le derive della rivoluzione. Marx invece era convinto che i terroristi russi avrebbero portato la democrazia.
- di Diego Cabutti -

Per essere uno che non intendeva "prescrivere ricette [...] per l'osteria dell'avvenire", come ci ricorda Marcello Musto in un saggio dedicato ai suoi ultimi anni, Karl Marx finì per prestare la sua zazzera (un Che Guevara molto in anticipo sui tempi) a chi, senza preoccuparsi delle controindicazioni, non fece altro che prescrivere ricette per l'osteria dell'avvenire ad intere nazioni.
Chiunque abbia letto Marx senza passare attraverso gli interpreti, ciascuno dei quali se l'è rigirato come voleva, sa benissimo che Marx, noto ai contemporanei come "Red Tettor Doctor", non somigliava granché all'immagine che, negli ultimi centocinquant'anni, ne è stata tramandata dai marxisti di tutte le scuole, molte delle quali si sono combattute (e spesso sterminate) a vicenda. Marx, che evidentemente sentiva arrivare la tempesta, avendola anticipata (nel suo piccolo) anche un po', si dichiaro pubblicamente "non marxista". Ben detto, ma ci voleva altro.
C'era la sua barba, dopotutto, per non parlare della sua rendigote male in arnese da vecchio bohémien, sulle bandiere dei partiti socialisti e comunisti. C'era lui, Karl Marx in posa per la fotografia, nella galleria dei ritratti di maestri del proletariato che la peggior feccia ideologica del XX secolo portò spericolatamente in corteo dal 1917 fino all'altro ieri. Lui ed Engels, lui e Lenin, lui e Stalin, lui ed il presidente Mao.
Era Marx - l'autore del "Manifesto", della "Questione ebraica" e del "Capitale" - a controfirmare le ricette da osteria dell'avvenire che tutti quei Conducator e segretati generali prescrivevano ai popoli, altrettante medicine che giravano peggio dei vaccini secondo Beppe Grillo.
Negli ultimi anni, immerso in letture antropologiche, incapace di metter mano al secondo volume del Capitale, intorno al quale ormai si gingillava da tre lustri, a Marx toccarono onori e disgrazie. Era considerato un gran'uomo dalle opposizioni operaie sia in Europa che nelle Americhe; il Manifesto che lui ed Engels avevano scritto nel 1848 era diventato la Bibbia del proletariato militante; i capi dei nascenti partiti socialisti facevano la fila davanti alla porta della sua casa londinese, il cui affitto era pagato da Engels.
Aveva anche parecchi nemici, naturalmente: gli anarchici (che erano passati dalla parte di Mikhail Bakunin, l'altra rock star del movimento operaio internazionale) e la polizia inglese (ma era simpatico, sembra, alla Regina Vittoria, dalla quale ebbe forse un invito per il tè).
Insieme agli onori, le disgrazie: la morte della moglie, Jenny von Westphalen, e della figlia Jenny (che si chiamava come la madre e che, come lei, morì di tumore). Marx sopravvisse di poco all'una e all'altra.
Nemmeno la matematica, con la quale si dilettava da quando gli studi economici non gli davano più la soddisfazione di un tempo, potè consolarlo. Anche la sua salute declinava da tempo. Aveva cercato conforto e bel tempo in Algeria, ma invano. Col tempo la sua fama si appannò, ed allo scoppio della Grande Guerra i "marxisti", tra i quali lui non si sarebbe annoverato, erano quasi scomparsi, a parte piccole minoranze, come i bolscevichi ed i menscevichi russi.
Marx e le sue teorie tornarono in Hit Parade con la rivoluzione russa, che trasformò il marxismo in una religione, e fece della sua guerra al modo di produzione capitalistico una jihad.

Gli ultimi anni di Marx furono anche quelli in cui questo campione del proletariato industriale s'incapricciò della proprietà comune agricola russa e del terrorismo populista. Definì le imprese dei terroristi russi "una fiaba". Erano gli stessi anni in cui Dostoevskij metteva in guardia il mondo dal nichilismo di cui proprio il populismo armato dei terrostisti russi era l'anaguardia. Dostoevskij indovinò le derive della rivoluzione; Marx, convinto che i terroristi avrebbero portato la democrazia in Russia, sbagliò anche questa previsione come tutte le altre.

- Diego Gabutti - pubblicato su Italia Oggi del 24 settembre 2016 -

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