venerdì 12 maggio 2017

Il soggetto che non c'era

soggetto

Il proletariato non è il soggetto della storia
- di Moishe Postone -

Ora, possiamo tornare alla questione del ruolo storico della classe operaia e della contraddizione fondamentale del capitalismo, così come lo tratta implicitamente Marx nella sua critica della maturità. Concentrandomi sulle forme strutturanti della mediazione sociale costitutiva del capitalismo, ho mostrato come la lotta di classe non generi in sé e per sé la dinamica storica del capitalismo; in realtà, essa è un elemento motore di questo sviluppo solo in quanto è strutturata da delle forme sociali intrinsecamente dinamiche. Com'è stato notato, l'analisi di Marx rifuta l'idea che la lotta fra la classe capitalista ed il proleteriato sia una lotta fra la classe dominante nella società capitalista e la classe che reca in sé il socialismo e che, di conseguenza, il socialismo porti all'autorealizzazione del proletariato.
Quest'ultima idea è intimamente legata alla comprensione tradizionale della contraddizione fondamentale del capitalismo intesa come contraddizione fra la produzione industriale ed il mercato e la proprietà privata. Ciascuna delle due grandi classi del capitalismo viene identificata con uno dei termini di questa "contraddizione"; l'antagonismo fra lavoratori e capitalisti viene quindi visto come l'espressione sociale della contraddizione strutturale fra le forze produttive ed i rapporti di produzione. Tutta questa concezione si basa sul concetto di «lavoro» inteso come fonte trans-storica della ricchezza sociale ed elemento costitutivo della vita sociale.

Io ho criticato i postulati soggiacenti a tale concezione, spiegando nel dettaglio le distinzioni fatte da Marx fra lavoro astratto e lavoro concreto, fra il valore e la ricchezza materiale, ed ho mostrato la centralità di queste distinzioni nella sua teoria critica. E sulla base di tali distinzioni, ho sviluppato la dialettica del lavoro e del tempo che si trova al centro dell'analisi marxiana del modello della crescita e della traiettoria della produzione che caratterizza il capitalismo.
Secondo Marx, lungi dall'essere la materializzazione delle sole forze produttive - che sono strutturalmente in contraddizione col capitale - la produzione industriale fondata sul proletariato è completamete modellata dal capitale; è la materializzazione delle forze produttive e dei rapporti di produzione. Non può essere quindi colta come un modo di produzione che, invariato, potrebbe servire da base per il socialismo. In Marx, la negazione storica del capitalismo non può essere intesa come una trasformazione che renderebbe il modo di produzione adeguato al modo di produzione industriale sviluppato sotto il capitalismo.

Allo stesso modo, è ormai chiaro che, nell'analisi di Marx, il proletariato non è il rappresentante sociale di un possibile futuro non capitalista. Le idee logiche del dispiegarsi della categoria del capitale, così come vengono espresse da Marx, sono analisi della produzione industriale che rifiutano i postulati tradizionali che fanno del proletariato il soggetto rivoluzionario. Per Marx, la produzione capitalista si caratterizza attraverso un'immensa espansione delle forze produttive e delle conoscenza che si sono formate in un quadro determinato dal valore e che, pertanto, esistono sotto la forma alienata del capitale. Allorché la produzione industriale si è pienamente sviluppata, le forze produttive del tutto sociali sono diventate più grandi dell'abilità, del lavoro e dell'esperienza del lavoratore collettivo. Esse sono socialmente generali, la conoscenza ed i poteri accumulati dall'umanità si costituiscono essi stessi in quanto tali sotto forma alienata; non possono essere adeguatamente apprese in quanto forze oggettivate del proletariato. Il «lavoro morto», per riprendere i termini di Marx, non è più l'oggettivazione del solo «lavoro vivente»; è diventato l'oggettivazione del tempo storico.

Secondo Marx, con lo sviluppo della produzione industriale capitalista, la creazione della ricchezza materiale diventa sempre meno dipendente dal dispendio di lavoro umano impiegato nella produzione. Questo tipo di lavoro continua, tuttavia, a giocare necessariamente un ruolo nel senso che la produzione di (plus)valore dipende da esso; la ricostituzione strutturalmente fondata del valore si rivela allo stesso tempo come la ricostruzione della necessità del lavoro proletario. Per cui: mentre la produzione industriale capitalista continua a svilupparsi, il lavoro proletario è sempre più superfluo dal punto di vista della ricchezza materiale, quindi è anacronistico; tuttavia, rimane necessario in quanto fonte del valore. Allo stesso tempo in cui si manifesta questa dualità, più il capitale si sviluppa e tanto più rende vuoto e frammentato quello stesso lavoro che richiede per costituirsi.

L'«ironia» storica di questa situazione, come l'analizza Marx, risiede nel fatto di essere costituito dal lavoro proletario stesso. Si noti a tal proposito come sia rivelatorio che Marx, allorché considera la categoria econonico-politica del «lavoro produttivo», non la tratta come un'attività sociale che costituisce la società e la ricchezza in generale - in altri termini, non la tratta affatto come «lavoro». Piuttosto, egli definisce il lavoro produttivo sotto il capitalismo come lavoro che produce il plusvalore, vale a dire come un contributo all'autovalorizzazione del capitale [1]. Allo stesso tempo, Marx trasforma ciò che, nell'economia politica classica, è una categoria trans-storica e positiva, in un categoria storicamente specifica e critica, che coglie ciò che si trova al cuore del capitalismo. Lungi dal glorificare il lavoro produttivo, Marx scrive: «Il concetto di lavoratore produttivo quindi non include affatto il solo rapporto fra attività ed effetto utile, fra lavoratore e prodotto del lavoro, ma è allo stesso tempo un rapporto sociale specifico, nato dalla storia, che appone sul lavoratore il sigillo di mezzo di valorizzazione immediata del capitale. Essere un lavoratore produttivo dunque non è una possibilità, ma al contrario una maledizione» [2]. In altri termini, il lavoro produttivo è la fonte strutturale del suo auto-dominio.

Nell'analisi di Marx, il proletariato rimane così strutturalmente importante per il capitalismo, in quanto fonte del valore, ma non di ricchezza materiale. Questo si trova agli antipodi delle interpretazioni tradizionali riguardo il proletariato: lungi dal costituire le forse produttive socializzate che entrano in contraddizione con i rapporti sociali capitalisti e che allo stesso tempo portano ad un possibile futuro post-capitalista, la classe operaia è per Marx l'elemento costitutivo essenziale di questi stessi rapporti. Sia il proletariato che la classe capitalista sono legati al capitale, ma il proletariato lo è di più: si può immaginare il capitale senza capitalisti, ma non senza il lavoro creatore del valore. Secondo la logica dell'analisi di Marx, la classe operaia, anziché portare in sé una possibile società futura, essa è la base necessaria del presente sotto il quale soffre; essa è legata all'ordine esistente in un modo che ne fa di essa l’oggetto della storia.

In breve, l'analisi che Marx fa della traiettoria del capitale non mostra affatto la possibile auto-realizzazione, in una società socialista, del proletariato come vero soggetto della storia [3]. Al contrario, presenta la possibile abolizione del proletariato e del lavoro che il proletariato svolge come una condizione dell'emancipazione. Quest'interpretazione implica necessariamente il ripensare di nuovo il rapporto fra la lotta di classe nella società capitalista ed il possibile superamento del capitalismo - problema al quale, qui posso solo alludere. Questo indica che non si può comprendere la possibile negazione storica del capitalismo suggerita dalla critica di Marx in termini di riapproriazione da parte del proletariato di ciò che egli ha costituito e, pertanto, in termini di abolizione della sola proprietà privata. In realtà, la logica dell'esposizione di Marx implica chiaramente che la negazione storica del capitalismo dev'essere concepita come la riappropriazione da parte degli uomini delle capacità socialmente generali le quali alla fine non si fondano sulla classe operaia e che si sono storicamente costituite sotto la forma alienata del capitale [4]. Una tale riappropriazione è possibile solo se la base strutturale di questo processo di alienazione - il valore, quindi il lavoro proletario - viene abolito. D'altronde, l'apparizione storica di tale possibilità dipende dalla contraddizione soggiacente al capitalismo.

- Moishe Postone - Estratto dal libro «Temps, travail et domination sociale. Une réinterprétation de la théorie critique de Marx», pp.519-524 -

NOTE:

[1] - Il Capitale - libro I -

[2] - Ibid. Ciò conferma ancora una volta che non dobbiamo prendere la centralità del lavoro proletario nell'analisi marxiana del capitalismo come una valutazione positiva del primato ontologico del lavoro nella vita sociale, né come parte di un argomento secondo il quale gli operai costituiscono il gruppo più oppresso della società. In realtà, il lavoro si trova al centro dell'analismi marxiana in quanto elemento costitutivo fondamentale della forma dinamica ed astratta di dominio sociale propria del capitalismo - vale a dire in quanto centro della critica. L'analisi marxiana del lavoro determinato dalla merce e la relazione di tale analisi con il concetto di soggetto suggerisce anche un approccio storico-strutturale al problema di sapere quali sono le attività diventate socialmente riconosciute come lavoro e quali sono gli individui socialmente considerati come soggetti. Questa interpretazione potrebbe contribuire alla discussione sulla costituzione socio-storica dei generi e cambiare i termini di molti dibattiti recenti sulla relazione della critica marxiana con i problemi relativi alla posizione socio-storica delle donne, delle minoranze etniche ed altri tipi di gruppi. Tali dibattiti hanno tentato di partire da posizioni marxiste tradizionali o di opporvisi. (Questa tendenza si è espressa, ad esempio nel fatto di sapere se il lavoro domestico sia per la società altrettanto importante del lavoro in fabbrica, o se la classe - come opposta al genere, alle etnie o ad altre categorie sociali - è necessariamente la categoria più pertinente quando si parla di oppressione sociale).

[3] - Jean Cohen, si oppone anche lei all'idea del proletatiato come soggetto rivoluzionario, ma identifica questa posizione marxista tradizionale con l'analisi che Marx fa del processo di produzione capitalista. Vedi Jean Cohen, Class and Civil Society : The Limits of Marxian Critical Theory, 1982, pp. 163-228.

[4] - Quest'analisi rifiuta le interpretazione che attribuiscono a Marx l'idea quasi romantica secondo la quale il superamento del capitalismo portebbe alla vittoria del «lavoro vivente» sul «lavoro morto». Vedi Jurgen Habermas, Teoria dell'agire comunicativo, in due volumi, Il Mulino.
Come poi lo svilupperò nel paragrafo successivo, l'analisi di Marx suggerisce di fatto che la possibilità di una società futura qualitativamente differente ha le sue radici nel potenziale contenuto nel «lavoro morto».

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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