mercoledì 22 febbraio 2017

Rotture

breton

Sul filo di importanti corrispondenze inedite anche in Francia, privilegiando alcuni aspetti privati e con un racconto più obiettivo rispetto all'immagine denigratoria del "papa" del surrealismo o a quella mitizzata dall'esegetica surrealista, il saggio di Paola Decina Lombardi ricostruisce le tappe essenziali dell'esperienza umana e intellettuale di Breton. L'opera poetica, saggistica e teorica, le scelte di campo e lo stile di vita testimoniano quanto André Breton abbia inseguito e proposto, pur tra inquietudini e contraddizioni, un ideale di vera vita riconducibile al mito dell'Età dell'oro che - al di là dei risvolti utopici - ha cercato di mettere in pratica con coerenza. L'eco del mito che esaltava le origini dell'umanità, un tempo di innocenza, giustizia, e pace, felicità e abbondanza, si traduceva per lui in un ideale capace di nutrire il desiderio, l'impegno e la speranza di cambiamento, cioè una vita a misura d'uomo, alimentata dall'oro della realtà interiore, ricca del potere della mente, e non dalla moneta di una realtà dei tempi, povera di valore.

(dal risvolto di copertina di: Paola Dècina Lombardi: L’oro del tempo contro la moneta dei tempi. André Breton, piuttosto la vita, Castelvecchi, pp. 411, € 28)

Breton, biografia di un “moralista” del Novecento
- di Andrea Cortellessa -


L’appassionata e documentatissima biografia ( L’oro del tempo contro la moneta dei tempi. André Breton, piuttosto la vita, Castelvecchi, pp. 411, € 28) che la nostra maggiore studiosa del surrealismo, Paola Dècina Lombardi, ha dedicato al suo controverso padre-padrone André Breton (uscita nel cinquantennale della morte, settembre 1966), si conclude con un aneddoto a sua volta controverso. Da Breton pranzano René Magritte e sua moglie Georgette, che ostenta una croce al collo. Breton non ci pensa su un momento: «Signora, o si toglie quella croce, o non posso mangiare alla sua tavola». Al che Magritte si alza, prende per mano Georgette, esce senza dire una parola.
È solo una delle tante «rotture», nella vita del Papa del Surrealismo: «rotture» con le sue donne – quattro mogli e altre stelle filanti – e coi compagni di strada. Coi quali, le une e gli altri, Breton segue sempre lo stesso copione: colpo di fulmine, amour fou, esperienza fusionale, dissenso – apertamente teorico o politico, segretamente pulsionale –, «espulsione» e damnatio memoriæ. La lista fa impressione: da Aragon a Ernst, da de Chirico a Dalì, da Tzara a Trockij, da Bataille a Leiris, da Artaud a Queneau, sino al giovane Jacques Lacan (le cui prime pubblicazioni escono sulla rivista surrealista Minotaure).
La cosa più giusta l’ha detta un altro pittore, Roberto Sebastian Matta: «Le persone che hanno litigato con Breton hanno litigato con una parte di se stessi. […] Coloro che lo odiano, odiano se stessi». Uccidere simbolicamente il Padre-Papa – folgorato da Freud, poi deluso dall’incontro con lui (ma che coi sogni e le nevrosi commerciava da quando era studente di medicina e infermiere durante la Grande Guerra, e che da Pierre Janet aveva preso la definizione di «scrittura automatica») –, per tutti i suoi figli-traditori, fu l’unico modo per rendersi adulti. Il tipico «maestro avverso», insomma: che Dècina Lombardi considera un «moralista classico», alla stregua di Montaigne e Pascal, della modernità. Breton conservava un saggio di Croce, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel: ed è il caso di porsi, rispetto a lui, la stessa domanda

- Andrea Cortellessa - pubblicato su La Stampa del 19/2/2017 -

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