venerdì 27 gennaio 2017

Sparire

agamben

Quarant’anni dopo il libro di Sciascia, il mistero della scomparsa di Ettore Majorana, avvenuta il 25 marzo 1938, è rimasto immutato. Com’è possibile che il più promettente e geniale fra i fisici riuniti intorno a Enrico Fermi sia sparito senza lasciare traccia? Sciascia aveva ipotizzato che la decisione di scomparire e di abbandonare la fisica fosse stata presa da Majorana nel momento in cui si era reso precocemente conto che le ricerche di Fermi avrebbero portato alla bomba atomica, ma la sua ipotesi è stata sempre smentita dai fisici. Agamben in questo libro affaccia un’altra e più persuasiva ipotesi.
Analizzando attentamente un articolo postumo di Majorana sul Valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, che dimostra che nella fisica quantica la realtà deve dissolversi nella probabilità, Agamben suggerisce che Majorana, scomparendo senza lasciare tracce, ha fatto della sua persona la cifra stessa dello statuto del reale nell’universo probabilistico della fisica contemporanea e ha posto alla scienza una domanda che aspetta ancora la sua risposta: che cos’è reale?
(dal risvolto di copertina di: Giorgio Agamben, "Che cos'è reale? La scomparsa di Majorana", Neri Pozza, Pagine 80 Euro 12,50)

Majorana siamo noi
- di Maurizio Ferraris -

In L’accostamento ad Almotàsim, Borges propone la recensione fittizia di un romanzo mai scritto ove si narra della ricerca dell'assoluto - Almotàsim, una immagine di Dio - da parte di uno studente di Bombay, che si conclude davanti a una tenda: una voce umana, "la increíble voz de Almotàsim" lo invita a scostarla, lui ubbidisce, e qui si chiude il romanzo immaginario. Con una narrazione di idee in cui compaiono Aristotele e Bohr, Heisenberg e Simone Weil, Pascal e Louis de Broglie, Cardano e Sciascia, Giorgio Agamben ci propone, in Che cos`è reale? (Neri Pozza) un gioco inverso.
La scomparsa del fisico Ettore Majorana nel marzo 1938, «altrettanto certa quanto improbabile (nel senso letterale del termine: essa non può essere in alcun modo provata e accertata sul piano dei fatti)» è un plot da cui è nato più di un libro, e su tutti quello di Leonardo Sciascia del 1975. Ma se Sciascia propone una lettura politico-morale, per cui Majorana si sarebbe nascosto in un convento, abbandonando la fisica perché avena intuito le potenzialità distruttive dell'atomo, Agamben ci offre una chiave metafisica. Sgomento di fronte alla realtà della nuova fisica, che di fatto è solo probabilità statistica, Majorana, sparendo senza lasciar tracce avrebbe fatto un salto nel reale vero, nell'inaccessibile, quasi che (se vale il paragone borgesiano che propongo) Majorana avesse varcato la soglia e fosse stato inghiottito da Almotàsim.
La chiave di volta dell'interpretazione di Agamben è fornita da un saggio di Majorana, Il valore delle leggi statistiche nella Fisica e nelle Scienze sociali, uscito postumo nel 1942 (e pubblicato in appendice al volume agambeniano), in cui tratta «dell’abbandono del determinismo nella meccanica classica a favore di una concezione puramente probabilistica del reale». Einstein sosteneva che Dio non gioca a dadi con l’universo, ma la meccanica quantistica trasforma il mondo in un tavolo verde dove si buttano dei dadi, e i fisici in giocatori che, con l’aiuto del calcolo delle probabilità, cercano di prevedere i risultati dei tiri, mentre con le loro osservazioni interferiscono sui risultati. Se è così, l’unico modo per aver accesso all’assoluto, al reale intatto e incontaminato in un mondo preda della contingenza, è la scomparsa, sottrarsi a qualunque osservazione. In termini kantiani, è come se Majorana, non sopportando l’incertezza del mondo dei fenomeni e persuaso che questi non sono cose in sé, avesse deciso di sparire nel mondo dei noumeni.
Ma siamo certi che l’instabilità del reale sia davvero tale, e sia confermata dall’esempio della realtà quantistica? E che il probabilismo e la statistica riguardino il reale (l’ontologia, quello che c’è) e non la conoscenza che ne abbiamo, le nostre capacità predittive (ossia l’epistemologia)? Con l’esse est percipi Berkeley sosteneva che "essere è percepire o essere percepito", mentre Majorana, se seguiamo l’interpretazione di Agamben, sarebbe incorso in una fallacia simmetrica: esse est concipi, esiste solo ciò che possiamo conoscere, e la nostra debolezza epistemologica si trasforma in una debolezza ontologica.
Se così fosse -e questo avviene spesso nel pensiero moderno, determinandone l’antirealismo - si riproporrebbe, amplificata, la stessa difficoltà che si presenta per un mondo kantiano preso alla lettera: nessuno di noi ha difficoltà a pensare che il sole e le stelle siano dei fenomeni (contrapposti a delle cose in sé inaccessibili), ma difficilmente accetteremmo di considerare come dei fenomeni i nostri amici e parenti. Se si attribuisse alla realtà storica e sociale le caratteristiche della realtà quantistica, che riguarda un livello microscopico, allora tutto il nostro mondo non avrebbe senso, né avrebbero senso gli scrupoli, i tormenti o i timori che hanno determinato la scomparsa di Majorana.

- Maurizio Ferraris - Pubblicato su Repubblica/Robinson il 15 gennaio 2017 -

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