mercoledì 25 gennaio 2017

Prima della crisi

usa

Il meccanismo della corrosione
- In assenza di una base reale nella produzione di merci, la crescita economica messa in atto dagli Stati Uniti negli anni 80 e 90 ora minaccia di sbriciolarsi -
di Robert Kurz

Si dice che quando gli Stati Uniti tossiscono, il resto del mondo ha la polmonite. Dal momento che gli Stati Uniti sono l'ultima potenza mondiale non solo nella sfera politica e militare, ma anche in quella economica. Negli anni 1980, il Giappone era considerato ancora come il maggior concorrente, che forse avrebbe potuto arrivare a predominare sugli Stati Uniti. Poi, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, erano i "mercati dell'Oriente" quelli che avrebbero dovuto dare origine ad un nuovo miracolo economico. Successivamente, le tigri asiatiche fecero sì che si parlasse di loro, e venne proclamato il "secolo del Pacifico". Anche Cile ed Argentina, allievi esemplari del neoliberismo in America Latina, sono stati celebrati come portatori della speranza in una nuove era di crescita.

Di tutti questo miti dell'ottimismo capitalista non è rimasto nient'altro che un mucchio di cenere. In realtà, non c'è stato che un solo ed unico miracolo economico, da cui sono dipesi tutti gli altri: il boom straordinario degli anni 1980 e soprattutto degli anni 1990 negli Stati Uniti. Ma ormai non si trattava più di una tradizionale congiuntura economica interna. Gli Stati Uniti non costituiscono affatto un modello di economia politica che, in virtù del suo successo, tutti gli altri cercano di imitare all'interno dei propri confini, come vorrebbe farci credere la propaganda ufficiale. Al contrario, l'economia nordamericana, che prima era autosufficiente solo a causa della sua grandezza, ha finito per rovesciare su tutta l'economia mondiale un effetto di risucchio reale, e non meramente ideologico.
Essenzialmente, il processo di globalizzazione è stato una "americanizzazione" dei flussi globali di denaro e di merci.

Nel passato, i cicli congiunturali avvenivano in maniera asincrona nelle diverse regioni del mondo, principalmente nei tre grandi centri, Giappone, Stati Uniti ed Europa Occidentale: ad un miglioramento qui si contrapponeva, per la maggior parte delle volte, un peggioramento lì, di modo che si potesse generare un equilibrio nel lungo periodo, grazie al rafforzamento delle esportazioni verso la corrispondente regione prospera, e a causa dell'inversione ciclica di tale processo. Come contropartita, negli anni 80 e ancor di più nei 90, l'economia mondiale è entrata in un circuito congiunturale sincrono, dal momento che la cosiddetta globalizzazione non è stata nient'altro che un crescente adattamento globale all'economia nordamericana. Da quel momento in poi, un numero sempre più crescente di paesi hanno cominciato ad inviare le loro sempre più crescenti eccedenze di merci verso gli Stati Uniti attraverso la strada a senso unico dell'esportazione.
In tal modo, una parte sempre maggiore dei profitti ottenuti tornava anche rapidamente, come esportazione di capitale monetario, alle istituzioni finanziarie degli Stati Uniti. E sempre più confluivano lì gli investimenti diretti di tutto il mondo, servendo, direttamente sul posto, il mercato nordamericano apparentemente inesauribile.

La ricerca industriale della diminuzione dei costi, in tutto il pianeta, e l'intreccio transnazionale a questa legato, sono elementi costitutivi di questa evoluzione. Quel che appare formalmente come flusso di esportazioni e di importazioni dei merci fra le diverse economie nazionali - e che in realtà è l'espressione di una dispersione globale dei vari componenti della produzione industriale - è essenzialmente mediato dall'adattamento generalizzato ed unilaterale agli Stati Uniti. Una parte considerevole delle esportazioni fra le diverse regioni del mondo, soprattutto dall'Europa all'Asia e viceversa, ma anche dentro l'Asia stessa e dentro l'Europa stessa, non viene consumata nel paese di destinazione; si tratta di importazioni di macchinari, di know-how, di prodotti primari ed intermedi, il cui fine ultimo è, a loro volta, l'esportazione dal rispettivo paese verso gli Stati Uniti. L'effetto globale del risucchio esercitato dall'economia nordamericana è pertanto molto più grande di quanto mostri la partecipazione diretta delle importazioni nordamericane al commercio mondiale. Per conoscere la vera dimensione, bisogna tener conto della parte di commercio mondiale determinata indirettamente dal flusso globale di esportazione verso gli Stati Uniti.

Non c'è quindi da stupirsi del fatto che l'economia nordamericana si sia convertita nella locomotiva economica del mondo. La meraviglia consiste nel come possa continuare ad esserlo. Ormai è da molto tempo che non è un segreto che questo boom è stato essenzialmente una congiuntura causata da bolle finanziarie e che la rapida globalizzazione di quest'epoca è stata essenzialmente una globalizzazione di bolle finanziarie. Il capitalismo industriale ha incontrato i limiti del suo sviluppo. La nuova tecnologia della microelettronica non crea posti di lavoro addizionali e non crea nessuna nuova base per un ampliamento dell'accumulazione reale del capitale; al contrario, fa diventare sempre più superfluo il lavoro e sempre meno redditizie le capacità produttive.

Per questo motivo, per la prima volta nella storia moderna, la bolla speculativa, risultante dall'esaurimento della vecchia industria (quella "fordista"), non è esplosa simultaneamente all'installazione di una nuova tecnologia di base (la microelettronica), di modo che si potesse passare ad una nuova era di accumulazione reale, ma, al contrario, si è gonfiata sempre più. È stata proprio la fiducia mondiale nella forza prodigiosa dell'ultima potenza del pianeta a far sì che quest'improbabile nuova economia sembrasse affidabile. Per questa ragione la bolla centrale ha potuto emergere solo negli Stati Uniti, mentre in nel resto del mondo si formavano bolle più o meno voluminose. In un simile sviluppo, la creazione speculativa di valori fittizi in borsa, in sé non è stato niente di nuovo, se non la retro-alimentazione sistematica estesa all'economia reale. In tutto il mondo si sono verificati crescita, investimenti, occupazioni e consumo che non sono stati pagati con profitti e con salari dell'economia reale, ma con la moltiplicazione fittizia di denaro. Naturalmente, la parte del leone è toccata agli Stati Uniti, il centro di tutto il meccanismo. La logica di questa pseudo-crescita è semplice: si compra nella realtà, prima ancora che sia stato investito realmente qualcosa. Il denaro proviene, per così dire, dall'aria, senza lavoro, senza macchinari, senza merci prodotte; arriva in maniera del tutto "immateriale", dalle quotazioni in rialzo nelle borse. E, con un tale denaro incrementato "immaterialmente" poi si compra lavoro, macchinari e merci. Il punto di partenza è irreale, come si fosse costruito un grattacielo senza le fondamenta.

E non si tratta solo del consumo e degli investimenti, ma anche dell'imponente apparato militare dell'ultima potenza mondiale che viene finanziato, in buona parte, per mezzo di questo ciclo di "capitale fittizio", rispetto al quale gli Stati Uniti costituiscono sempre sia il punto di partenza che di arrivo. La conseguenza è stata un aumento costante del dollaro ed una crescita altrettanto costante del deficit della bilancia commerciale e dei servizi di quel paese.

Nonostante tutti i vecchi risentimenti nei confronti degli Stati Uniti, il mondo dell'economia di mercato, che è diventato dipendente dal "capitale fittizio", sa quanto vale l'ultima potenza mondiale. Ciò vale, e non in ultima analisi, per la cultura postmoderna, che rappresenta teoricamente ed artisticamente il capitalismo delle bolle finanziarie e che, pertanto negli Stati Uniti ha trovato la sua vera casa, sebbene le sue origini siano francesi. Il culto postmoderno dell'ambivalenza, della virtualità e del "lavoro immateriale" è rimasto affascinato dall'imperialismo nordamericano. Dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre, anche le sinistre radicali hanno scoperto il proprio amore per la bandiera stelle e strisce e per i "valori occidentali" rappresentati dagli Stati Uniti, anche se questi valori non hanno alcuna sostanza in termini morali, allo stesso modo in cui il capitale finanziario non ha sostanza in termini economici. Anche nelle sue varianti di pseudo-opposizione, la coscienza virtualizzata dei consumatori frenetici di merce, ritiene che la sua stessa forma di soggetto abbia a che vedere con la pseudo-economia degli Stati Uniti.

Nel frattempo, una serie di bolle secondarie sono scoppiate in vari paesi. Quella che ha dato il via è scoppiata in Giappone, più di dieci anni fa, poi è toccato alle tigri asiatiche, poi a Messico, Russia, Turchia e Argentina. In ciascuna di queste occasioni, si sono verificati dei gravi collassi nella congiuntura interna dell'economia reale che, in Giappone, non è ancora riuscita a rimettersi in piedi. Però, nonostante questo, la grande catastrofe economica ritarda, di modo che la bolla centrale, negli Stati Uniti, ed il secondo più grande mercato azionario, in Europa, possano espandersi ulteriormente. Già dalla metà del 2000, quest'espansione era ormai cosa del passato. Le Borse degli Stati Uniti e dell'Unione Europea rimasero sorprese dal più grande ribasso in tutta la storia del dopoguerra. Durante quel periodo, il Nasdaq ha sofferto perdite superiori all'80%. L'indice globale di base, il Dow Jones, è sceso del 30%. Temuta già da qualche tempo, la fusione nucleare dei mercati finanziarti nordamericani minaccia di compiersi.

Gli scandali dei bilanci ed i mega-fallimenti si assommano, da Enron all'insolvenza di WorldCom, la più grande, finora, in tutta la storia dell'economia. Giganteschi attivi fittizi vengono annichiliti, l'affluenza di capitale monetario globale verso gli Stati Uniti ristagna, il dollaro scende, il finanziamento del deficit della bilancia commerciale e dei servizi degli Stati Uniti, che non smette di crescere, è a rischio.
Ora la questione cruciale è sapere in che misura la crisi dei mercati finanziari si ripercuote sull'economia reale e in che misura debilita le capacità degli Stati Uniti di assorbire i flussi di merci "eccedenti" del mondo. Gli economisti ed i politici apologeti affermano che non ci sarà alcuna ripercussione, in quanto l'economia nordamericana è estremamente "forte". L'argomentazione è paradossale, perché, se così fosse, gli Stati Uniti non presenterebbero, riguardo alla loro bilancia di pagamento con l'estero, una struttura deficitaria da paese periferico. Dietro tutto questo non si trova nessuna sostanza economica superiore, ma un'economia reale che mostra, oltre a quest'aspetto, molti altri paralleli con le regioni critiche della periferia.

Come in Gran Bretagna, le infrastrutture sono per lo più invecchiate e degradate; i mezzi di trasporto, privatizzati, cadono a pezzi. Perfino la fornitura di energia, privatizzata anch'essa, è indebitata e inaffidabile; com'è noto, in California, la fornitura elettrica viene interrotta periodicamente. Il sistema scolastico è di primo livello solo in alcune costose università di élite, ma in generale è altrettanto miserevole di quello inglese. I paesi anglosassoni presentano, di gran lunga, il più alto tasso di analfabeti secondari di tutto il mondo sviluppato. Il supposto prodigio produttivo degli Stati Uniti, da molti acclamato, si basa principalmente su settori a basso salario, esistenti in tutti gli ambiti, mentre la partecipazione della robotica microelettronica all'industria è minore di quella esistente in Giappone e nell'Unione Europea. Gli Stati Uniti sono leader solo in poche aree di punta, come l'industria del software (Microsoft) e, naturalmente, nella produzione di armamenti "high-tech", ma in generale il sistema industriale è invecchiato, e molti prodotti non vengono più fabbricati negli Stati Uniti. A causa della reale debolezza industriale, la quota del settore di fornitura di servizi è più grande che in tutti gli altri paesi industriali. Allo stesso modo in cui avviene nel Terzo Mondo, il quadro d'insieme è definito da una massa di "imprenditori della miseria" e di lavoratori non qualificati di ogni tipo.

Inevitabile disillusione
L'ultima potenza mondiale si caratterizza per la sproporzione mostruosa fra una testa idrocefala sovradimensionata, consistente in apparati militari "high-tech" e in industrie di armamento, ed un corpo economico sottosviluppato, che dev'essere alimentato per mezzo di un afflusso esterno permanente di capitale monetario e di merci. Il superiore armamento, in ultima analisi non costituisce un'economia superiore, ma un fattore di costo, improduttivo in termini capitalistici. La disillusione rispetto agli Stati Uniti è inevitabile, e sembra abbia avuto inizio.

La caduta è stata temporaneamente rallentata grazie a diversi fattori, ma che nell'insieme non hanno un effetto duraturo. Ad esempio, l'amministrazione Bush ha anticipato più volte le scadenze per l'acquisto di armamenti, soprattutto nel settore dei veicoli motorizzati. Questo serve ad abbellire le statistiche dell'industria automobilistica, allo stesso modo degli elevati sconti e dei crediti a zero interessi, per mezzo dei quali i grandi produttori nordamericani aumentano le loro vendite nonostante la crisi, com'era già accaduto alla fine degli anni 1980. Ma, a differenza della situazione esistente in quell'epoca, oggi è stato raggiunto il limite massimo dell'indebitamento privato. La sovvenzione delle vendite a scapito dei profitti non può essere sostenuta per molto tempo. E tanto meno può essere ripetuto il boom armamentista della "reaganomia".
Dopo una breve pausa occorsa durante gli anni di espansione delle Borse e durata fino al 1999, il deficit pubblico nordamericano è tronato a livelli elevati; un'altra espansione dell'indebitamento pubblico raggiungerebbe il limite assoluto molto più rapidamente che negli anni 1980.

A ritardare la caduta, i resti della congiuntura armamentista e di sconto servono meno del dislocamento del capitalismo finanziario. Per contrastare il crollo del mercato azionario, si è formata negli Stati Uniti una bolla finanziaria di valori immobiliari per il consumo con il medesimo vigore che prima avevano i valori azionari gonfiati.
Tuttavia, la perdita di fortune sui mercati azionari non verrà risarcita grazie a questo; e anche la bolla immobiliare finirà per scoppiare. Attualmente, i bohémien "startup" dei settori in declino di Internet, della telefonia e dei media, persone dai 25 ai 40 anni di età che soffrono di perdita totale della realtà, continuano a consumare sia negli Stati Uniti che in tutto il mondo occidentale come se non fosse successo niente. Ma la "generazione bancarotta" presto avrà esaurito la sua linea di credito e atterrerà di colpo sul duro pavimento dei fatti.

Se la locomotiva nordamericana si ferma, si ferma tutta l'economia mondiale. La disillusione rispetto agli Stati Uniti non sposta il centro del potere economico e militare in un altro posto, ma fa sì che il mercato mondiale si tuffi dentro una nuova dimensione della crisi, si accelera la decomposizione sociale globale e diventa palpabile la scadenza storica del moderno sistema produttore di merci.

- Robert Kurz - Pubblicato nell'agosto del 2002 su Folha de S. Paulo -

fonte: EXIT!

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