mercoledì 8 giugno 2016

In qualche altro modo

Mattick-web1

L'avvizzimento dello Stato
- di Paul Mattick -

In questi giorni, i critici della politica elettorale possono mettersi a sedere compiaciuti e gustarsi lo spettacolo dei partiti politici allo sbando; le preoccupazioni dell'1%, che in realtà vogliono dai loro governi poco più che tasse basse, sussidi alti, pace sociale e tranquillità, e quanto basta di azione militare sufficiente a tenere il mondo al sicuro per la democrazia; e le elucubrazioni dettate dal panico degli esperti politici cercano di dare un senso a tutto questo reclamando la loro funzione ormai perduta di profeti e di interpreti. Naturalmente, quando (com'è più probabile) Bernie alla fine è stato fatto fuori dalla macchina Democratica e si sta chiedendo ai "progressisti" di tapparsi il naso - come hanno finora fatto in tutte le elezioni - per votare l'odiata Hillary e fermare così il terribile Donald, sembrerà di trovarsi solo ad un passo dal precipizio, l'apparentemente inevitabile risultato degli sforzi elettorali volti a non sacrificare il bene per l'impossibile meglio.

Ma stavolta sempre ci sia qualcosa di speciale. Per prima cosa, entrambi i contendenti più dinamici, Trump e Sanders, sono apparentemente entrati in lizza senza aspettarsi di vincere, e si sono impegnati a fare del loro meglio quando hanno scoperto un inaspettato livello di risposta da parte del pubblico votante. Questo è un altro aspetto della quasi completa assenza di contendenti credibili a parte loro due (e, certo, la Clinton, ma senza Sanders lei sarebbe stata la sola del suo schieramento). Il campo repubblicano è stato caratterizzato da una sorprendente serie di imbecilli e nullità; il fatto che Cruz - un uomo talmente detestabile politicamente e personalmente da essere ufficialmente il più odiato nel stesso ripugnante campo politico - fosse l'ultimo non-Donald rimasto la dice tutta. Ciò riflette l'assenza di qualsiasi contenuto nella politica Repubblicana, tranne l'ottusa fedeltà agli americani più ricchi combinata con le rassicurazioni di devozione nei confronti dei bisogni emotivi delle persone appartenenti alla sempre più spossessata classe dei lavoratori bianchi e alla classe medio-bassa.

I repubblicani si erano già trasformati da partito storicamente progressista ed antischiavista in un'organizzazione impegnata a combattere le politiche del New Deal in difesa del laissez-faire, fino a quando Nixon non abbandonò quel valore fondamentale con la sua dichiarazione, per cui "Noi siamo tutti keynesiani ora", e Reagan lo dimostrò triplicando il debito nazionale. Similmente, i democratici erano una volta un vero partito politico, interessato a modellare la politica nazionale. Da partito schiavista del 19° secolo si sono trasformati in una forza modernizzante, che rispondeva alla Grande Depressione mobilitando lo Stato - soprattutto per la guerra - per salvaguardare il capitalismo americano; ha fatto del suo meglio per modellare il mondo del dopoguerra in un campo di battaglia per fare avanzare l'economia americana e quindi gli interessi politici. Dagli anni 1960, i democratici si sono istituzionalizzati come il partito del "liberalismo imprenditoriale", come si diceva da parte del SDS (Students for a Democratic Society), tenendo a bada il comunismo mentre mantenevano l'ordine sociale a casa per mezzo di politiche quali rimodellare l'ambiente urbano e "combattere la povertà", mentre promuovevano le arti e le scienze umane per dimostrare che gli Stati Uniti erano degni della loro preminenza economica. Elettoralmente, si basavano su Jim Crow a sud e sulla fedeltà ai programmi di assistenza per (per lo più) i bianchi, finché il meccanismo non si è rotto sotto l'impatto del movimento per i diritti civili e della sconfitta in Vietnam. Data la sua incoerenza politica, è difficile immaginare perché il partito non avrebbe dovuto abbracciare Sanders come una sorta di trapianto della ghiandola di una scimmia politica, se voleva essere nuovamente un vero e proprio partito. Tutto cospira a suggerire che quello che ci troviamo di fronte qui non è la solita politica, ma qualcosa di nuovo. Per cominciare a capire, dobbiamo tornare a pensare alla vecchia normalità - il funzionamento dello Stato nel capitalismo moderno.

A mio avviso, la miglior guida per una comprensione di base di tutto questo si può trovare nel primo dei cinque volumi di Hal Draper sulla "Teoria della Rivoluzione di Karl Marx". Qui Draper discute la tendenza dei governi - il cui lavoro è essenzialmente quello di salvaguardare l'esistenza della società moderna assicurando il rispetto per la proprietà privata e per gli interessi particolari, nazionali ed internazionali, degli attori dominanti l'economia nazionale - quello di sviluppare una certa autonomia di azione relativa alle attività economiche dei suoi sponsor. Questa indipendenza dalle preoccupazioni immediate degli uomini d'affari, dice Draper, deriva dal fatto che "di tutte le classi dirigenti conosciute nella storia, il membro della classe capitalista è il meno adeguato, e tende ad essere il più ostile a farsi direttamente carico del funzionamento dell'apparato statale." I capitalisti vogliono far soldi, non guidare il governo (salvo, più recentemente, come hobby pensionistico). Inoltre, "nessun'altra classe dirigente è così attraversata internamente da gruppi di interesse in competizione ed in conflitto," con interessi regionali, agricoltura e industria, differenti settori industriali, e molte altre sotto-categorie di affari nazionali in lotta gli uni contro gli altri. Come risultato, sorge la necessità di politici professionali, non diversamente del bisogno di manager per le grandi imprese, "per poter avere un'ampia ed alta prospettiva del sistema che sia diverso dall'approccio del miope affarista."

Quest'autonomizzazione dello Stato si è potuta vedere chiaramente quando le maggiori economie industriali capitaliste sono emerse nel 19° secolo, quando gli imprenditori britannici hanno lasciato gran parte del funzionamento del governo ai membri della vecchia aristocrazia, e Bismarck ha supervisionato la nascita del capitalismo tedesco ed il disciplinamento con mano di ferra della classe obsoleta dei latifondisti e dei grandi proprietari terrieri. Nel 20° secolo, è diventata particolarmente visibile a fronte della crisi economica, quando lo Stato capitalista è stato consegnato a forti manager come Hitler e Roosvelt, nonostante l'avversione di molti uomini d'affari per alcuni aspetti dei loro programmi economici e politici. Negli Stati Uniti, il New Deal e, soprattutto, la seconda guerra mondiale, portando ad un vasto incremento dell'interferenza governativa sull'economia della proprietà privata, ha rafforzato la tendenza all'autonomia dello Stato durante buona parte del periodo post-bellico.

Paradossalmente, la stessa crescita del "settore pubblico" ha portato all'indebolimento della sua indipendenza. Da un lato, come osserva Draper, "una delle conseguenze della relativa autonomia dello Stato è quella di permettere ai settori dominanti all'interno della classe capitalista di assicurarsi le leve principali del potere." Negli Stati Uniti, l'esempio moderno più lampante di questo è stato visto all'inizio degli anni 1950 con il presidente Eisenhower sotto il nome di "complesso militare-industriale". Nel corso del tempo, si sono uniti ad esso il complesso carcerario-industriale ed il complesso medico-industriale, per i cui interessi il presidente Obama ed il suo partito hanno così assiduamente lavorato, insieme agli settori industriali - costruzioni, finanza, istruzione - il cui destino si è sempre più intrecciato con la generosità del governo. Uno dei risultati di tutto questo è la penetrazione negli affari di governo della concorrenza inter-settoriale delle imprese; un altro è l'evoluzione delle stesse politiche in una forma di business, che può essere vista nelle famose "porte girevoli" che legano le industrie alle loro autorità governative di regolamentazione, e che è culminata in un successo spettacolare con il cambiamento attuato da Bill Clinton che trasformava la contesa politica in cambio di valuta internazionale ed attività da faccendiere per dittatori con la mentalità di affaristi. Il fatto che l'attività centrale della politica americana sembra essere diventata la raccolta e l'erogazione di enormi quantità di denaro contante durante le elezioni - fatto che getta nella costernazione coloro che ancora si struggono per un sistema giusto e democratico - è solamente un sintomo di quest'assorbimento dello Stato da parte delle grandi imprese.

Un risultato consiste nella crescente incapacità dello Stato a gestire gli affari comuni dei suoi cittadini, nei limiti piuttosto stringenti imposti dai bisogni dell'economia aziendale. Un obiettivo come quello della legalizzazione dei matrimoni gay, che combina il miglioramento della vita di un certo numero di persone attraverso la celebrazione simbolica delle virtù neoliberiste dell'auto-definizione individuale con la scelta del consumatore può essere (almeno in parte) raggiunto. (Innanzitutto, è gratis.) Ma un aumento significativo del salario minimo - reso necessario dall'abbassamento dello scorso decennio del costo del lavoro ben al di sotto del livello di comfort della classe lavoratrice, se non addirittura della sopravvivenza - avrebbe avuto un impatto reale sui profitti, e questo è il motivo, nella maggior parte dei pochi posti dove è stato introdotto, che sarà spalmato su diversi anni, mentre i prezzi continuano a crescere ed altri costi vengono tagliati. Un sistema sanitario unico, mentre probabilmente sarebbe più a basso costo per l'intero sistema, causerebbe un grave danno alle assicurazioni e all'industria sanitaria.

Il fatto che tale questione - come quella di aumentare i salari - sia ancora in discussione dimostra che lo Stato è ancora consapevole della sua ragion d'essere, anche se i limiti della sua azione sono stretti. Similmente, i governi di tutto il mondo capiscono che il problema più immediato riguardo la razza umana è l'ondata di una moltitudine di catastrofi causate dai cambiamenti climatici indotti industrialmente. Ma sono stati capaci di non combinare assolutamente niente di significativo a fronte della grandezza degli interessi commerciale che oggi dipendono dal regime dei combustibili fossili. Ugualmente, stanno perdendo i governi che desiderano contrastare, in opposizione a quelli che vogliono utilizzare, le forze dell'Islam politico: come sottolineano ripetutamente gli esperti, la soluzione di questo "problema" richiederebbe la trasformazione della società globale in una società basata sull'equità, l'uguaglianza, e la sensibilità governativa riguardo ai bisogni umani.

Come suggerisce quest'esempio, la debolezza dello Stato - e non solo negli Stati Uniti - è in funzione non solo con la sua troppo stretta integrazione con il mondo degli affari, ma anche della mancata corrispondenza fra i suoi mezzi e la scala degli attuali problemi sociali. Un recente numero del New York Times suggerisce le dimensioni di tale mancanza di corrispondenza, così come la difficoltà a vederle da parte dei pensatori di buona volontà. La sezione "Business Day" dell'11 maggio 2016 è caratterizzata da un saggio del commentatore economico Eduardo Porter a proposito della necessità, da parte del governo degli Stati Uniti, di assumersi il compito di gestire la transizione "ad un economia post-industriale in cui ci sia poco lavoro di fabbrica". Come sottolinea, "il governo ha giocato un ruolo essenziale, a molteplici livelli, nel modellare la transizione della nazione da fattorie e piccole città a città e fabbriche" nel corso del 19° e del 20° secolo."Potrebbe farlo di nuovo", asserisce. "Ciò che lo ha fermato non è la mancanza di idee pratiche bensì bensì l'opposizione ideologica ad ogni tipo di attivismo governativo." Che tipo di idee concrete ha in mente? "Partire con investimenti riguardo alle infrastrutture fatiscenti del governo [...] Poi c'è la sanità e l'istruzione." Per realizzare tali obiettivi, il governo ha solo bisogno di "provare a ricostruire una burocrazia di qualità anziché subappaltare così tanta parte del suo lavoro a costosi consulenti e ad imprese che utilizzano i lavoratori più a buon mercato disponibili." Quello che ci blocca è "la perdita di una visione [...] di che cosa il governo può realizzare, quando gli viene consentito di fare il suo lavoro."

In cima alla pagina in cui appare l'articolo di Porter, si può leggere il titolo, "Un profeta delle sventure americane: il fallimento fiscale di Portorico arriva in molte città e Stati nei guai." L'articolo di Mary Williams Walsh spiega come a Portorico "il tasso di disoccupazione è del 45%, scuole ed ospedali stanno chiudendo, ed il debito pubblico è talmente enorme da far sembrare modesto quello di Detroit." Inoltre, sottolinea, in tutta l'America "dozzine di città, di contee e Stati potrebbero essersi infilati nella medesima tana di coniglio." Perché? Sembra che il problema non sia la "perdita di una visione" quanto l'incapacità a trattare con "costi differiti." Ai governi manca il denaro per pagare le pensioni promesse o "le obbligazioni emesse in un lontano passato" - il giorno precedente alla perdita della visione - "per costruire ponti, autostrade, ed altre progetti - anche quando i progetti potrebbero richiedere ritocchi dispendiosi." È questo il motivo per cui il governo, nonostante l'idea apparentemente sensata di Porter di rifornire di denaro college poco redditizi, ed "aiutare a finanziare pubblicamente le università ed i college statali", ogni pubblica università che conosco sta cercando di attrarre denaro privato per compensare i tagli della spesa statale e federale.

Il problema di fondo sta nel fatto che i governi nei paesi capitalisti per lo più mancano di proprie risorse economiche, e per soddisfare le loro spese devono tassare o farsi prestare i soldi dai proprietari di capitale. (Le tasse sui salari sono soltanto una forma travestita di tutto questo, dal momento che il denaro che i lavoratori non ottengono potrebbe arrivare allo Stato direttamente dai datori di lavoro). Anche se il debito nazionale ha cominciato ad esistere fin dal 18° secolo, esso ha fatto un grande balzo in avanti con l'espansione dell'attività governativa durante la seconda guerra mondiale, e da allora ha continuato sostanzialmente a crescere: nel 1930, gli Stati Uniti avevano un debito pubblico di 16 miliardi di dollari; oggi tale debito si trova vicino a 19mila miliardi. In termini di percentuale del PIL, il debito federale già nel 1970 aveva raggiunto il 37,9%; nel 2004 si trovava al 63,9%. E questo senza contare il debito locale - città e Stati. Anche se non è stato raggiunto un punto finale alla creazione del debito, di modo che il governo possa continuare a funzionare, questa risorsa non è illimitata. E tutto suggerisce che i limiti, pur sconosciuti, anche ora vengono chiaramente percepiti da coloro per i quali fare soldi è alla base del significato dell'esistenza - e da coloro che devono pagare gli interessi sotto forma di tasse.

La ragione della continua espansione del debito pubblico consiste nel fallimento dell'economia capitalista a produrre la quantità di profitto richiesto per espandere gli investimenti delle imprese sulla scala necessaria per impiegare la popolazione lavorativa in un numero e ad un tasso di retribuzione tali da assicurare il genere di vita cui ci siamo abituati a partire da dopo la seconda guerra mondiale. Ma è questa incapacità stessa dell'economia imprenditoriale ad espandersi abbastanza velocemente che rende impossibile il ripagamento del debito. L'unica alternativa sarebbe, come afferma il guru della finanza urbana Richard Ravitch, citato nell'articolo della Walsh, "la tassazione a livelli di confisca". Ma questo, naturalmente, non risolverebbe il problema dell'insufficiente redditività. Infatti, significherebbe un passo in avanti verso un'ulteriore acquisizione dell'attività imprenditoriale da parte dello Stato. E, in un mondo nel qualo Stato e Affari sono gestiti dalle stesse persone, con gli stessi interessi concreti, chi lo vuole?

Da qui l'assenza di una visione di quello che il governo può realizzare - e da qui il collasso della politica, con l'azienda che si è specializzata (secondo l'espressione di Bush 41) in "the vision thing". Parlando con Euardo Porter, il professor Lawrence F.Katz dell'università di Harvard ha descritto "l'enorme problema che c'è d'ora in avanti" come quello per cui: "ci stiamo prendendo cura degli anziani per mezzo di un pugno di lavoratori a salario minimo o per mezzo di persone con un'ottima certificazione che garantisca la migliore assistenza in cambio di una migliore retribuzione?"  In quanto membro de "gli anziani", sono d'accordo sul fatto che si tratti di un problema enorme. Il professor Katz avrebbe anche potuto chiedere in che modo ci accingiamo ad educare i giovani, inclusi i futuri lavoratori che si prenderanno cura degli anziani, con professori ben pagati come lui oppure con ausiliari con eccessive ore di lavoro, sottopagati; tolto il fatto che già conosciamo la risposta a questa domanda.

Forse attualmente Bernie Sanders - che ha diretto un governo cittadino ragionevolmente funzionante nella deliziosa Burlington, Vermont - ritiene che il suo successo locale risalente a qualche decennio fa possa essere tradotto a livello nazionale. Il carattere illusorio di tale visione emergerebbe immediatamente nel momento in cui fosse messo alla prova dell'ufficio. L'improbabilità che questo possa avvenire nelle disoneste elezioni d'America, tuttavia, è in sé un segno del fatto che un cambiamento significativo non arriverà dai politici. L'assenza stessa di "grandi uomini" - e donne - nella contesa politica testimonia l'esaurimento di questo meccanismo della gestione di quel disastro in corso che è la civiltà moderna. Si può solo sperare che la crescente decomposizione della politica aprirà una strada alla comprensione che il disastro, in definitiva ingestibile, dev'essere affrontato in qualche altro, più diretto modo.

- Paul Mattick - Pubblicato su The Brooklin Rail del 3 giugno 2016 -

fonte: The Brooklin Rail

Nessun commento: