domenica 26 giugno 2016

Comunità immaginarie

burattini

Gli abiti nuovi della peste identitaria nell'era del capitalismo di crisi
- di Clement Homs-

"Certo, c'è l'economia e c'è la disoccupazione, ma ciò che è essenziale è la battaglia culturale identitaria" (Manuel Valls, 4 aprile 2016).

Nei rapporti sociali capitalisti in cui ci troviamo tutti immersi fino al collo, siamo costantemente in lotta per ottenere un buon titolo di studio, per trovare lavoro, per arrivare a fine mese, per salire nella scala sociale, per restare in corsa, per fare carriera, per eliminare un concorrente, per non essere licenziato, per mantenere sempre ottimi rapporti, per affrontare le "fantasmagorie" (Klaus  Theweleit) della mascolinità, per svolgere in quanto donna il "secondo turno" a casa, ecc.. La paura del fallimento che deriva da tutto questo crea un enorme clima di ansia e di stress continuo (che porta al "burnout", al suicidio o al desiderio amok di uccidere tutti).
L'individuo-merce, per consolidare il suo status di soggetto particolare isolato che deve difendere i suoi propri interessi nel contesto della concorrenza capitalista, vendendo la sua forza lavoro - e, soprattutto, a fronte della sua impotenza rispetto alla sua relazione con la società, che subisce come una costrizione collettiva reificata -, è portato ad assumere, strutturalmente, una necessità soggettiva di identificazione .
Egli trasfigura tutto questo, così come fa con le minacce alla sua stessa esistenza, associandosi ad alcune identità collettive e compensatorie (con alcune "comunità fittizie, immaginarie", per usare la definizione di Benedict Anderson), che danno a chi è stato spogliato di tutto una sensazione illusoria di grande potere - che può essere riconosciuto come il "narcisismo collettivo" del soggetto moderno (Erich Fromm). Questo può avvenire per mezzo di comunità immaginarie che sono state create da tutta una storia di fuoco e sangue durante lo stesso capitalismo a partire dal 18° secolo, oppure, talvolta, per mezzo di comunità create a partire da zero attraverso l'invenzione di "nuove tradizioni" (Eric Hobsbawm): il popolo, la patria, la nazione, l'etnia, la "comunità razziale superiore", la religione, l'Occidente illuminato, i gruppi sportivi di cultori del corpo, la comunità del califfato, le "tribù" identificate da Michel Maffesoli e che sono state chiamate postmoderne (tribù musicali, ecc.), la comunità unificata da una "personalità autoritaria" (Adorno) o da un "leader carismatico" (Max Weber).

Dalla svolta del decennio del 1980, la crisi nei centri del capitalismo, così come il fallimento delle modernizzazioni di recupero nelle periferie, ha portato ad una radicale ristrutturazione all'interno del sistema IKEA di tali identità collettive compensatorie e di legittimazione (sistema questo che non è esterno o pre-moderno, bensì immanente alla totalità sociale capitalista). Ed è qui dove le monadi armate si dispongono alla lotta per la vita nel capitalismo, che vedono come il migliore dei mondi possibili.
Ricorderemo qui, in particolare, per mezzo delle più recenti figure identitarie e religiose, alcune delle forme contemporanee di questa nuova esplosione di peste identitaria che è emersa a partire dagli anni 1980-90:

- L'ascesa dell'islam integralista in un mondo arabo economicamente al collasso;
- Il ritorno nei centri capitalisti del discorso fondamentalista dei "valori occidentali" e della giustificazione del "ruolo positivo della colonizzazione";
- Il populismo trasversale della "sinistra della sinistra", così come dell'estrema destra, che afferma in maniera perversa e idiota il nazionalismo e la difesa della sovranità economica (il "made in Francia", il protezionismo a favore del "buon capitale produttivo nazionale");
- La crescita in tutta Europa dell'estrema destra a partire dal 2008, il differenzialismo etnico di Alain de Benoist o addirittura il dibattito, in Francia, sulla famosa "identità nazionale capitalista";
- L'accettazione della lettura culturalista come base comune sia ai difensori dello "scontro delle culture" che ai difensori del "dialogo delle culture". Ed ecco che molti, da Alain Finkielkraut a Houria Boutelja del "Parti des Indigènes de la Republique", ora condividono le identità collettive, culturali-religiose, o addirittura evocano, con tamburi e trombe, i cosiddetti valori universali "europei" ed "occidentali". Lo fanno anche se sono sempre più svalutati dalla logica dell'esclusione sociale e razzista prodotta dal sistema di concorrenza capitalista con il suo gioco di incantamento.

Lo scenario è quello del collasso. È proprio qui appare questa nuova peste identitaria. In quanto nuova ideologia di legittimazione, questa peste si trova ben annidata dentro il processo di crisi interna del capitalismo descritto da Norbert Trenkle ed Ernst Lohoff ne "La grande svalorizzazione". Sarà il motore di aggravamento del processo di crisi?

Una scopa che spazzi via tutti i patrioti, tutti i nazionalisti, i populisti, gli identitari, i razzisti ed i culturalisti!

- Clement Homs -

Su questo argomento, si terrà un dibattito martedì 28 giugno alle 20:30, in Place du Vigan, Albi. Francia.

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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