sabato 12 dicembre 2015

La rottura di Postone


La sostanza del capitale (5 di 10)- Il lavoro astratto come metafisica reale sociale ed il limite interno assoluto della valorizzazione - di Robert Kurz
Prima parte: La qualità storico-sociale negativa dell'astrazione "lavoro".
*** L'Assoluto [Absolutheit] e la relatività nella Storia. Per la critica della riduzione fenomenologica della teoria sociale *** Il concetto filosofico di sostanza e la metafisica reale capitalista *** Il concetto negativo di sostanza del lavoro astratto nella critica dell'economia politica di Marx *** Il concetto positivo di lavoro astratto nell'ontologia del lavoro marxista *** Per la critica del concetto di lavoro in Moishe Postone *** Il lavoro astratto ed il valore come a priori sociale *** Che cosa è astratto e che cosa è reale nel lavoro astratto *** Il tempo storico concreto del capitalismo ***
*** Per la critica del concetto di lavoro in Moishe Postone ***E' certamente merito di Moishe Postone essere stato il primo a rompere con l'ontologia borghese del lavoro, con il concetto trans-storico del lavoro e con la positivizzazione del lavoro astratto fatta dal marxismo tradizionale, e di aver dato inizio al suo superamento; e questo è avvenuto, in parte, molto prima della critica del lavoro, così come essa è stata sviluppata a partire dalla fine degli anni 1980 dagli inizi della critica del valore di lingua tedesca. L'elaborazione teorica di Postone, con un'argomentazione simile, che risale agli anni 1970, è stata oggetto di un'ulteriore elaborazione negli anni 80, e dall'inizio degli anni 90 è stata presentata sotto una forma più avanzata (solo nel 2003, nella traduzione tedesca della sua opera principale). In Germania, la critica del valore e del lavoro è nata in gran parte indipendentemente da qualsiasi ricezione di Postone; il che costituisce un indicatore del fatto che un ulteriore sviluppo e superamento della teoria di Marx riguardo alla critica radicale del lavoro in un certo qual modo fosse nell'aria - come risposta al dibattito borghese, privo di concetti categoriali, intorno alla "crisi della società del lavoro",  dibattito che era già stato teoricamente inaugurato alla fine degli anni 1950 da Hannah Arendt, e che aveva avuto un'attualità ed un'esplosività insperata con il dispiegarsi della crisi mondiale della terza rivoluzione industriale (crescente disoccupazione strutturale di massa).
Secondo Postone, "il lavoro dev'essere inteso come storicamente specifico e non come trans-storico. La concezione di Marx secondo la quale il lavoro costituisce il mondo sociale ed è la fonte di tutta la ricchezza, non si riferisce perciò, nella sua critica tardiva, alla società in generale, ma unicamente alla società capitalista o moderna" (Moishe Postone, Tempo, lavoro e dominio sociale). Sotto questo aspetto, Postone rompe decisamente con il positivismo del lavoro di tutti i marxismi finora esistenti, distinguendo "fra due processi di analisi critica fondamentalmente distinti...: una critica del capitalismo dal punto di vista del lavoro, da un lato, e una critica del lavoro nel capitalismo, dall'altro.
Il primo processo, che si basa su una comprensione trans-storica del lavoro, presuppone che fra le determinazioni che caratterizzano la vita sociale del capitalismo (per esempio, il mercato e la proprietà privata) e la sfera sociale costituita dal lavoro esista una tensione strutturale. Qui, il lavoro costituisce un fondamento della critica del capitalismo, e rappresenta un punto di vista a partire dal quale viene sviluppata la critica.
Per il secondo processo di analisi, però, il lavoro nel capitalismo è storicamente specifico, e costituisce le strutture essenziali di questa società. Pertanto, da questa prospettiva è il lavoro a dover diventare oggetto della critica della società capitalista
" (Postone, ivi, p.25).
Il lavoro come punto di vista della critica o il lavoro come oggetto della critica, è questo che riassume l'opposizione, così come già accennato in precedenza. Si tratta qui proprio del lavoro come categoria o come determinazione della sostanza, e non di una critica del lavoro solo accidentale ma categorialmente affermativa, come nel caso dell'operaismo (per esempio, diretta al carattere di dipendenza esterna del lavoro salariato, alle carenti condizioni di lavoro, ecc.). E' quindi a partire da questa nuova, e negativa, determinazione della sostanza del lavoro che Postone riesce a svelare come la critica marxista preesistente del lavoro si riduca alla critica della circolazione e della distribuzione, ed a sviluppare la critica (già citata) delle corrispondenti teorie di Lukács, Sohn-Rethel, ecc.. Questo aspetto di Postone va tenuto in una considerazione tanto maggiore se consideriamo come Postone sia stato condannato per più di un decennio ad un totale isolamento; le pubblicazioni nelle quali ha ulteriormente sviluppato i suoi principi sono rimaste in gran misura senza risonanza alcuna, e perfino nelle diverse collettanee venivano considerate dei corpi estranei - senza mediazione alcuna - cui la comunità accademica (soprattutto i rappresentanti tedeschi della teoria critica) negava un dibattito adeguato, dal momento che andavano al di là del quadro della comprensione abituale. Ancora più notevole appare la perseveranza con cui Postone ha proseguito il cammino teorico ed ha continuato a sviluppare il suo principio.
Forse è a causa di questo isolamento discorsivo, durato così tanto tempo, che Postone non ha ancora pensato conseguentemente fino alla fine la critica del lavoro, vale a dire, dell'astrazione "lavoro". Se, come nella precedente citazione, parla di "lavoro nel capitalismo", allora quest'espressione implica anche un "lavoro" fuori dal capitalismo; il problema dell'astrazione - relativamente ad un concetto di "attività in generale" come alienazione umana, e dell'astrazione reale, come esecuzione inconscia della propria attività - non viene quindi chiarita a sufficienza, rimanendo così la critica, incompleta.
Nell'analisi di Postone troviamo ad ogni passo questo dilemma. Egli vuole delimitare il "lavoro nel capitalismo", presupposto come evidente e non più tematizzato, postulando che solo nel capitalismo "le categorie di base della vita sociale... sono categorie del lavoro. Questo è tutto tranne che indiscutibile, non potendo essere basato su un rimando generale all'evidente rilevanza del lavoro nella vita sociale dell'uomo" (Postone, ivi, p.50). Postone accetta, pertanto, senza alcun esame addizionale, il riferimento ad una "rilevanza del lavoro" supposta come "evidente" per la vita sociale in generale, ma non intende ritenersi soddisfatto con questo stato di cose, evidenziando il ruolo specifico del lavoro come unico principio di sintesi sociale esistente nel capitalismo. Né intende cominciare a chiedersi se abbia ancora senso un concetto generale ed astratto di lavoro al di fuori di questa moderna costituzione, e se sia mai esistito storicamente.
In questa misura anche in Postone si trova ancora un concetto doppio di astrazione lavoro, visto che tutto quello che è apparentemente non problematico rimane, come prima, una categoria trans-storica. Così Postone afferma che "la forma del lavoro e la struttura reale delle relazioni sociali sono differenti in formazioni sociali diverse" (ivi. p.55). Pertanto il capitalismo non si distingue dalle altre formazioni per il fatto che solo esso abbia prodotto la "forma lavoro" (cui si deve la corrispondente "forma soggetto", anch'essa valida soltanto per la costituzione moderna), ma  si distingue unicamente per la "forma del lavoro". Quindi, si suppone che si tratti nuovamente di una mera differenza di forma, rispetto ad uno stato di cose che nonostante tutto è ancora una volta trans-storico, ed insieme ontologico, tale e quale come lo si trova nell'argomentazione aporetica di Marx. La specificità del capitalismo consisterebbe, pertanto, secondo Postone, nella funzione di sintesi sociale del lavoro, dal momento che solo in quanto tale verrebbe inteso il "dispendio immediato di lavoro umano" (ivi, p.60) nel processo di produzione: "Questa qualità sociale - storicamente unica - distingue il lavoro nel capitalismo dal lavoro in altre società" (ivi, p.88).
Questo, chiaramente, causa una certa confusione per quanto riguarda la validità trans-storica o specificamente storica (che appartiene solo alla modernità) del concetto di lavoro astratto. Postone stesso lo intuisce, nel formulare occasionalmente il concetto di lavoro ontologico e trans-storico apparentemente non problematico, di modo che nonostante tutto, senza volere, lo problematizza: "In tutte le società esistono differenti espressioni di quello che noi abitualmente designiamo come lavoro" (ivi, p.233). Questa formulazione implica già che "noi" (gli uomini moderni socializzati nella categoria del lavoro) "abitualmente", anche, "designiamo come lavoro" in altre società qualcosa che nella realtà non corrisponde a tale astrazione. Questo diventa ancora più chiaro quando Postone parla di "attività sotto forma di lavoro" (ivi, p.233) in società non capitaliste. Questa strana espressione rende evidente lo scrupolo implicito di Postone riguardo la categoria del lavoro che egli ancora, in un certo modo, si porta dietro, secondariamente, come trans-storica; scrupolo che non ancora non è diventato esplicito.
In questo contesto, Postone torna a riferirsi ancora una volta alla relazione fra astrazione ed astrazione reale, relativamente al concetto di lavoro, rapportandosi al doppio carattere del lavoro formulato in Marx come concreto ed astratto: "Questa definizione di partenza del doppio carattere del lavoro nel capitalismo, non dovrebbe essere slegata dal suo contesto, presupponendo per esempio che le diverse forme di lavoro concreto sono tutte soltanto forme di lavoro in generale. Una simile constatazione non ha alcun valore analitico, dal momento che può essere fatta per le attività in forma di lavoro di tutte le società, ossia, anche relativamente a quelle dove la produzione di merci è di un'importanza assolutamente marginale. Alla fine tutte le forme di lavoro hanno in comune proprio questo, il loro essere lavoro... Ciò che nel capitalismo rende generale il lavoro non è la banalità del fatto che esso costituisca il denominatore comune di tutti i diversi tipi specifici di lavoro. E' la funzione sociale del lavoro a renderlo generale. Come attività mediata socialmente, il lavoro astrae dalla specificità del suo prodotto, e quindi dalla specificità della sua forma concreta. Nell'analisi di Marx, la categoria di lavoro astratto dà espressione a questo processo di astrazione sociale. Essa non si basa su un processo di astrazione meramente concettuale" (ivi, p.235).
Sebbene qui Postone evidenzi il carattere specifico della generalità del lavoro nel capitalismo, la sola cosa che dia senso ad un simile concetto di generalità - ammette però, nonostante tutto - è l'astrazione concettuale "lavoro", nel senso di un concetto generico apparentemente semplice (il primo livello di astrazione affermativa in Wolf, vedi sopra) e razionale in sé stesso, tuttavia intendendo questo (quindi ancora, al contrario di Wolf) come "senza valore analitico" e come "banalità", per poi metterlo in opposizione con l'incompatibile astrazione capitalistica del lavoro come sintesi sociale. Postone non vede, tuttavia, che il mero concetto generico di "lavoro" è "destituito di valore analitico" proprio perché rappresenta anche un'altra cosa che non è una "banalità". Esso può sorgere come tale solo in condizioni capitalistiche, in quanto l'astrazione nella mera accezione concettuale non è altro che un riflesso mentale dell'astrazione reale, che appartiene soltanto alla modernità, e come tale non ha alcun parallelo storico.
L'ultima mancanza di chiarezza riguardo al concetto di lavoro astratto si fa sentire in Postone per quel che dice relativamente alle affermazioni di Marx a proposito di una "economia del tempo", pretesa come trans-storica, la quale conterrebbe in sé un momento della determinazione del valore che andrebbe al di là del capitalismo, e che è stato invocato con enfasi da Rubin, Lukàcs, Wolf, ecc.. Anche Postone cattura questo argomento, ma gli conferisce chiaramente un peso diverso e meno affermativo: "L'enunciato di Marx, secondo cui i riflessi sul tempo di lavoro continuerebbero ad avere importanza in una società post-capitalista, non... significa che la forma di ricchezza avrebbe una forma temporale, anziché materiale... Di fatto, un'economia del tempo conserverebbe una certa importanza, ma probabilmente assumerebbe un carattere descrittivo... di conseguenza, la relazione fra i riflessi sul dispendio di tempo ed i riflessi sulla produzione di ricchezza potrebbe essere probabilmente assai differente da quella in cui il valore è la forma sociale della ricchezza... Le concezioni di Marx, per quanto riguarda una possibile economia del tempo post-capitalista e la sua analisi del capitalismo visto come una forma temporale di ricchezza, non sono quindi identiche, e devono essere distinte" (ivi, p.570 ss.).
Ora, quello che avviene è che lo stesso Marx insiste proprio sul non stabilire tale differenza, definendo espressamente il mantenimento di una "economia del tempo" come il mantenimento di una forma di valore, che per di più avrebbe un carattere ontologico-trans-storico. In altre parole: Marx non vede la differenza di cui sopra fra i concetti e le forme storiche del tempo; per lui si applica semplicemente il tempo continuo astratto di Newton, di Kant e dell'economia imprenditoriale moderna. La differenza che, a ragione, stabilisce Postone, in fondo vieta che si continui a dire che la "economia del tempo" manterrebbe la sua "importanza". Ma questo Postone lo sa, in quanto parla di "una" invece de "la" economia del tempo, una sorta di definizione del tempo qualitativamente differente che non sarebbe astrattamente "economica", come se il "risparmio di tempo" potesse essere un valore in sé, indipendentemente del contenuto. La comprensione di Postone entra in conflitto con la sua (poco convinta) difesa alla lettera del concetto, sia relativamente al concetto di tempo astratto che al concetto di lavoro astratto.
Questo dilemma si ripete quando tiene conto della cosiddetta "necessità", nel senso di "lavoro necessario". Marx, com'è noto, introduce tale definizione in maniera duplice, da un lato come lavoro socialmente necessario mediamente riferito al dispendio di energia umana nel capitalismo, sulla base di un determinato standard di produttività (ossia, puramente immanente al capitalismo), e dall'altro lato come la necessità trans-storica del lavoro in generale, visto come "regno della necessità", di cui rimarrebbe un residuo perfino dopo la fine del capitalismo, al di là del quale potrebbe poi nascere il "regno della libertà".
Postone non critica quest'ultima definizione, anche se in base alle sue stesse argomentazioni in fondo dovrebbe farlo, ma duplica il concetto di "necessità" del "lavoro", similmente a quello di economia del tempo, postulando che "anche nell'osservare la relazione fra lavoro e necessità sociale bisogna distinguere fra necessità sociale trans-storica e necessità sociale storicamente determinata. Un esempio del pimo  genere di necessità è, per Marx, il fatto che una qualche forma di lavoro concreto - ossia determinata da ciò che è - è necessaria per mediare il metabolismo fra l'Uomo e la natura, e di conseguenza il mantenimento di una vita sociale umana. Una simile attività è, secondo Marx, una condizione necessaria dell'esistenza umana in tutte le forme di società... Come conseguenza del suo carattere duplice, il lavoro nella forma di merce per Marx è legato a due forme differenti di necessità, di cui una è trans-storica e l'altra è specifica del capitalismo" (ivi, p.572 s.).
Con il concetto di "necessità" relativamente al valore d'uso (il cui vincolo logico alla socializzazione del valore non viene affrontato da Postone) vediamo rientrare dalla porta di servizio un concetto di lavoro esplicitamente ontologico, che si introduce subdolamente nella discussione, con esso assolutamente incompatibile. Questo forse è dovuto al tentativo di Postone di presentare la critica del lavoro e del valore come una nuova interpretazione di un Marx coerente - per così dire, senza contraddizioni ed "intero"; un'attitudine che può portare solo all'incoerenza. E' molto più adeguato distinguere in Marx una contraddizione fra l'ontologia del lavoro, da una parte, e la critica del lavoro e del valore, dall'altra, cosa che corrisponde alla sua situazione storica.
La ricaduta nell'ontologia del lavoro diventa perfettamente chiara una volta che Postone arriva a parlare delle prospettive di una società post-capitalista. Questo, per lui, implica "anche la possibilità di un altro processo di produzione - un processo che si basi su una nuova ed emancipatrice struttura di lavoro sociale" (ivi, p.57). Qui si tratterebbe di un "lavoro non alienato, libero dalle relazioni di dominio sociali immediate ed astratte" (ivi, p.67). In questo modo, Postone a tal riguardo ricade nel gergo del vecchio movimento operaio, seppure con un'espressione paradossale: "L'emancipazione del lavoro richiede l'emancipazione dal lavoro (alienato)" (ivi, p.66). Significativamente, l'aggettivo che dovrebbe risolvere il paradosso si trova fra parentesi, non contribuendo per niente al chiarimento. Se lo omettiamo, rimane il paradosso in forma pura, che riunisce solo esteriormente due paradigmi opposti: l'emancipazione del lavoro non può equivalere all'emancipazione dal lavoro. Quello da cui gli esseri umani devono emanciparsi è già contenuto nell'astrazione "lavoro" in quanto tale, come concetto essenziale di una socializzazione negativa. Qui non si tratta, quindi, di un paradosso reale riprodotto in concetti, ma di una contraddizione concettuale nello stesso Postone (analogamente a quel che avveniva nell'aporia di Marx rispetto al concetto di lavoro).
Questa contraddizione nell'argomentazione di Postone si estende anche a quel che dice riguardo la totalità della socialità capitalistica. Da un lato, enfatizza quello che è il lavoro astratto il quale istituisce tale totalità, e che deve perciò essere "abolito" insieme ad essa. Allo stesso tempo, però, prolunga alcuni momenti di questa totalità anche al di là del capitalismo, nel cattivo senso hegeliano di un "superamento [Aufhebung]" affermativo (dove si conserva proprio l'essenza); ciò è particolarmente evidente per quanto attiene alla sfera politica, che egli a quanto pare non intende come storicamente specifica, ma ancora una volta ontologica. Invece di formulare la critica del lavoro, con coerenza logica, anche come critica della democrazia, Postone intende in questo modo procedere ad "una rinnovata critica democratica del capitalismo" (ivi, p.40) ed evoca una "democrazia post-capitalista" (ivi, p.78); una contraddizione in termini, perfettamente in linea col concetto affermativo di democrazia del marxismo tradizionale, che poi corrisponde proprio a quella limitazione del concetto di capitale alla circolazione ed alla distribuzione, che d'altra parte Postone giustamente critica.
Queste critiche non devono, né possono, tuttavia ridurre il merito di Postone, per essere stato il primo ad aprire la porta alla soppiantazione della moderna ontologia del lavoro, che anche nel marxismo tradizionale passava ancora come indiscutibile. Non è possibile sopravvalutare il valore di questo fatto che ha aperto delle nuove strade. Nonostante i momenti di ontologizzazione che ancora trascina, la differenza decisiva rispetto al marxismo del movimento operaio consiste nel fatto che Postone nega qualsiasi carattere trans-storico al lavoro nel capitalismo, perfino al lavoro concreto nel processo di produzione materiale. Dice chiaro e tondo, senza margini di dubbio, "che il lavoro che costituisce il valore non deve essere identificato con il lavoro in senso trans-storico. Al contrario, esso rappresenta una forma storicamente specifica che con la fine del capitalismo viene abolita, e non realizzata" (ivi, p.61).
Il concetto di lavoro ontologico e trans-storico che ancora rimane in Postone non è già più altro che il prodotto di una vana perplessità, lo spettro di una comprensione in linea di massima già superato; e, detto per inciso, è anche inconsistente, poiché se il "lavoro" esistesse realmente in senso trans-storico, dovrebbe esistere anche nel capitalismo - il quale in fin dei conti non esiste fuori dalla storia. O esiste un'ontologia del lavoro, o non esiste; ma non è possibile che esista prima e dopo il capitalismo, senza esistere durante il capitalismo. Questa sarebbe ancor di più una specificità storica. Se il "lavoro nel capitalismo" rappresenta una condizione puramente storica e negativa, non può esistere un "altro" lavoro trans-storico, ma quest'astrazione fa parte, come relazione sociale generale, solo della modernità produttrice di merci, e della storia della sua formazione. Anche l'astrazione puramente concettuale di "lavoro", come concetto di generalità sociale, è legata a questa relazione; il concetto in quanto concetto è un prodotto dell'astrazione reale e non dev'essere inteso come separato da essa in quanto trans-storico.
- Robert Kurz - pubblicato sulla rivista Exit!, 1/2004 – (5 di 10 – continua…) -
fonte: EXIT!

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