venerdì 20 novembre 2015

Un meccanismo impietoso

Simone-Weil-1936

RIFLESSIONI SULLA BARBARIE
- di Simone Weil - 1939 -

   Oggi, molte persone, commosse dagli orrori di ogni tipo che la nostra epoca diffonde con una profusione insopportabile per i temperamenti un po' troppo sensibili, credono che, per effetto di una troppo elevata capacità tecnica o di una forma di decadenza morale, o per qualche altra causa, stiamo entrando in un periodo di barbarie ancora maggiore di quella dei secoli precedenti attraversati dall'umanità nel corso della sua storia.
Non è così. Per convincersene basta aprire un qualsiasi testo antico - la Bibbia, Omero, Cesare, Plutarco. Nella Bibbia i massacri si contano di solito in decine di migliaia.
Nei resoconti di Cesare, non è qualcosa di straordinario lo sterminio totale, nel corso di una sola giornata, e senza riguardo per il sesso o per l'età, di una città di 40.000 abitanti. Secondo Plutarco, Mario passeggiava per le vie di Roma seguito da una truppa di schiavi che ammazzava seduta stante chiunque lo salutasse e a cui lui non si degnava di rispondere.
Silla, implorato in pieno Senato di voler almeno dichiarare chi volesse far morire, disse di non aver ben presenti tutti i nomi, ma che li avrebbe pubblicati, giorno per giorno, via via che gli tornavano in mente. Nessuno dei secoli passati e conosciuti storicamente è privo di avvenimenti atroci. La potenza delle armi, a questo riguardo, è priva di importanza. Per i massacri generali, la semplice spada, anche di bronzo, è uno strumento più efficace dell'aereo.
La credenza contraria, così comune alla fine del 19° secolo e fino al 1914, vale a dire la credenza in una diminuzione progressiva della barbarie nell'umanità cosiddetta civilizzata, non è - mi sembra - meno erronea. E, in una materia del genere, l'illusione è pericolosa, in quanto non si cerca di scongiurare ciò che si ritiene in via di estinzione. In questo modo l'accettazione della guerra, nel 1914, è stata parecchio facilitata; non si credeva che potesse essere selvaggia, essendo fatta da uomini che si ritenevano esenti da atteggiamenti selvaggi.
Così come quelle persone che ripetono instancabilmente di essere troppo buone sono quelle dalle quali bisogna attendersi, all'occasione, la più fredda e tranquilla crudeltà, analogamente, quando un gruppo umano si crede portatore di civiltà, sarà questa stessa credenza che alla prima occasione lo farà abbassare ad agire da barbaro.
A tale riguardo, non c'è niente che sia più pericoloso della fede in una razza, in una nazione, in una classe sociale, in un partito.
Oggi non possiamo avere, nei confronti del progresso, quella stessa fiducia ingenua che hanno avuto i nostri padri ed i nostri nonni; ma, riguardo alla barbarie che insanguina il mondo, noi tutti cerchiamo cause esterne agli ambienti in cui viviamo, le cerchiamo nei gruppi umani che ci sono stranieri, o che riteniamo tali.
Vorrei proporre che si considerasse la barbarie come un carattere permanente ed universale della natura umana e che si sviluppa, più o meno, a seconda che le circostanze le offrano più o meno gioco.
Un simile modo di vedere si accorda perfettamente con il materialismo, che i marxisti rivendicano a sé; ma non si accorda affatto con il marxismo stesso che nella sua fede messianiva crede che una certa classe sociale, per una sorta di predestinazione, è portatrice, e portatrice unica, della civilizzazione.
Ha creduto di trovare nel concetto di classe la chiave della storia, ma non ha mai neppure cominciato ad utilizzare effettivamente quella chiave; dal momento che non è affatto utilizzabile.
Non credo che si possa pensare chiaramente i rapporti umani fino a quando non avremo messo al centro di essi il concetto di forza, allo stesso modo in cui il concetto di rapporto è al centro della matematica. Ma il primo concetto ha bisogno, così come ne ha bisogno il secondo, di essere chiarito. Non è facile.
Proporrei volentieri il seguente postulato: si è sempre barbari verso i deboli. O almeno, al fine di non negare ogni potere alla virtù, si potrebbe asserire che si è sempre barbari verso i deboli, se non al prezzo di uno sforzo di generosità, altrettanto raro quanto lo è il genio. Il grado minore o maggiore di diffusione di barbarie in una società, dipenderebbe così dalla distribuzione delle forze.
Questo modo di vedere, se lo si potesse studiare seriamente per riuscire a dargli un contenuto chiaro, permetterebbe, almeno in linea di principio, di situare qualsiasi struttura sociale - sia stabile, sia passeggera - lungo una scala di valori, a condizioni che si consideri la barbarie come un male, e la sua assenza come un bene.
Una simile restrizione è necessaria: dato che non mancano uomini i quali - vuoi per ambizione, vuoi per una sorta di idolatria della Storia e di un avvenire sognato, vuoi perché confondono la fermezza d'animo con l'insensibilità, vuoi, infine, perché mancano di immaginazione - si sistemano molto bene e a loro agio nella barbarie, e la considerano come un dettaglio indifferente, o come uno strumento utile. Questo non è il mio caso; credo non sia nemmeno il caso di coloro che leggono questa rivista.
Per intravvedere questa relazione fra il quadro delle forze, in un sistema sociale, e il grado di barbarie, bisogna considerare quest'ultima nozione un po' diversamente da come la considera la folla. La sensibilità pubblica non si commuove...
Hitler non è un barbaro - piacesse al cielo che fosse tale! I barbari, nel loro predare, non hanno mai fatto altro che mali limitati. Come le calamità naturali, distruggendo, essi risvegliano lo spirito che viene richiamato all'insicurezza delle cose umane; le loro crudeltà, le loro malvagità, mescolate ad atti di lealtà e di generosità, temperate dall'incostanza e dal capriccio, non mettono in pericolo niente di vitale per coloro che sopravvivono alle loro armi.
Solo uno Stato estremamente civilizzato, ma bassamente civilizzato - se così si può dire - come fu Roma, può indurre in coloro che sottomette una tale decomposizione morale che non solo spezza ogni speranza di resistenza effettiva, ma rompe anche, brutalmente e definitivamente, la continuità della vita spirituale, sostituendole una cattiva imitazione della mediocrità dei vincitori.
E' solamente uno Stato che abbia raggiunto un sapiente modo di organizzazione che può paralizzare nei suoi avversari perfino la facoltà stessa di reagire, usando il potere esercitato sull'immaginazione da un meccanismo impietoso, per cui non ci sono né debolezze umane né virtù umane che lo possano arrestare quando si tratta di raggiungere un vantaggio, e che utilizza a tal fine, indifferentemente, la menzogna o la verità, il rispetto simulato o il disprezzo confessato per le convenzioni.
In Europa non ci troviamo nella situazione di civilizzati che lottano contro un barbaro, ma siamo nella condizione, assai più difficile e pericolosa, di paesi indipendenti minacciati dalla colonizzazione; e non sapremo far fronte in maniera utile a questo pericolo se non inventiamo dei metodi che gli corrispondano.

- Simone Weil -

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