mercoledì 22 luglio 2015

Tenere la mano al moribondo

malattia

Assistere il capitalismo nella malattia?
- La sinistra ed il crollo finanziario storico -
di Robert Kurz

(Nota: Versione testualizzata della comunicazione presentata al congresso di ATTAC, "Il capitalismo è alla fine?", svoltosi dal 6 all'8/3/2009, presso l'Università Tecnica di Berlino)

La storia continua a generare un'ironia perversa, che consiste nel fatto che questa storia, secondo Marx, è fatta realmente dagli uomini stessi, ma senza che abbiano coscienza di quel che fanno. L'ironia dell'attuale crisi risiede in una curiosa inversione. Mentre la sinistra, dopo la rottura epocale del 1989, ha ritenuto che il capitalismo fosse sulla strada che porta alla vittoria storica, ed ha preteso di "contribuire" in gran parte alle uniche condizioni esistenti, e si è così disposta ad assumere la "crescita finanziariamente indotta" come suo valore nominale, adesso è la relazione stessa di capitale che, dalla notte al giorno, diventa un disperato trattamento della contraddizione [Widerspruchsbearbeitung], definito con risatine isteriche come "socialismo del mercato finanziario" o perfino come "comunismo di Wall Street". Anche se l'economia basata sul credito e sulle bolle finanziarie è stata presentata dalla scienza accademica come la nuova legge vitale dell'economia, ed è stata messa in moto dalle politiche di deregolamentazione delle stesse istituzioni dominanti, ora viene improvvisamente considerata dalle stesse élite come un "eccesso" e come un’espressione di "avidità". Nei postumi della sbornia, ancora una volta si invoca lo Stato, come ultima risorsa e come presunto deus ex machina.

Una parte significativa della sinistra accademica e del movimento anti-globalizzazione si sente confermata in questa svolta repentina e si unisce all'esigenza di ri-regolamentazione dei mercati finanziari. C'è solo una differenza, nel senso che ora il rinnovato intervento statale dev'essere portato avanti per vie sociali. Quest'opzione debole deve fare i conti con una critica secondo cui la spiegazione del disastro viene svolta a partire dalla "avidità" di speculatori e banchieri, in maniera riduttiva e suscettibile di legami con i modelli di interpretazione antisemita. Anche se nel frattempo questa critica si è quasi esaurita, essa incontra uno stupido preconcetto popolare, profondamente radicato, che rimane latente anche nell'ideologia del movimento, come ad esempio nello slogan "Chiudiamo le case da gioco" (ATTAC). Ciò che è da criticare, tuttavia, è proprio il contesto economico fondamentale, che nel frattempo è diventato universale. D'altronde il dramma si è dispiegato soprattutto nei cieli finanziari disaccoppiati e si pretende che si debbano solamente contenere i suoi effetti sull'economia reale, la quale conserverebbe per sé la capacità della riproduzione. La speranza è che, se funzionano i pacchetti statali di salvataggio e i programmi congiunturali, allora sarebbe possibile un ritorno agli investimenti in posti di lavoro socialmente compatibili. Così come avveniva col socialismo di Stato, or sono 20 anni, anche l'economia neoliberista delle bolle finanziarie viene vista come un "semplice errore", che bisogna correggere.

Questo programma non tiene conto dell'intreccio del sistema creditizio con la cosiddetta economia reale. Già l'espansione secolare del credito si basava su una contraddizione interna al modo di produzione capitalista. Con il crescente sviluppo delle forze produttive, cresceva la percentuale di capitale reale e, di conseguenza, dei previ costi "morti" che ormai non potevano più essere finanziati a partire dalla produzione di plusvalore reale conseguita. L'anticipo del plusvalore futuro, sotto forma di credito, doveva essere anticipato in misura sempre maggiore. Nella terza rivoluzione industriale, a partire dagli anni 80, il nodo di questa contraddizione si è sempre più aggrovigliato. L'erosione della produzione di plusvalore reale a causa della razionalizzazione qualitativamente nuova dei posti di lavoro non poteva continuare ad essere compensata. Con le catene di credito che minacciavano di rompersi, il campitale era entrato in una virtualità senza sostanza, alimentata solamente a partire dai guadagni differenziali nella circolazione dei titoli finanziari, come si può vedere nella crescita, storicamente senza precedenti, dei mercati azionari ed immobiliari. In tal misura, l'economia neoliberista delle bolle finanziarie non è stata affatto un "errore", bensì l'unica reazione possibili di fronte al limite interno della produzione di plusvalore reale.

Tuttavia, l'accumulazione apparente di capitale non ha avuto luogo soltanto nella sovrastruttura finanziaria. A causa della mancanza di nuovi potenziali di valorizzazione reale, l'investimento ed il consumo nell'economia mondiale sono stati alimentati dal potere di acquisto senza sostanza ottenuto per mezzo delle bolle finanziarie. Le congiunture economiche basate sul deficit in tal modo alimentate artificialmente, l'ultima delle quali dal 2003 fino alla primavera del 2008, avevano creato un'apparenza di valorizzazione reale e di mobilitazione di lavoro astratto. Il circuito del deficit del Pacifico aveva trascinato con sé l'economia mondiale, incluso il volano dell'esportazione tedesca, e aveva suggerito l'ascesa della Cina e dell'India. Ora, tutta questa meraviglia svapora in serie davanti ai nostri occhi, in un processo che ancora è ben lungi dal terminare. Il crollo finanziario globale ha rivelato soltanto che la congiuntura economica mondiale, pretesamente reale, era da molto tempo dipendente dall'economia delle bolle finanziarie. Pertanto, la nuova crisi dell'economia mondiale non era il risultato di una mera reazione agli eccessi finanziari, ma al proprio limite interno alla produzione di plusvalore reale, che ora si manifestava, e che era solo stato temporaneamente rinviato per mezzo dell'economia delle bolle finanziarie.

Vista in questo modo, l'attuale fantasia di regolamentazione, in tutti i campi politici ed ideologici, mette le cose con i piedi per aria. Lo Stato non può più regolamentare niente, ma deve semplicemente sostituirsi all'accumulazione reale che manca. Pacchetti di salvataggio e programmi di appoggio alla congiuntura non costituiscono alcuna ripresa e diventano necessari su base permanente. Al posto delle bolle finanziarie, sorge il credito statale esplosivo e l'emissione di moneta. E' sotto gli occhi di tutti che questo sostituto della produzione di plusvalore reale, dopo un periodo di incubazione, porterà a medio termine ad un'inflazine globale galoppante. Per cui, il nuovo orientamento statale non può essere portato avanti per vie sociali. Al contrario, si prevede che l'amministrazione sociale di emergenza si aggravi drammaticamente, in nome della disperata gestione della crisi. Qualunque sia la coalizione di governo al timone, essa può soltanto modulare la forma del corso della crisi delle finanze pubbliche, che è altrettanto storica della crisi dei mercati finanziari e dell'economia mondiale. La riduzione dei trasferimenti sociali al di sotto dei livelli di sussistenza e la liquidazione definitiva dei servizi sociali pubblici diventa la conseguenza inevitabile delle condizioni di crisi sistemica, che può essere effettuata soltanto dalla politica, in quanto il presupposto di questa è proprio la relazione di capitale.

Una sinistra che indulge alla fantasia della regolamentazione è condannata all'opzione secondo la quale si pretende di assistere il capitalismo nella sua malattia. Questo infatti sarebbe, effettivamente, solo la ratificazione di una capitolazione già da molto tempo consumata nello sviluppo del dopoguerra e, al più tardi, a partire dal collasso del socialismo di Stato. L'obiettivo socialista non è stato riformulato, ma obnubilato e dissolto nei cliché keynesiani. Ironicamente, gli assistenti di sinistra dell'infermo possono solo fare assistenza al moribondo. Tuttavia, questo tenergli la mano, equivale ad una cogestione, rendendosi complici della gestione delle misure di emergenza che ci si deve aspettare, rispetto alle quali non riuscirà a resistere l'illusione della "configurazione" sociale (oltretutto, una parola tabù). La partecipazione dei partiti di sinistra alle coalizioni governative hanno già fornito un'anticipazione di cosa si tratta. Il capitalismo non è da "conformare", ma da abolire. Se la sinistra avesse una qualche sensibilità nei confronti dell'ironia storica, avrebbe dovuto portare fino in fondo l'inversione di posizioni e, sotto il segno del "socialismo di mercato finanziario" statale, gettare alle ortiche il suo tradizionale orientamento statalista. Questa predilezione per la categoria capitalista "Stato", sia nella sua versione forte ("Stato dei lavoratori" nel capitalismo di Stato) che nella versione debole (Stato del benessere nella regolamentazione keynesiana), trascinava sempre con sé l'auto-vincolazione alle condizioni di vita di una "valorizzazione del valore" autotelico, fine a sé stesso, che ora va a sbattere contro i suoi limiti storici oggettivi.

Alla critica liberale dello Stato, sulla base di false premesse, la cui inconsistenza capitalista è diventata nota, sarebbe possibile contrapporre una critica dello Stato radicalmente emancipatrice. Se il mercato collassa e la dinamica cieca del capitale seppellisce le necessità vitali, quello che è all'ordine del giorno non è la delega allo Stato amministratore dello stato di emergenza, di cui perfino le cosiddette organizzazioni de movimento diventano aiutanti. Le fantasie di regolamentazione di sinistra implicano anche "responsabilità per i capitalismo". Invece, è necessario che si costituisca un contro-movimento sociale transnazionale che si assuma coscientemente come "non responsabile" della relazione di capitale. Il che significa sollevare, proprio nella crisi, rivendicazioni immanenti (quali salari minimi di legge sufficientemente elevati, aumento dei trasferimenti sociali, espansione, anziché riduzione, dei servizi pubblici), la cui imposizione non segua più le strade ufficiali della politica, ma che sviluppi un potere di intervento proprio, al margine dei regolamenti di polizia. Se in qualche maniera arriva l'inflazione e le necessità vitali diventano "non finanziabili" secondo i criteri vigenti, un contro-movimento sociale non ha bisogno di rimanere impelagato nei conti del droghiere del terrore della sostenibilità finanziaria. Il che presuppone, in ogni caso, la natura transitoria di tale movimento, che intende prendersi cura di "tutta la bottega" e, per la prima volta, mettere all'ordine del giorno storico un obiettivo socialista di pianificazione sociale oltre la logica del lavoro astratto e della valorizzazione.

- Robert Kurz -

fonte: EXIT!

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