mercoledì 15 luglio 2015

La reliquia barbara

oro

Tempi d'oro della crisi?
di Robert Kurz

"Temiamo per il nostro denaro!": così, le locandine della stampa parlano al popolo, ancora una volta, a partire dalla sua anima di merce. Ieri è stato lo shock del crollo del settore immobiliare e della crisi finanziaria, oggi è lo shock del fallimento dello Stato greco, dietro la porta, ad aumentare l'incertezza generale. Non è un caso che l'acutizzarsi delle contraddizioni si concentra sul denaro, come mezzo e fine in sé della "ricchezza astratta" capitalistica (Marx). Questo solleva nuovamente la questione, rimossa per molto tempo, della sostanza e dell'ancoraggio istituzionale del denaro stesso. Fino alla prima guerra mondiale non c'era alcun problema, grazie al vincolo di tutte le monete centrali con l'oro. Nelle economie di guerra e nella crisi economica mondiale questo legame ha dovuto essere tagliato. Di necessità si è fatto virtù; Keynes ha definito l'oro come la "reliquia barbara".

Dopo la seconda guerra mondiale, il sistema monetario di Bretton Woods inizialmente è stato ancorato al dollaro, come denaro mondiale, in quanto questo era l'unica moneta ancora convertibile in oro. Dacché, nel 1973, è stato reciso anche quest'ultimo legame, il sistema monetario mondiale è entrato nello stadio della libera fluttuazione delle monete, con un'incertezza sempre più crescente nei cambi. Il keynesismo si è disfatto in un'inflazione che fino ad allora era conosciuta solamente come conseguenza delle economie di guerra. La dottrina monetarista del neoliberismo aveva promesso un rigida limitazione dell'offerta monetaria, ma anche tale compromesso puramente formale è stato liquidato all'inizio di questo secolo, sotto l'impatto dello scoppio delle bolle finanziarie, e di fatto è stato sostituito da una "politica di tassi d'interesse zero" da parte delle banche centrali. Ora, il fiume di denaro, con i quale sono state alimentate le congiunture di deficit, sfocia in una crisi che scuote i mercati finanziari e le finanze pubbliche. Fra gli economisti ci sono sempre più voci che suggeriscono una "rimonetarizzazione" dell'oro per ripristinare, con una sorta di golpe liberatorio, la stabilità monetaria.

Ma non si possono far girare all'incontrario le lancette dell'orologio. Come ha già dimostrato Marx nel secondo volume del Capitale, la produzione di oro come base del sistema monetario costituiva un fardello improduttivo, che oggi rappresenta circa il 5% del prodotto interno lordo; all'incirca dello stesso ordine di grandezza del complesso militare-industriale, ugualmente improduttivo dal punto di vista capitalista. Ma il problema è più profondo. Il disaccoppiamento del denaro dalla sua sostanza di valore corrisponde al disaccoppiamento delle merci dalla loro sostanza di lavoro. Il sistema dei prezzi è già soltanto formale e si libra, per così dire, in aria. Questo è solo un altro modo per dire che le forze produttive non possono più essere rappresentate nella forma del valore, come aveva previsto Marx. Dopo un lungo periodo di incubazione, cominciato nel 1973 , ora questa situazione viene alla superficie, come crisi di quel mezzo che è il denaro. Non è un caso che la crisi sia passata rapidamente dai mercati finanziari ai garanti statali della moneta. Gli anelli più deboli della catena si sono rotti per primi, come sempre, ma il problema è generale. Così come, al tempo presente, un socialismo che vada al di là della logica della valorizzazione e del suo mezzo stesso, il denaro, appare inconcepibile per la coscienza pubblica, allo stesso modo le misure di emergenza scatenano solamente nuove contraddizioni, che si faranno sentire sempre più rapidamente. Il ritorno della "reliquia barbara" non riuscirà a rendere d'oro questi tempi di crisi, ma soltanto a rendere finalmente riconoscibile il carattere feticista del modo di produzione dominante.

- Robert Kurz - Pubblicato su Neues Deutschland del 30/4/2010

fonte: EXIT!

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