giovedì 30 luglio 2015

Il tempo è il solo nemico!

postone

Qual è il valore del lavoro?
- di Moishe Postone -

I profondi cambiamenti storici del recente passato - il declino dello Stato-provvidenza nell'Occidente capitalista, il crollo del comunismo e dei partiti-Stato burocratici ad Est, e l'emergere apparentemente trionfante di un nuovo ordine capitalista mondiale e neoliberista - hanno restituito tutta la loro attualità ai problemi della dinamica storica e delle trasformazione mondiale nelle analisi e nei discorsi politici della sinistra.
Ma, allo stesso tempo, questi sviluppo rappresentano per la sinistra delle sfide difficili, in quanto mettono in causa tutta una serie di posizioni critiche che sono diventate predominanti negli anni settanta ed ottanta, così come le posizioni precedenti apparse dopo il 1917.
Da un lato, visto che il crollo drammatico e la dissoluzione definitiva dell'Unione Sovietica e del comunismo europeo fanno parte di tali cambiamenti, questi sono stati interpretati come la dimostrazione della fine storica del marxismo e, più in generale, della pertinenza della teoria sociale di Marx.
Ma, dall'altro lato, gli ultimi decenni hanno mostrato che la dinamica che sottende il capitalismo (dinamica intesa sia in maniera sociale e culturale che in maniera economica) continua ad esistere ad Est come ad Ovest ed hanno ugualmente mostrato come l'idea secondo la quale lo Stato potrebbe controllare tale dinamica non era valida se non, nella migliore delle ipotesi, in maniera provvisoria. Questa evoluzione mette profondamente in discussione le interpretazioni post-strutturaliste della storia e mostra inoltre che il nostro modo di comprendere le condizioni dell'autodeterminazione democratica dev'essere ripensata.
E' proprio perché le trasformazioni storiche recenti riaffermano l'importanza centrale delle problematiche della dinamica storica e dei cambiamenti strutturali su grande scale, che esse mostrano che oggi abbiamo assolutamente bisogno di una riconcettualizzazione della critica dell'economia politica di Marx. Ma, affinché una teoria critica del capitalismo possa essere adeguata al mondo contemporaneo, essa dev'essere radicalmente differente dalle tradizionali critiche marxiste.
Per "marxismo tradizionale", intendo un'analisi del capitalismo fatta essenzialmente in termini di rapporti di classe radicati nei rapporti di proprietà e mediati dal mercato, di modo che il socialismo viene visto principalmente come una società caratterizzata dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione e dalla pianificazione centralizzata in un contesto industrializzato: un modo di distribuzione regolato in maniera giusta e cosciente, adeguato alla produzione industriale.
Un tale approccio non può più servire come base di una teoria critica emancipatrice.
In primo luogo, esso non ha consentito una critica storica adeguata del "socialismo realmente esistente" ed è stato impotente a pensare il crollo di questa forma sociale.
Inoltre, la natura della sua critica del capitalismo si è rivelata inadeguata. Non è più convincente la pretesa che il socialismo costituisca la risposta ai problemi del capitalismo quando ciò che si intende per socialismo non è altro che l'introduzione della pianificazione centralizzata e della proprietà di Stato.
Infine, il carattere degli ideali emancipatori del marxismo tradizionale si è sempre più allontanato dai temi e dalle cause dell'insoddisfazione sociale esistente nelle società industriali avanzate. Ciò è particolarmente vero a causa della sua attitudine positiva riguardo al lavoro industriale proletario e riguardo alla forma specifica di produzione, e del tipo di "progresso" tecnologico, che caratterizzano il capitalismo. In un'epoca in cui cresce la critica di questo "progresso" e di questa "crescita", la coscienza dei problemi ecologici, il declino, in numero ed in potenza, della classe operaia nei paesi centrali, il malcontento riguardo alle forme di lavoro esistenti, l'interesse per la libertà politica e l'importanza delle forme di identità sociale che non si fondano più principalmente sulle classi, in una simile epoca, dunque, il marxismo tradizionale si rivela sempre più anacronistico. Ad Est come ad Ovest, lo sviluppo storico del XX secolo ha dimostrato la sua insufficienza.
Per comprendere il tipo di dinamica storica che ha modificato profondamente il mondo nel corso degli ultimi vent'anni, abbiamo quindi bisogno di una teoria che riconcettualizzi il nucleo del capitalismo. E mi sembra che la teoria sociale della maturità di Marx fornisca il punto di partenza per questa teoria riconcettualizzata. Quello che tento di fare è ripensare l'analisi marxiana della natura profonda del capitalismo - le sue relazioni sociali, le sue forme di dominio e la sua dinamica storica - in una maniera che rompa con gli approcci marxisti tradizionali. Una tale reinterpretazione contribuirà a chiarire le strutture essenziali e la dinamica storica dominante dell'attuale società industriale avanzata, proponendo una critica radicale del marxismo tradizionale e redefinendo la relazione fra la teoria di Marx e le altre correnti maggiori della teoria sociale.
Al cuore di questa reinterpretazione, vi è l'idea che le categorie della critica del Marx della maturità siano storicamente specifiche alla società moderna (o capitalista). Guardare all'idea della specificità storica, implica guardare all'idea della specificità storica della stessa teoria di Marx. In un tale quadro concettuale, nessuna teoria - ivi compresa quella di Marx - ha una validità trans-storica, assoluta. (A partire dalle opere della maturità, uno dei compiti importanti della teoria è la riflessività: essa deve rendere plausibile il suo proprio punto di vista con l'aiuto delle stesse categorie che le servono per analizzare il suo contesto storico.)
Con le opere della maturità, tutte le nozioni trans-storiche - ivi compresi numerosi concetti del giovane Marx, concernenti la storia, la società ed il lavoro, espressi secondo l'idea di una logica dialettica sottesa alla storia umana - vengono storicamente relativizzate. Con queste opere, Marx cerca di scoprire i fondamenti della loro validità nelle caratteristiche specifiche della società capitalista.
Per spiegare il meccanismo che sottende questa società, Marx cerca di individuare la forma più fondamentale dei rapporti sociali che caratterizzano la società capitalista. Tale forma fondamentale, è la merce: una forma storicamente specifica dei rapporti sociali, costituita in quanto forma strutturata della pratica sociale che, allo stesso tempo, è un principio strutturante le azioni, le visioni del mondo ed i desideri degli uomini. In quanto categoria della prassi, essa è una forma sia della soggettività che dell'oggettività sociale. Sotto certi aspetti, essa occupa, nell'analisi della modernità fatta da Marx, un posto identico a quello della parentela nell'analisi antropologica di un'altra forma di società.
Ciò che caratterizza la forma-merce dei rapporti sociali così come Marx li analizza, è il fatto che essa è costituita dal lavoro, che essa esiste sotto una forma oggettivata e che essa ha un carattere duplice.
Per meglio capire questa descrizione, bisogna evidenziare la concezione marxiana della specificità storica del lavoro sotto il capitalismo.
Marx sostiene che, nel capitalismo, il lavoro ha un "carattere duplice": è sia "lavoro concreto" che "lavoro astratto". "Lavoro concreto" si riferisce al fatto che alcune forme di quello che noi consideriamo come attività lavorativa mediano le interazioni fra gli uomini e la natura in tutte le società. "Lavoro astratto" significa, secondo me, che, nel capitalismo, il lavoro ha anche una funzione sociale specifica: media una nuova forma di interdipendenza sociale.

Precisiamo: in una società in cui la merce è la categoria fondamentale strutturante la totalità, il lavoro ed i suoi prodotti non vengono socialmente distribuiti per mezzo di legami, di norme e di rapporti non mascherati di potere e di dominio tradizionale - cioè a dire di rapporti sociali palesi - come avviene nelle altre società. Al contrario, è il lavoro stesso che sostituisce questi rapporti servendo come mezzo quasi oggettivo per mezzo del quale si acquisiscono i prodotti degli altri. Emerge una nuova forma di interdipendenza dove nessuno consuma quel che produce, ma dove, tuttavia, il lavoro o il prodotto del lavoro di ciascuno è il mezzo necessario per ottenere i prodotti degli altri. Servendo così da mezzo, il lavoro ed i suoi prodotti adempiono alla funzione che era quella dei rapporti sociali palesi. Al posto di un senso definito, distribuito e dato a partire da rapporti sociali palesi, come avviene nelle altre società, il lavoro sotto il capitalismo è un senso definito, distribuito e dato a partire da delle strutture (merce, capitale) costituite dal lavoro stesso. Cioè a dire, nel capitalismo, il lavoro costituisce una forma di relazioni sociali che hanno un carattere quasi oggettivo, apparentemente non sociale, impersonale, e che ingloba, trasforma e, fino ad un certo punto, mina e rende obsoleti i legami sociali ed i rapporti tradizionali di potere.
Nell'opera del Marx della maturità, quindi, l'idea secondo cui il lavoro è al centro della vita sociale non è una proposizione trans-storica. Non è in rapporto al fatto che la produzione materiale è un prerequisito di tutta la vita sociale. Né significa che la produzione materiale sia la dimensione più essenziale della vita sociale in generale, o perfino del capitalismo in particolare. In realtà, nel capitalismo, si riferisce alla costituzione storicamente specifica per cui il lavoro è una forma di mediazione sociale che caratterizza fondamentalmente questa società. E' su questa base che Marx fonda socialmente i tratti essenziali della modernità.
Per Marx, il lavoro sotto il capitalismo non è soltanto il lavoro in senso trans-storico, abituale del termine, bensì un'attività di mediazione sociale storicamente specifica. I suoi prodotti - merce, capitale - sono quindi allo stesso tempo sia prodotti concreti del lavoro che forme oggettivate della mediazione sociale. Sulla base di quest'analisi, i rapporti sociali che caratterizzano in maniera fondamentale la società capitalistica sono molto diversi dalle relazioni sociali palesi, qualitativamente specifiche - come i rapporti di parentela o i rapporti di dominio diretti o personali - che caratterizzano le società non capitaliste. Benché tali tipi di rapporti sociali continuino ad esistere anche sotto il capitalismo, quello che alla fine struttura questa società è un nuovo livello che sottende i rapporti sociali e che si costituisce per mezzo del lavoro. Questi rapporti hanno un carattere particolare quasi oggettivo, formale, e sono duplici: si caratterizzano per l'opposizione fra una dimensione omogenea, generale, astratta, ed una dimensione materiale, particolare concreta - ciascuna di queste dimensioni appare essere "naturale", e non sociale - ed esse condizionano la concezione sociale della realtà naturale.
Il carattere astratto della mediazione sociale che sottende il capitalismo, si esprime anche attraverso la forma di ricchezza che domina in questa società. La "teoria del valore-lavoro" di Marx è stata sovente compresa in maniera erronea come teoria della ricchezza-lavoro, cioè a dire come teoria che cerca di spiegare il meccanismo del mercato, ed a provare l'esistenza dello sfruttamento, affermando che il lavoro, sempre e dappertutto, è la sola fonte sociale della ricchezza. Ma l'analisi di Marx non è un'analisi della ricchezza in generale, né del lavoro in generale. Essa analizza il valore in quanto forma storicamente specifica della ricchezza; il valore è anche una forma di mediazione sociale. Marx ha esplicitamente distinto valore e ricchezza materiale, ed ha legato queste due forme distinte di ricchezza al dualismo del lavoro sotto il capitalismo. La ricchezza materiale è determinata dalla quantità di beni prodotta, ed essa dipende da numerosi fattori, quali il sapere, l'organizzazione sociale e le condizioni naturali, oltre al lavoro. Il valore, secondo Marx, non è costituito altro che dal dispendio del tempo di lavoro umano, ed esso è la forma dominante di ricchezza sotto il capitalismo. Mentre la ricchezza materiale (quando è la forma dominante di ricchezza) viene mediata dai rapporti sociali palesi, il valore è una forma auto-mediante della ricchezza.
La teoria del valore di Marx permette un'analisi del capitale in quanto forma socialmente costituita di mediazione e di ricchezza la cui principale caratteristica è una tendenza all'espansione illimitata. Aspetto estremamente importante di questo tentativo di specificare e di fondare la dinamica della società moderna, è l'accento posto sulla temporalità. Anche qui, il valore non è affatto legato alle caratteristiche fisiche dei prodotti, così come la sua misura non è immediatamente identica alla massa dei beni prodotti ("la ricchezza materiale"). Al contrario, in quanto forma astratta d ricchezza, il valore si fonda su una misura astratta: il dispendio socialmente medio, o necessario, del tempo di lavoro.
La categoria del tempo di lavoro socialmente necessario, non è solamente descrittiva, essa esprime una norma temporale generale che è il risultato delle azioni dei produttori, ed a questa norma i produttori si devono conformare. Queste norme temporali esercitano una forma di costrizione astratta che è inerente alla forma di mediazione e di ricchezza del capitalismo. Detto in altri termini, qui, il fine della produzione si oppone ai produttori come una necessità esterna. Non è determinato dalla tradizione sociale, o dalla coercizione sociale palese, né viene deciso consciamente. Al contrario, il fine si presenta esso stesso come al di fuori del controllo umano.

La forma di mediazione costitutiva del capitalismo genera, quindi, una nuova forma, astratta, di dominio sociale: una forma che sottomette gli individui a degli imperativi e a delle costrizioni strutturali sempre più razionalizzate ed impersonali. E' il dominio del tempo sugli individui.
La forma astratta di dominio analizzata da Marx nel Capitale quindi non può essere compresa in maniera adeguata nei termini del dominio di classe o, più generalmente, nei termini del dominio concreto da parte dei gruppi sociali o degli organismi istituzionali dello Stato e/o dell'economia. Nel Capitale, Marx tenta di dimostrare che le forme di mediazione sociale espresse da categorie quali "merce" e "capitale" si sviluppano in una sorta di sistema oggettivo che determina sempre più i fini ed i mezzi dell'attività umana. Vale a dire che Marx tenta sia di analizzare il capitalismo in quanto sistema sociale quasi oggettivo, sia di fondare tale sistema sulle forme strutturate della pratica sociale. Questa forma di dominio non ha uno spazio determinato, e benché costituita attraverso forme specifiche di pratica sociale, essa non appare assolutamente come sociale.
La forma di dominio che ho cominciato a descrivere non è affatto statica: essa genera una dinamica che è intrinsecamente alla base della società moderna. Analizzando alcune conseguenze della dimensione temporale del valore, ho cercato di mostrare come il capitale, in quanto valore che si autovalorizza, sottenda una dinamica storica non lineare assai complessa. Da una parte, questa dinamica si caratterizza attraverso delle trasformazioni continue della produzione e, più in generale, della vita sociale. Dall'altra parte, intraprende la ricostituzione permanente di ciò che la fonda, in quanto caratteristica immutabile della vita sociale - vale a dire che, alla fine, la mediazione sociale viene realizzata dal lavoro e che, quindi, qualunque sia il livello della produttività, il lavoro vivente rimane integrato nel processo di produzione (considerato in funzione della società nel suo insieme). La dinamica storica del capitalismo genera incessantemente il "nuovo" mentre rigenera lo "stesso".
Un'analisi di questo tipo permette di comprendere perché il corso dello sviluppo capitalista non è stato affatto lineare, perché gli enormi aumenti di produttività generati dal capitalismo non hanno portato né a dei livelli generali di abbondanza sempre più elevati né ad una ristrutturazione fondamentale del lavoro sociale con una significativa riduzione generalizzata del tempo di lavoro. In questo quadro teorico, la storia sotto il capitalismo non è né una semplice questione di progresso (tecnico o altro) né una semplice questione di regressione o di declino. Al contrario, il capitalismo è una società in continua mutazione, ma che ricostituisce sempre l'identità che la sottende. Questa dinamica genera la possibilità di un'altra organizzazione della vita sociale, e tuttavia impedisce la realizzazione di una tale possibilità.

Questa comprensione della dinamica complessa del capitalismo permette un'analisi critica, sociale (e niente affatto tecnologica) della traiettoria di crescita e della struttura di produzione nella società moderna. Il concetto-chiave di Marx, il concetto di plusvalore, non indica soltanto, come hanno fatto le interpretazioni tradizionali, che il surplus viene prodotto dalla classe operaia: esso mostra come il capitalismo si caratterizzi attraverso una forma determinata, cieca, di "crescita" che comporta la distruzione accelerata dell'ambiente naturale! Nel quadro di questa analisi, il problema della crescita economica sotto il capitalismo non attiene solo al fatto che questa venga sopraffatta dalla crisi, come spesso hanno sottolineato gli approcci marxisti tradizionali. In realtà, è la forma stessa della crescita che è problematica. Secondo il nostro approccio, la traiettoria della crescita sarebbe differente se il fine ultimo della produzione fosse quello di aumentare la quantità di beni, e non la quantità di plusvalore. In altri termini, la traiettoria di espansione sotto il capitalismo non va confusa con la "crescita economica" in quanto tale - in realtà, si tratta di una traiettoria determinata, che genera una tensione crescente fra le preoccupazioni ecologiche e gli imperativi del valore in quanto forma di ricchezza e di mediazione sociale.
Quest'approccio, fondato sulla distinzione fra ricchezza materiale e valore, permette anche un'analisi critica della struttura del lavoro sociale e della natura della produzione sotto il capitalismo. Mostra che il processo di produzione industriale non dovrebbe essere compreso come un processo tecnico che, anche se sempre più socializzato, viene utilizzato dai capitalisti privati per i loro propri scopi. L'approccio che qui descrivo, al contrario, comprende questo processo come intrinsecamente capitalista, e fornisce l'inizio di una spiegazione strutturale di un paradosso centrale della produzione sotto il capitalismo. Da un lato, la tendenza del capitale a degli aumenti permanenti di produttività crea un apparato produttivo tecnologicamente molto sofisticato che rende la produzione di ricchezza materiale essenzialmente indipendente dal dispendio di tempo di lavoro umano diretto. Dall'altro lato, tale tendenza spalanca le porte alla possibilità della riduzione del tempo di lavoro al livello di tutta la società, e alla possibilità di trasformazioni fondamentali nella natura e nell'organizzazione sociale del lavoro.
Eppure, nel capitalismo, queste possibilità non vengono per niente realizzate. Benché ci sia sempre meno ricorso al lavoro umano, lo sviluppo di una produzione tecnologicamente sofisticata non libera affatto la maggioranza delle persone dal lavoro frammentato e ripetitivo. Analogamente, il lavoro non viene ridotto sulla scala di tutta la società, ma viene distribuito in maniera ineguale, perfino aumentandolo per molti. L'attuale struttura del lavoro e dell'organizzazione della produzione non può quindi essere compresa soltanto in termini tecnologici: lo sviluppo della produzione sotto il capitalismo dev'essere compreso anche in termini sociali. E' il prodotto, così come lo è il consumo, delle mediazioni sociali espresse attraverso le categorie della merce e del capitale.
Secondo quest'interpretazione, la teoria di Marx, quindi, non propone uno schema di sviluppo lineare che va oltre la struttura e l'organizzazione del lavoro esistente (come fanno i teorici della società post-industriale); e non fa della produzione industriale e del proletariato, le basi di una società futura (come fanno gli approcci marxisti tradizionali). Al contrario, l'analisi di Marx afferma implicitamente che la forma di produzione industriale fondata sul proletariato, in quanto forma folle di crescita economia, sia modellata dalla forma merce, e mostra che le forme sia di produzione che di crescita sarebbero diverse in una società in cui la ricchezza materiale rimpiazzerebbe il valore come forma dominante di ricchezza. Il capitalismo stesso crea la possibilità di una simile società e di una strutturazione differente del lavoro, di una forma differente di crescita e di una forma differente di interdipendenza globale complessa - ma, allo stesso tempo, il capitalismo mina strutturalmente la realizzazione delle sue possibilità.
Per inciso, notiamo che, basando il carattere contraddittorio della formazione sociale sulle forme duali espresse dalle categorie della merce e del capitale, questa lettura di Marx suggerisce che la contraddizione sociale strutturalmente fondata sia specifica del capitalismo. Alla luce di quest'analisi, l'idea che la realtà ed i rapporti sociali in generale sarebbero essenzialmente contraddittori e dialettici appare come un'idea che forse può essere compresa metafisicamente, ma che non si spiega affatto. L'analisi di Marx rende implicitamente superflue le concezioni evoluzionistiche della storia, in quanto mostra come tutte le teorie che propongono una logica, in quanto tale, di sviluppo intrinseco alla storia (che tale logica sia dialettica o evoluzionistica) proiettano sulla storia in generale ciò che concerne soltanto il capitalismo.

Secondo l'interpretazione che ho delineato, la teoria di Marx va ben oltre la critica tradizionale dei rapporti borghesi di distribuzione (il mercato e la proprietà privata); non è una semplice critica dello sfruttamento e della distribuzione ineguale della ricchezza e del potere. Al contrario, essa cattura la società industriale moderna stessa in quanto capitalista, ed analizza in maniera critica il capitalismo soprattutto in termini di strutture astratte di dominio, di crescente frammentazione del lavoro individuale e dell'esistenza individuale, e di una logica di cieco sviluppo. Fa della classe operaia l'elemento di base del capitalismo, e non l'incarnazione della sua negazione, e concettualizza implicitamente il socialismo, non in termini di realizzazione del lavoro e della produzione industriale, ma in termini di possibilità di abolizione del proletariato e dell'organizzazione della produzione fondata sul lavoro proletario, così come nei termini della possibilità di abolizione del sistema dinamico di costrizioni astratte che costituiscono il lavoro in quanto attività di mediazione sociale.
Questa reinterpretazione di Marx, implica quindi il ripensare radicalmente la natura del capitalismo e la sua possibile trasformazione storica. Allontanando il fuoco della critica da una relazione esclusiva con il mercato e con la proprietà privata, essa permette una teoria critica di una società post-liberale in quanto capitalista, e permette anche una teoria critica dei paesi cosiddetti del "socialismo realmente esistente" in quanto forme alternative (e già fallite) di accumulazione del capitale, e non in quanto modi sociali che rappresentavano la negazione storica del capitale, seppure in forma imperfetta.
Anche se il livello d'analisi di grande astrazione logica qui delineato non affronta la questione dei fattori specifici alla base delle trasformazioni strutturali degli ultimi vent'anni, esso fornisce un quadro, all'interno del quale queste trasformazioni possono essere socialmente basate e storicamente comprese. Permette una comprensione della dinamica di sviluppo non lineare della società moderna, che potrebbe includere numerose importanti intuizioni della teoria post-industriale, evidenziando i limiti inerenti a tale dinamica e, di conseguenza, il divario fra l'organizzazione attuale della vita sociale ed il modo in cui essa potrebbe essere organizzata - in particolare, in considerazione dell'importanza crescente della scienza e della tecnologia.
Quest'approccio riconcettualizza la società post-capitalistica in termini di superamento del proletariato e del lavoro che il proletariato svolge - cioè a dire, in termini di trasformazione della stuttura generale del lavoro e del tempo. In tal senso, essa differisce dall'idea marxista tradizionale della realizzazione del proletariato e differisce anche dal modo capitalista di "abolizione" delle classi operaie nazionali attraverso la creazione di una sotto-classe nel quadro della distribuzione ineguale del lavoro e del tempo, nazionalmente e globalmente.
Nella misura in cui cerca di fondare socialmente - pur criticandoli - i rapporti sociali oggettivi, astratti, la natura della produzione, il lavoro e gli imperativi di crescita sotto il capitalismo, questa interpretazione permette anche di affrontare una serie di questioni, di insoddisfazioni e di aspirazioni attuali, in modo da fornire un punto di partenza fecondo per l'esame dei nuovi movimenti sociali degli ultimi decenni e dei tipi di visione del mondo storicamente costituiti che essi incarnano ed esprimono.
Infine, quest'approccio ha anche una ripercussione sulla questione delle condizioni sociali della democrazia, nella misura in cui non analizza soltanto le ineguaglianze del potere sociale reale che sono sfavorevoli alla politica democratica, ma rivela anche come socialmente costituite - e quindi come oggetti legittimi di discussione politica - le costrizioni sistemiche imposte dalla dinamica del capitale all'auto-determinazione democratica.
Le rotture ed i cambiamenti strutturali del recente passato, mostrano come la sola maniera adeguata di andare oltre il marxismo tradizionale, sia quella di formulare una migliore teoria critica del capitalismo; e mostrano anche come le teorie della democrazia, dell'identità, o le filosofie del non-identico che non tengono in alcun conto la dinamica della globalizzazione capitalista, abbiano cessato di essere adeguate. Senza un'analisi del capitalismo, in grado di affrontare una crisi strutturale che incide sulla vita della più parte degli abitanti del pianeta, seppure con delle differenze, senza tale analisi la sinistra avrà completamente abbandonato alla destra il campo politico.

- Moishe Postone - Conferenza tenuta a Berlino il 18 luglio del 2000 -

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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