venerdì 3 aprile 2015

La lotta per l'identità

October

La lotta per la verità 2/7
(Note sul comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società)
- Un frammento di Robert Kurz -

Premessa: Il presente testo costituisce un frammento scritto da Robert Kurz. Viene pubblicato senza nessuna sistemazione editoriale. Ci sono quindi delle annotazioni fra parentesi e degli spazi in bianco fra i paragrafi lasciati dall'autore e che erano destinati ad accogliere delle spiegazioni che Robert Kurz non ha potuto elaborare. E' un frammento postumo, rivolto contro il comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società. Questo comandamento viene identificato come risultato di un'incertezza transitoria, alla fine dell'epoca borghese, in cui anche il campo della critica del capitalismo, legittimato dalle idee di Marx, si presenta spesso come una sorta di labirinto, per quelli che ne sono fuori. La risposta postmoderna a questa situazione, consiste ora nel vivere la "perdita di tutte le certezze", non come probabile problematica, ma elevandola a dogma, a nuova garanzia di salvezza, la cui promessa di felicità consiste nel non dover compromettersi con niente e nel lasciare tutto aperto. Qualsiasi posizione determinata, che non riconosce da subito anche il suo contrario, viene aspramente criticata  da questo dogma. Ma una simile imprecisione ed ambiguità non possono essere mantenute per un tempo illimitato poiché la gravità stessa della situazione di crisi obbliga ad una definizione. Il pensiero postmoderno, nel rifiutare una nuova chiarezza, o una definizione di contenuto, e pretendendo di vedere proprio in questo rifiuto il nuovo in generale, può fare appello soltanto al potenziale di barbarie in esso addormentato, preso in contropiede dalla sua stessa decisione priva di fondamenti. (Riassunto apparso sul n° 12 di Exit!)

Conflitti intorno alla verità * Dalla teorizzazione della politica alla politicizzazione della teoria * ( Dalla politicizzazione del privato alla privatizzazione del politico ) * All'ordine del giorno c'è la tattica, la strategia, il mimetismo, il camuffamento * Il dogma "anti-dogmatico" della postmodernità * Stringere la vite * Il posto nella storia come campo di battaglia delle idee * Svolta linguistica * Totalitarismo del linguaggio e cosa in sé * (Anti-essenzialismo ) *  ( L'atteggiamento esistenziale ) * ( Soggettivismo strutturale ) * ( La mancanza di basi della narrativa, costruzione/decostruzione e discorso ) * ( Critica dell'oggettività negativa o positivismo del discorso? ) * ( Relativismo storico e post-storia ) * ( Fare chiarezza sull'avversario e chiarire sé stessi ) * (Negare l'oggettività della verità ) * ( Dal positivismo dei fatti al positivismo della narrativa, della costruzione e del discorso ) * ( Storia della formazione e storia interna ) * ( Relativismo strutturale, senza concetto della totalità ) * La storia come campo di battaglia delle idee, le idee come armi della storia *
 - I titoli fra parentesi sono quelli dei capitali che non Kurz non è arrivato a poter elaborare -

Dalla teorizzazione della politica alla politicizzazione della teoria
Qui, spesso non si distingue fra teoria e politica: un segno tipico della mentalità della setta. Un conflitto teorico non può essere affrontato allo stesso modo in cui si affronta un conflitto politico. Quando sono all'ordine del giorno contenuti teorici e processi di chiarificazione, non si dà compromesso possibile. Questo contraddirebbe la cosa stessa, poiché qui non si tratta di un modo di procedere strategico-tattico delle forze sociali, né di negoziati commerciali in un mercato di opinioni, ma si tratta di verità insuscettibile di negoziazione di qualcosa, la cui verifica fa uso di criteri propri. La politica, al contrario, come gioco di potere, nella misura in cui non è stata lasciata indietro dalla critica pratica della società, e pertanto continua a muoversi in questa sfera borghese, esige proprio il compromesso fra le diverse posizioni, il franco risultato dei negoziati fra le forze in lotta le une contro le altre. Nei conflitti teorici non si può procedere secondo una tattica politica e nella cosiddetta politica (così come nella prassi dei movimenti sociali autonomi) non si può esigere, come criterio, il chiarimento teorico.
E' caratteristico dell'abituale stupidità di sinistra, fondamentalmente, confondere e mischiare queste due sfere, ossia, affrontare politicamente la teoria e affrontare teoricamente la politica. Questo comporta entrambi gli estremi. Un procedimento teorico in politica (o, ad esempio, a causa della problematica di questo concetto, usato nella sinistra in maniera inflazionata ed imprecisa: nelle questioni di movimento e di organizzazioni sociali) implica il delirio della demarcazione generale e reciproca, fino all'atomizzazione di qualsiasi azione politico-sociale e sociale. La forma polemica della demarcazione può essere caricata con una furia identitaria rispetto ad ogni e qualsiasi cosa, perfino nelle cose secondarie e non essenziali. Il problema affilato della verità avvelena lo stesso clima anche dove non si tratta di fissare analiticamente una verità concettuale. Qui la forma dell'agire "teorico" non va intesa letteralmente, ma come forma vuota del conflitto senza contenuto teorico sostanziale: come mera intransigenza superficiale in relazione alle questioni dell'agire, che non sono né teoriche né fondamentali, nell'orizzonte del trattamento della contraddizione sociale.
Ad esempio, solo con riluttanza si percepisce che nel caso di azioni finalizzate a determinate manifestazioni, o relazioni, della coercizione capitalista - per esempio, contro la corruzione o per un salario minimo legale - il riconoscimento del programma generale del rispettivo gruppo di appartenenza (il più delle volte, politicista o grezzamente attivista) può diventare un precondizione, chiara o nascosta. Spesso, il successivo posizionamento su altre questioni parziali, o sopra contesti maggiori - per esempio, elezioni parlamentari, oppure il Tibet o la "rivoluzione bolivariana" in Venezuela - vengono in tal modo legate al rispettivo obiettivo, risultando quindi limitazioni ad una partecipazione polemicamente richiesta. E' proprio l'amata "politica di alleanza" fra gruppi eterogenei che si sviluppa, fino a diventare campo di battaglia di questioni puramente tattiche, che vengono polemicamente gonfiate fino alla lotta identitaria; fino a determinazioni solamente assurde, sulle quali devono essere piantate bandierine. Il contenuto polemico in generale, si riduce ad una sorta di "questione di bandierine".
Tali cose diventano rapidamente problemi di fondo, quando si tratta dell'interpretazione decisiva della teoria di Marx o di una cesura storica nell'orientamento pratico. Poiché, naturalmente, ci sono situazioni nelle quali una questione pratica acquisisce importanza fondamentale, e nelle quali le divergenze devono elevarsi a polemiche. Così, per esempio, l'atteggiamento riguardo alla guerra del 1914 divenne una decisione di portata storica; solo l'opposizione veramente radicale alla guerra ha potuto fondare tutta una corrente di rinnovata critica al capitalismo (per quelle che erano le relazioni e le conoscenze di allora). Inversamente, solo la corretta approvazione della coalizione anti-Hitler, contro la barbarie nazional-socialista, nella seconda guerra mondiale, ha costituito la base di un orientamento epocale dell'antifascismo. Infine, l'opposizione alle guerre dell'ordinamento mondiale capitalista, dopo la caduta del socialismo di Stato, gioca il ruolo di una pietra angolare pratica al fine di riorientare la critica radicale nel XXI secolo, anche se qui i fronti non sono ancora differenziati e sono tutt'altro che chiari.
Ma in tutti questi casi, equiparabili fra di loro, la completa opposizione sulla questione della prassi epocale è stata (ed è) anche mediata teoricamente, a causa del culminare dello sviluppo della contraddizione sociale. Perciò dopo questo - e diversamente dalle questioni tattiche, organizzative o "di bandierine" -  può e deve consumarsi una decisione a lungo maturata, non solo immediatamente pratica, ma assai teoricamente riflessa che si presenta nella polemica inconciliabile delle posizioni contrarie. Dal momento che la sinistra ormai non è più fuori dal mondo del capitale; essa ne è parte, e la disputa che si gonfia all'interno di essa, se ha fondamento, riflette quest'immanente e necessaria lotta per una trascendenza che è sempre controversa e che non viene mai intesa per quello che essa stessa è.
La polemica, spesso inflazionata a partire dal 1968 - focalizzata su questioni secondarie, o questioni parziali, subordinate, nelle acque poco profonde di un politicismo superficiale dei gruppi di sinistra facenti parte dell'ideologia del movimento, socialmente senza influenza - al contrario, in gran parte non è stata, né è, determinata, in generale, per mezzo di una cesura oggettivamente maturata nel processo di prassi sociale, e né, pertanto, teoricamente riflessa. Si tratta, quindi, non della riproduzione, nella sinistra, di una rottura storica dello sviluppo capitalista - per la quale si dovrebbe combattere assolutamente fino alla fine (rottura che, tuttavia, dovrebbe essere da molto tempo all'ordine del giorno) - ma si tratta, semmai, di una mera politica identitaria dei contesti di organizzazione non dichiarati, che minacciano di diventare un fine in sé, come in qualsiasi partito borghese.
Nel passato recente sono stati soprattutto i cosiddetti gruppi K (n.d.t.: di comunisti) a combattere una tale lotta di demarcazione identitaria nelle questioni del tutto secondare, e a pretendere di gonfiare i loro circoli in miniatura fino a farli diventare organizzazioni che avrebbero scosso il mondo con grande competenza. Questa "teorizzazione" di una politica di setta, tuttavia, non aveva assolutamente niente a che vedere con le questioni teoriche fondamentali poste all'ordine del giorno dallo sviluppo capitalista. Al contrario, sono stati ignorati i veri compiti teorici, nel senso della continuazione e dello sviluppo e della trasformazione della teoria di Marx, all'altezza dei tempi; invece, le persone si sono precipitate in una teologia dogmatica fatta di citazioni senza fondamento, e i cui protagonisti, feticisti dell'organizzazione, si equiparavano fra di loro in termini di contenuto, e perfino quasi fisiognomicamente, come un uovo si equipara ad un altro uovo. Gli stessi sintomi, potevano essere osservati anche nelle nostre correnti di sinistra di tono più spontaneista o anarchico che, come i gruppi K, erano il risultato della nuova sinistra del 1968. Anche qui dominava la polemica, con carica identitaria, circa futili problemi di organizzazione.
Detto in altre parole, non è stata la politica ad essere trattata "teoricamente" ma, al contrario, è stata la teoria ad essere trattata "politicamente", ossia, ha smesso di essere presa sul serio in termini di contenuto. Il che era anche molto più adeguato al vero stato della sinistra. Quello che veniva designato ottimisticamente come teoria, o "lavoro teorico", ecc., o si trovava - anche relativamente al piano categoriale della determinazione concettuale di Marx - immediatamente associato a direttrici "politiche", le quali non erano fondate teoricamente, oppure si muoveva anticipatamente su un piano, tanto immediato quanto superficiale, di valutazioni politiche che non avevano niente a che vedere con le determinazioni categoriali del Capitale di Marx (dalla "teoria dei tre mondi", nel senso del punto di vista dei movimenti di liberazione nazionale della periferia, passando per un populismo nazionale radicale di pseudo-sinistra, fino ad una fisica politica dei "rapporti di forza"). Nei successivi movimenti monotematici (anti-nucleare, per la pace, ecc.) si è perso ancora di più il riferimento ad una teoria sociale complessiva e ad una determinazione teorica della situazione storica. In questo contesto, è avvenuta la svolta della polemica senza contenuto a proposito delle politiche di organizzazione per un consorzio, ugualmente senza contenuto, di unità e di comunità.
Questo aveva anche qualcosa a che vedere con la marginalizzazione della sinistra dopo la prevista ritirata precipitosa a partire dal 1968. Il gesto spaccone dei diversi mini-partiti, sette e simulatori di movimento - che aveva corrisposto alla reciproca inconsistente polemica, e con cui si immaginavano essere la punta di lancia di una "rivoluzione delle masse" prevista come immediata - diede luogo ad una voce timida, più depressiva, degli agitatori falliti che, generazione dopo generazione, avevano perso il loro pseudo-radicalismo puberale per diventare "realisti". Quanto minore la pretesa, tanto maggiore la disponibilità all'adattamento, e tanto più concettualmente pacifista il discorso, poiché oramai non sembrava che si trattasse di qualcosa di essenziale.

- Robert Kurz( 2 di 7 – continua …)

- Pubblicato sulla rivista EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, nº 12 (11/2014) -

fonte: EXIT!

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