martedì 7 aprile 2015

A volte ritornano

veilkant1

La lotta per la verità 6/7
(Note sul comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società)
- Un frammento di Robert Kurz -

Premessa: Il presente testo costituisce un frammento scritto da Robert Kurz. Viene pubblicato senza nessuna sistemazione editoriale. Ci sono quindi delle annotazioni fra parentesi e degli spazi in bianco fra i paragrafi lasciati dall'autore e che erano destinati ad accogliere delle spiegazioni che Robert Kurz non ha potuto elaborare. E' un frammento postumo, rivolto contro il comandamento postmoderno al relativismo nella teoria critica della società. Questo comandamento viene identificato come risultato di un'incertezza transitoria, alla fine dell'epoca borghese, in cui anche il campo della critica del capitalismo, legittimato dalle idee di Marx, si presenta spesso come una sorta di labirinto, per quelli che ne sono fuori. La risposta postmoderna a questa situazione, consiste ora nel vivere la "perdita di tutte le certezze", non come probabile problematica, ma elevandola a dogma, a nuova garanzia di salvezza, la cui promessa di felicità consiste nel non dover compromettersi con niente e nel lasciare tutto aperto. Qualsiasi posizione determinata, che non riconosce da subito anche il suo contrario, viene aspramente criticata  da questo dogma. Ma una simile imprecisione ed ambiguità non possono essere mantenute per un tempo illimitato poiché la gravità stessa della situazione di crisi obbliga ad una definizione. Il pensiero postmoderno, nel rifiutare una nuova chiarezza, o una definizione di contenuto, e pretendendo di vedere proprio in questo rifiuto il nuovo in generale, può fare appello soltanto al potenziale di barbarie in esso addormentato, preso in contropiede dalla sua stessa decisione priva di fondamenti. (Riassunto apparso sul n° 12 di Exit!)

Conflitti intorno alla verità * Dalla teorizzazione della politica alla politicizzazione della teoria * ( Dalla politicizzazione del privato alla privatizzazione del politico ) * All'ordine del giorno c'è la tattica, la strategia, il mimetismo, il camuffamento * Il dogma "anti-dogmatico" della postmodernità * Stringere la vite * Il posto nella storia come campo di battaglia delle idee * Svolta linguistica * Totalitarismo del linguaggio e cosa in sé * (Anti-essenzialismo ) *  ( L'atteggiamento esistenziale ) * ( Soggettivismo strutturale ) * ( La mancanza di basi della narrativa, costruzione/decostruzione e discorso ) * ( Critica dell'oggettività negativa o positivismo del discorso? ) * ( Relativismo storico e post-storia ) * ( Fare chiarezza sull'avversario e chiarire sé stessi ) * (Negare l'oggettività della verità ) * ( Dal positivismo dei fatti al positivismo della narrativa, della costruzione e del discorso ) * ( Storia della formazione e storia interna ) * ( Relativismo strutturale, senza concetto della totalità ) * La storia come campo di battaglia delle idee, le idee come armi della storia *
 - I titoli fra parentesi sono quelli dei capitoli che Kurz non è arrivato a poter elaborare -

Totalitarismo del linguaggio e cosa in sé
Naturalmente, le teorie postmoderne non sono così stupide come la ricezione mainstream, senza senso, che si ha di esse; e anche se possiamo incontrare dei passaggi alibi, nei quali viene smentita la completa dissoluzione del mondo, nel linguaggio, pure le stesse tendenze alimentano proprio una tale tendenza. Questo ne costituisce la forza di attrazione per la mentalità del carattere sociale postmoderni. E' proprio l'oscurità che viene avvertita come forza e che appartiene all'astuzia discorsiva non si lascia compromettere dalla sua propria essenza, poiché non ha alcuna essenza, in quanto la sua essenza consiste proprio in quest'affermazione. Così il mondo, con tutti i suoi oggetti, alla fine è solo linguaggio e, quando lo zombie indulgente postmoderno pretende di affrontare il contenuto assurdo di quest'affermazione, cessa di essere. In ogni caso non direttamente. In quanto la cosa è mediata, quelli della ricezione mainstream non vogliono saperlo con certezza, in quanto non vogliono veramente sapere niente con certezza.
I rappresentanti riflessivi della svolta linguistica, al contrario, cercano di sfuggire alla trappola in maniera argomentativa. Lo storico Hans-Jürgen Goertz, per esempio, nel suo testo "Unsichere Geschischte [Storia incerta]" (2001), difende il paradigma, apparentemente relativizzandolo un poco. Relativizzare il relativismo, è proprio del business, come misura fiancheggiatrice, quando si procede alla maniera delle corporazioni. Goertz, nato nel 1937, è qui, in qualche modo, l'esempio vivo del fatto che non si tratti di un semplice problema generazionale, ma dello spirito del tempo che si sovrappone alle generazioni, come miseria intellettuale. Così, comincia col constatare: "Il concetto della svolta linguistica non è chiaro ...". Appartiene, di fatto, alla sua concezione per cui niente è chiaro, neppure egli stesso, di modo che una persona si può sempre scusare. Il punto di svolta verso il linguaggio come momento costituente, secondo Goertz, potrebbe "essere inteso ontologicamente", ossia, nel senso "che il linguaggio viene identificato con l'essere"; ma potrebbe "oscillare" fra quest'affermazione rigorosa e "un accesso alla realtà che ripetutamente sceglie fra la realtà e il linguaggio".
Questo "oscillare" viene oramai utilizzato al fine di rendere suppostamente inattaccabile il modo di procedere ontologico-linguistico, una volta che viene relativizzato esattamente in modo che possa trionfare: "Nessuno sarà in gradi di attraversare la figura del linguaggio ... e penetrare in quello che esiste in sé, veramente". Il linguaggio, pertanto, potrebbe non essere l'unica o la vera realtà; ma non si può realizzare il fatto che forse gli oggetti esistono in sé, poiché il linguaggio li attraversa sempre nel mezzo, di modo che "per noi" esiste soltanto la "figura del linguaggio". Possiamo maneggiare questa, ed il risultato è come se il linguaggio fosse l'ultima realtà.
Non c'è bisogno di essere particolarmente versati nella filosofia, per riconoscere in questa argomentazione una vecchia conoscenza, ossia, la celebre "cosa in sé" di Kant. Nella critica della conoscenza di Kant, la percezione ammette di fatto l'esistenza indipendente dei suoi oggetti, ma le "cose in sé" restano inaccessibili alla conoscenza, poiché questa viene filtrata dalle categorie a priori della comprensione umana. La griglia di percezione astorica di Kant viene imposta agli oggetti, in modo che questi entrino nel pensiero e nell'azione determinati soltanto da tale griglia, e non come possibilmente sono "nella realtà" o "in sé". In questo modo possiamo avere a che fare praticamente con essi (Kant pensa secondo la scienza naturale), ma appunto soltanto a prescindere da quella forma di conoscenza a priori.
A Kant si potrebbe obiettare fondamentalmente in tre modi. In primo luogo, la forma di conoscenza e di agire umana è essa stessa un momento della natura che affronta la natura, e non è quindi un "soggetto" puramente esterno. La possibilità principale di conoscere la natura deriva da questo momento identico fra conoscenza ed oggetto. Soltanto se gli esseri umani fossero assolutamente non-naturali si avrebbe anche per essi la "cosa in sé" insuscettibile di essere conosciuta come tale. In secondo luogo, ci sono oggetti, verso cui si dirige la conoscenza e l'azione, i quali essi stessi vengono ottenuti direttamente in relazione con la socialità stessa. Questi oggetti, assai meno rispetto agli oggetti della natura, potrebbero essere "cose in sé" non conoscibili, poiché non solo presuppongono già conoscenza ed azione, ma consistono decisamente in queste. Questi due argomenti, tuttavia, ancora non sono generali-astratti ed astorici. Diventa pertanto decisivo che, in terzo luogo, la critica della conoscenza di Kant non è per niente consapevole della sua stessa condizionalità storico-sociale. E' proprio in questo che consiste il contesto del problema qui tematizzato. Presupporre un "soggetto" realmente astratto, puramente esterno a tutti gli oggetti naturali e sociali, questo già costituisce un segno essenziale della costituzione capitalista storica e delle sue "forme oggettive di pensiero". La supposta impossibilità di conoscere le "cose in sé" è dovuta unicamente ed esclusivamente alla forma sociale del titolare della conoscenza, ossia, al soggetto del valore androcentricamente universalista, in quanto funzionario del capitale, o del "soggetto automatico". Questo "soggetto" disumanizzato e cosificato - un concetto specifico della modernità androcentricamente universalista, capitalista, produttrice di merci - ha tutto il mondo come suo oggetto di valorizzazione astratta, la cui stessa qualità dev'essere indifferente ed "in sé" nulla; incluso, fra l'altro, il proprio corpo, i propri sentimenti e le proprie necessità.
E' decisivo, per la critica della conoscenza kantiana, mettere allo scoperto proprio questa condizionalità specificamente storica della costellazione della conoscenza che in essa viene imposta. Qui è incluso anche il legame alla "validità" storica di questa forma della conoscenza alla storia dell'imposizione e dell'ascesa del feticcio del capitale, che oggi ha raggiunto il suo proprio limite interno. E' in questo attuale luogo storico che si rende necessario chiarire un tale contesto e soppiantare la ragione illuminista capitalista. La critica della critica della conoscenza kantiana costituisce un momento di tale processo.
Cosa ne consegue? Non risulta sicuramente che così si sia finalmente raggiunta la conoscenza e l'auto-conoscenza assoluta. Questo vorrebbe dire presupporre che solo i titolari individuali della conoscenza avrebbero storicità, in quanto gli oggetti della conoscenza, come "cose in sé" (ora conoscibili), avrebbero uno statuto ontologico. Nella realtà, entrambi i lati, o momenti, della conoscenza sono storici. Questo si applica non solo all'esistenza umana, ma anche alla natura come tale, e particolarmente nella sua percezione umana. Non vi è, pertanto, qualche "cosa in sé" ontologica in generale, ma vi è semmai una storia del mondo e degli esseri umani che è simultaneamente una storia della conoscenza, o del problema della conoscenza. La relatività della conoscenza, a questo associata, non è assoluta, ma è storica, il cui carattere include anche una verità imprescindibile storicamente determinata. Questo non significa che la formulazione kantiana del problema della conoscenza sia stata vera "per il suo tempo" e solo oggi abbia smesso di esserlo. ma significa semmai che la sua menzogna solo oggi può essere riconosciuta in tuta la sua ampiezza, o quanto meno solo oggi ri rende necessario un tale riconoscimento, il cui fallimento potrebbe portare ad un capitolazione spirituale incondizionata di fronte al movimento cieco delle cose.
E' proprio una tale capitolazione che la svolta linguistica, e la storia della sua ricezione, rappresenta. Il totalitarismo del linguaggio è il mero ritorno, con altri mezzi, della teoria della conoscenza kantiana affermativa. Si vede così che proprio anche nell'aspetto epistemico, il pensiero postmoderno è una semplice appendice dell'illuminismo borghese.

- Robert Kurz – ( 6 di 7 – continua … )

- Pubblicato sulla rivista EXIT! Krise und Kritik der Warengesellschaft, nº 12 (11/2014) -

fonte: EXIT!

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