lunedì 13 ottobre 2014

La totalità e il tutto

totalita

Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde
- Il problema della prassi, come evergreen di una critica tronca del capitalismo, e la storia delle sinistre -
di Robert Kurz

SOMMARIO: *1 - Il malessere nella teoria * 2- Adorno a proposito della prassi ridotta e della "pseudo-attività" * 3 - "Prassi teorica" e interpretazione reale del capitalismo * 4 - Trattamento della contraddizione e "prassi ideologica" * 5 - Capitalismo come trasformazione del mondo: critica affermativa e critica categoriale * 6 - Teoria della struttura e teoria dell'azione * 7 - "Modernizzazione ritardata" e il postulato di una "inseparabile unità" fra teoria e prassi * 8 - Ragione strumentale * 9 - Il punto di svolta della teoria dell'azione. Marxismo occidentale e "filosofia della prassi * 10 - Il *marxismo strutturalista" ed il politicismo della teoria dell'azione * 11 - Il pendolo di Foucault. Dal marxismo di partito all'ideologia di movimento * 12 - Il ritorno del "soggetto". Metafisica dei diritti umani e falsa autonomia * 13 - Noi siamo tutto. La miseria del (post-)operaismo * 14 - Dalla capitolazione dell'ideologia autoreferenziale del movimento al nuovo concetto della "prassi teorica *

10. Il *marxismo strutturalista" ed il politicismo della teoria dell'azione

La svolta del marxismo occidentale verso la teoria dell'azione, e la reinterpretazione tautologica del politicismi di sinistra ad essa associata, non ha avuto uno sviluppo ininterrotto, dal momento che, nel pensiero ideologico della modernità, la metafisica dell'intenzionalità non cerca di emanciparsi dalla metafisica della legalità, né viceversa. Pertanto, il marxismo occidentale, dopo la seconda guerra mondiale, ha prodotto anche una versione "strutturalista", rappresentata principalmente da Louis Althusser. Tuttavia, il cosiddetto strutturalismo del periodo post-guerra, in cui ha avuto origine la "lettura strutturalista di Marx" fatta da Althusser, già non seguiva più la metafisica della legalità borghese classica, ma si era sviluppato secondo paradigmi linguistici (Saussure) ed etnologici (Lévi-Strauss). Sebbene anche qui avesse rivelato riduzioni pseudo-scientifiche-naturali, per esempio in Lévi-Strauss, questi "modelli esplicativi", erano simultaneamente orientati contro la metafisica illuminista ed hegeliana della storia. La "conformità con la legge" non veniva considerata storicamente sovrastante, ma era stata ridotta alle "rispettive strutture" e alla "necessaria autonomia" di queste, senza alcuna componente teologica.
Questo ricorda le già citate formulazioni di Engels, il cui enunciato, tuttavia, era ormai spogliato della metafisica della storia e del contenuto delle critica dell'economia politica. In tal modo, la "lettura strutturalista di Marx" fatta da Althusser, fu prevalentemente epistemologica e non di contenuto. Sotto quest'aspetto, poteva stabilirsi assai bene una convergenza con i filosofi della prassi, anche se lo strutturalismo marxista era stato trattato come contro-polo, ad esempio in relazione a Gramsci. La differenza stava proprio nella valorizzazione opposta del "soggetto". Mentre i filosofi della prassi arrivano ad un'enfasi "umanista" del soggetto ed una metafisica della volontà, in opposizione alla metafisica della legalità, Althusser, dal canto suo, adotta una "concezione anti-umanista", con la tesi fondamentale "...che si dovrebbe eliminare ogni origine ed ogni soggetto, ed osare affermare come assoluto solo il processo senza soggetto, tanto nella realtà quanto nella conoscenza scientifica" (Althusser, 1968). In particolare, questa concettualità viene affermata come recepita da Hegel, secondo il modo per cui essa avrebbe "servito da base a tutte le analisi de 'Il capitale'" (Althusser, id.), e tale concettualità sarebbe stata sempre più rafforzata: "Nel processo stesso non esiste un soggetto: ma proprio il processo è soggetto, precisamente nella misura in cui non ha soggetto... Se possibile, viene eliminata la teleologia e rimane la categoria filosofica adottata da Marx di un processo senza soggetto " (id.).
Chiaramente, questa denominazione ricorda il "soggetto automatico" di Marx. Però, nella lettura di Althusser, questa categoria non viene intesa criticamente, ma semmai positivamente, come un'occorrenza in un qualche modo "eterna" (in questo senso, più simile a quanto affermato da Engels nella sua formulazione). La "lotta di classe", il superamento del capitalismo, il comunismo e in generale tutto il futuro, tornano quindi ad essere un "processo senza soggetto". La critica del soggetto qui non richiede la critica categoriale della costituzione feticista, ma porta, a sua volta, ad un'affermazione ristretta di "oggettività" dei processi strutturali resisi autonomi, i quali vengono solamente "eseguiti" dagli individui, dai gruppi e dalle classi in azione; vengono semplicemente "liberati" dalla metafisica della storia. Si tratta, perciò, di una metafisica della legalità ridotta e "debole", che critica solo esteriormente ogni enfasi "umanista" del soggetto, senza gettare luce sulla connessione interna e sull'identità polare tra forma del soggetto e oggettivazione feticistica.
Così, per lo strutturalismo è impensabile una "rottura ontologica"; l'ontologia della prassi si trasforma semmai, in un'ontologia delle strutture e dei processi storicamente indeterminati ed autonomizzati, nella quale l'umanità si trova prigioniera per sempre. Non c'è da stupirsi che Althusser, senza alcuna cerimonia, classifichi il capitolo del feticcio, nel Capitale, come peso morto hegeliano e consigli ai lettori di saltarlo. Per lui, tanto il concetto di feticcio come quello di straniamento, fanno parte del periodo "del giovane Marx" (Althusser, 1965), i cui testi dovrebbero essere ignorati (un'asserzione controfattuale, poiché, come già si è detto, Marx ha sviluppato il concetto di feticcio nel periodo "maturo" dell'analisi del capitale). Pertanto, la differenza principale rispetto ai filosofi della prassi consiste nel fatto che il "marxismo strutturalista", il quale solo a prima vista si avvicina al problema fondamentale, rende esplicita la capitolazione implicita ed esitante della filosofia della prassi davanti alla costituzione feticista a priori, fornendogli esso stesso una legittimazione teorica.
In questo contesto, è rivelatore anche il concetto di ideologia althusseriano. E' vero che Althusser ha creato il concetto di "prassi ideologica" ed ha anche stabilito un differenza tra "scienza" ed "ideologia". Ma, in primo luogo, egli rimane legato ad un concetto positivista di scienza naturale di conio per lo più engelsiano, non riconoscendo così, nella "forma teoria", la base ideologica di tutta la scienza borghese. In secondo luogo, rende positiva la "prassi ideologica", come espressione "necessaria" di una sorta di primo livello della "coscienza dell'interesse", molto simile in questo al tradizionale marxismo di partito, parlando anche senza mezzi termini, spesso, di una "ideologia proletaria" positiva. Così Althusser afferma: "Io non condanno, in alcun modo, l'ideologia come tale: poiché, come dice Marx, nell'ideologia le persone diventano coscienti della loro lotta di classe e la portano a compimento...” (Althusser, 1967). In questo modo, egli ignora completamente il terribile potere negativo dell'ideologia, dove l'interesse dell'essere capitalista, a partire dal trattamento della contraddizione immanente, si lega alle categorie feticistiche sovrastanti ontologizzate socialmente, sottoponendole ad un'interpretazione, o interpretazione reale, la quale arriva fino ai contenuti assassini del machismo, del razzismo e dell'antisemitismo.
L'ontologia delle strutture e dei processi autonomizzati, ha come conseguenza un'ontologia dell'ideologico: "Le società umane secernono ideologia come fosse un elemento, un'atmosfera, imprescindibile per la loro respirazione, per la loro vita storica" (Althusser, 1965). Si esclude così una critica coerente dell'ideologia, che può solo derivare da una critica categoriale della moderna costituzione feticista. Lo stesso Althusser lo sa: "E per non evitare la questione più pressante: il materialismo storico non può immaginare che perfino una società comunista possa vivere senza ideologia..."(id). L'ontologizzazione strutturalista dell'ideologia riduce il problema ad una "teoria dell'ideologia" positiva, ossia, a classificazioni sociologiche superficiali (simili a quel che accade nella sociologia della conoscenza di Karl Mannheim). All'interno del capitalismo, sono proprio le "classi" che separano le loro ideologie contrarie, e interessa solo promuovere e sostenere, o integrare scientificamente, la tendenza ideologica "corretta". Questo si combina anche, nel modo migliore, con il fatto che la filosofia della prassi annusa in cerca di momenti "utopici" nell'eterno trattamento della contraddizione, il che gioca anche con la possibilità di un concetto positivo di ideologia.
La lettura strutturaliste del marxismo è pienamente conforme alla svolta della teoria dell'azione, in una critica tanto ridotta quanto superficiale dell'economicismo classico. Nella misura in cui Althusser, sottraendo la teleologia dalla filosofia della storia, si attiene ad una metafisica della legalità riformulata nello strutturalismo, questa deve riferirsi ad una "origine economica", per alludere ad groviglio di strutture e di processi della più diversa provenienza e delle più diverse sfere sociali. Per questo motivo, postula anche, "...che si deve lasciare ad Hegel la categoria della totalità, rivendicando a Marx quella del tutto" (Althusser, 1975). Il concetto positivo di totalità di Hegel non viene superato in quanto tale, attraverso la critica categoriale alla totalità negativa incoerente (come è stata sviluppata dalla critica della scissione-valore), ma viene semplicemente deprecato a favore della categoria, fenomenologicamente ridotta, di un "tutto" concettualmente vuoto, che non può essere niente più che una mera "somma" di sfere e momenti sociali parziali.
In questo processo, Althusser batte in ritirata verso la formulazione di Engels circa l'economica come "ultima istanza", che sarebbe determinante solo indirettamente. Nel capitalismo, si tratterebbe, pertanto, di una "struttura co-dominante" (Althusser, 1965). Dove ricorre al termine "sovradeterminazione", preso dalla psicoanalisi freudiana: la famosa "ultima istanza" sarebbe "sovradeterminata" (trasformata e penetrata) da altre "istanze" (politiche, ideologiche, culturali). La verità incontestabile, ma superficiale, per cui quella che è la forma del percorso reale del processo di contraddizione sociale è co-determinata dalla politica e dall'ideologia, non rappresenta, però, nessuna conoscenza teorica, se non quella, allo stesso tempo evidente, per cui tanto l'economia quanto la politica e l'ideologia, ecc. si riferiscono alla costituzione feticista di base della relazione di scissione-valore, a partire dalla quale, allora, si può spiegare il momento "determinante" di una legalità della forma (e di una dinamica di crisi). Riducendo, come fanno Engels ed i filosofi della prassi, il problema alla "economia" come "ultima istanza", Althusser arriva solo alla comprensione tautologica del fatto che "base" e "sovrastruttura", "economia" e politica/ideologia "si determinano" anche reciprocamente (sovradeterminazione), col che può allora affermare: "E' "l'economicismo" (o meccanicismo), e non la genuina tradizione marxista, che genera, una volta per tutte, la gerarchia delle istanze" (Althusser, 1965). La "gerarchia delle istanze", però, è solo una percezione ridotta e deformata, a causa della mancanza di un concetto critico di totalità che è lo stesso Althusser a negare espressamente.
Il risultato è perciò inequivocabile: "Non batte mai l'ora solitaria della "ultima istanza" ..." (Althusser, id.). Ma non è nel senso ridotto dello "economicismo" classico; al contrario, insieme ad esso, scompaiono anche, nell'argomentazione althusseriana, la totalità negativa come tale, la logica interna del modo di socializzazione, il momento determinante in generale nel senso di una dinamica oggettiva, il confine interno della valorizzazione del capitale, del "lavoro astratto" e della relazione di scissione, così come il problema della trasformazione come rottura della costituzione della forma. Quello che rimane è, esattamente come nei filosofi della prassi, la "relativa autonomia" delle sfere e dei sotto-sistemi. La questione di che cosa la "struttura codominante" in realtà dovrebbe significare non viene spiegata nel suo contenuto concettuale ed analitico; invece, viene evitata e, a sua volta, disciolta nella "prassi". Althusser, dopo aver offuscato la costituzione feticista, come i filosofi della prassi, afferma semplicemente che il problema "... è stato reso superfluo da tutta la prassi politica di Lenin" (Althusser, 1975). Non abbiamo trovato niente. perciò, se non la più bella resa della teoria davanti alla prassi storica del trattamento della contraddizione nel senso della "modernizzazione ritardata". "La soluzione del nostro problema teorico", ha detto Althusser, " esiste già da molto tempo, allo stato pratico, nella prassi marxista". Secondo lui, quello che interessa è solo "esprimere" tale "soluzione" anche "teoricamente".
Proprio come nei filosofi della prassi, questa "espressione" teorica, a sua volta, mira anche, da un lato, a lasciare che una presunta "determinante" economica sia determinante in qualche modo e, mentre dall'altro lato, ha come obiettivo quello di persistere nella cosiddetta "sovrastruttura", ossia: persistere nella formula "tutto è politica" o "la politica è tutto", dal momento che Althusser fa conoscere esplicitamente il seguente riferimento pertinente: "Finalmente si può comprendere la grande teoria di Marx, Lenin e Gramsci: che la filosofia è fondamentalmente politica" (Althusser, id.). In tal senso, Althusser cerca di comprendere anche lo stalinismo non solo come mero "equivoco", ma anche come puro fenomeno della sovrastruttura, cosa che per lui "... spiega in modo molto semplice, teoricamente, che la base socialista può essenzialmente svilupparsi senza pregiudizi (!) durante questo periodo di equivoci che hanno attaccato la sovrastruttura..." (Althusser, id.). Qui viene mostrata anche in Althusser, in maniera più che chiara, l'ignoranza collettiva del marxismo occidentale riguardo al contenuto della critica dell'economia politica, nella quale si nasconde il problema della costituzione feticista della forma. Di conseguenza, la lettura "strutturalista" ed ignorante dei contenuti di Marx, fatta da Althusser, sfocia anche nel politicismo compatibile con la teoria dell'azione, tautologico ed auto-referenziale; il processo sociale come "prassi" ontologizzata si disfa in "... innumerevoli forze che si intersecano, un numero infinito di parallelogrammi di forze... " (Althusser, 1965).
Così, Althusser offre anche il suo concetto veramente illuminante della "prassi teorica", una volta che non può continuare a svilupparsi fino alla connessione interna con la costituzione della forma sociale. Questo concetto, per quanto afferma Althusser, in realtà "ha permesso la tesi della relativa autonomia della teoria... pertanto, il diritto della teoria marxista a non essere trattata come stampella per tutta l'opera delle decisioni di politica quotidiana..." (Althusser, 1975), ma anche mettendo in evidenza soprattutto che si trova "...unitariamente legata con la prassi politica e con altri tipi di prassi". Nelle sue varie autocritiche, Althusser aveva rivisto con pertinenza i suoi concetti: "E' vero che ho parlato dell'unità fra teoria e prassi nella 'prassi teorica', ma non ho affrontato la questione dell'unità fra teoria e prassi nella prassi politica" (Althusser, 1967).
Althusser incolpa ripetutamente sé stesso di "teoricismo", cosa che indica che continua a schivare il vero problema. Non si tratta affatto di rimuovere le parole "autonomia relativa" della teoria (per questo non serve il concetto di "prassi teorica"). La teoria non è una "sfera" a lato delle altre nel crivello della "autonomia relativa"; al contrario, essa è anche la teoria della prassi, in particolare della prassi dominante, feticista, "l'espressione teorica" di questa. Ed in quanto tale deve essere usata negatoriamente, anche contro sé stessa come "forma teoria", cosa che, però, non ha a che vedere con una "unità" a priori "teoria e prassi", e molto meno ha a che vedere con una fusione con la "politica". Al contrario, quel che importa è criticare la prassi, precisamente la prassi dell'eterno trattamento della contraddizione in forma politica. La confusa ontologia della prassi annebbia proprio un tale compito, e facendolo lega la teoria a questo trattamento della contraddizione immanente, del quale non ha alcun concetto. E' indifferente se il punto di partenza sia nella metafisica dell'intenzionalità dei filosofi della prassi o nella "debole" metafisica della legalità dello strutturalismo althusseriano. Attraverso la loro critica tronca dell'economicismo classico, entrambi tali approcci del marxismo occidentale sfociano in un politicismo tautologico, senza obiettivi di contenuto, di "lotte" eterne e di eterni "rapporti di forza", nella gabbia della matrice a priori.

10 – segue -

Robert Kurz

fonte: EXIT!

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