mercoledì 21 maggio 2014

Il tempo dei Gitani

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I rifiuti dei rifiuti: i Rom e "noi"
di Roswitha Scholz  (2008)

In Italia, si assiste in questi ultimi tempi ad una recrudescenza di pogrom contro i Rom. Dopo l'entrata della Romania nell'Unione Europea, all'inizio del 2007, un numero crescente di Rom, in fuga dalle discriminazioni sempre maggiori e da una miseria estrema, trovavano rifugio nella penisola italiana, dove vivevano alla periferia delle grandi città, in condizioni ancora una volta deplorevoli. La reazione della popolazione locale è stata in perfetta armonia con quella del governo italiano di destra, il quale ha fatto un appello per fermare la "peste zingara", usando i rimedi di un'altra epoca: misure speciali concepite apposta solo per i Sinti ed i Rom. Sebbene sia innegabile che, in tutta l'Europa occidentale, attualmente è solo in Italia che la recente febbre anti-Rom mostra la sua faccia più odiosa, sarebbe sbagliato credere che questa forma di razzismo sia limitata solo a questo paese. Anche in Germania, aggressioni e propaganda anti-Rom sui media vedono, a partire dagli anni 1990, un significativo incremento, mentre viene tendenzialmente relativizzato lo sterminio di massa di Sinti e Rom perpetrato sotto il nazismo. Basta prendere, come esempio lampante, le sommosse razziste di Rostock nel 1992, e il loro impatto a livello statale. Così sappiamo per esperienza che anche a sinistra, i ricordi di questi avvenimenti tendono a svanire: "Il 24 settembre 1992, un mese dopo il pogrom di Rostock, conto i rifugiati Rom provenienti dall'Europa dell'Est, il governo tedesco e quello rumeno firmano un accordo secondo il quale la Romania si impegnava a riaccogliere i richiedenti asilo respinti, segnatamente quelli che non erano stati in grado di presentare dei documenti di identità in regola". Questa forma di discriminazione ha una lunga storia, ma purtroppo una storia troppo misconosciuta. In Italia, per esempio, il fenomeno dell'antizingarismo non è mai stato praticamente studiato. Lo stesso in Germania, dove, malgrado l'abbondanza di lavori storici sul nazismo, si è cominciato tardivamente ad interessarsi di questa questione, e dove solo di recente ci sono stati dei risultati.
Gli "zingari" fanno la loro apparizione nell'Europa centrale all'inizio del XV secolo. Alla fine dello stesso secolo, vengono dichiarati fuorilegge. Era la prima volta, ma si sarebbe ripetuto spesso durante la crisi del feudalesimo e nel corso delle trasformazioni che avrebbero segnato l'alba dell'era moderna: "Lo stereotipo dello Zingaro acquisisce i suoi tratti proprio dal fatto che la sua formazione coincide con l'avverarsi, in Europa, di relazioni territoriali-statali e con l'avvento di una mentalità economica di tipo capitalista. Gli elementi non sedentari della popolazione passano allora per politicamente incontrollabili ed economicamente improduttivi. Questo è il motivo per cui sono soggetti all'oppressione e alla persecuzione del sovrano (...) Allo stesso tempo, il peso ideologico del concetto moderno di lavoro, con la sua netta contrapposizione fra lavoro ed ozio, conferisce loro un dinamismo straordinario". Nel XIX secolo, chiunque dica "zingari", intende "persone con meno diritti", alle quali, come sosteneva il "sovrintendente del principe di Reuss-Plauen" Richard Liebich, era lecito applicare un trattamento di gruppo: "Se, in tutti gli altri casi, il giudice è tenuto ad individualizzare, cioè a dire a cominciare ad esplorare la specificità del soggetto di cui si occupa per imparare a conoscerlo, per poi decidere la procedura da seguire, invece l'inquisitore iniziato e sufficientemente consapevole della natura degli Zingari, potrà generalizzare senza rischio alcuno perché quando si tratta di loro non commetterà alcuno sbaglio nel misurarli tutti con lo stesso metro di giudizio (...) perché uno zingaro autentico e genuino è identico a tutti gli altri". Verso la metà del XIX secolo, si stendevano sistematicamente dei "dossier sugli zingari". A partire dall'inizio del XX secolo, ci si sforza di registrare tutti i Sinti e i Rom, fotografandoli e prendendo le loro impronte digitali. Nel 1926, entra in vigore la legge bavarese per "la lotta contro gli zingari, i barboni ed i ribelli al lavoro", in base alla quale tutti i Sinti o i Rom che non hanno alcun lavoro regolare vengono mandati a passare due anni fra le mura di un "Arbeitanstalt", ovvero una casa di lavoro. Venuto il nazismo, sullo sfondo dei pregiudizi razzisti, si parte dal principio che gli zingari non siano in alcun modo una "razza pura", secondo il celebre "zingarologo" nazista Robert Ritter. Quanto alle persone nate da matrimoni fra zingari e tedeschi, venivano considerate "semi-zingare" e, generalmente, asociali. In virtù di una legge del 1933, si sterilizzano a forza Sinti e Rom, dichiarati "andicappati sociali". Inoltre, vengono estese a questi gruppi le leggi razziali di Norimberga che all'inizio riguardavano solo gli ebrei. Nel 1935, si passa all'internamento di Sinti e Rom nei "campi zingari". Himmler inizia ad attuare, nel 1938, la "soluzione definitiva alla questione zingara", una soluzione dichiarata "conforme alla natura della loro razza". Del resto, era oramai sufficiente avere un solo antenato zingaro per essere chiamato "semi-zingaro". L'assassinio sistematico di Sinti e Rom inizierà sulla scia dell'aggressione alla Polonia, nel 1939. Nel dicembre del 1941, viene decretato che gli zingari devono subire lo stesso trattamento degli ebrei. La decisione finale viene lasciata ai comandanti locali della polizia e dei servizi segreti - cosa che si traduce nel massacro immediato di un grande numero di Sinti e di Rom. Nel luglio del 1944 ha luogo l'ultima gasazione, ad Auschwitz, dove dall'inizio del 1943 sono state deportate masse di persone di tutte le nazionalità. Finita la guerra, Sinti e Rom vengono ospitati in alloggi fatiscenti e di fortuna alla periferia delle città. Si occupano di loro i dipartimenti dell'amministrazione con sedicenti esperti della questione zingara, i quali si rifanno all'abbondante materiale d'archivio del periodo nazista: la schedatura di Sinti e Rom continuava. Molte città mettono a punto dei piani strategici volti ad impedire completamente il soggiorno degli "zingari" sul loro territorio. Nessuno chiamerà gli "zingarologhi" come Rober Ritter a rendere conto delle loro azioni, e ci si affrettò a scagionarli e perfino a permettere loro di continuare a fare il loro lavoro. I funzionari incaricati di esaminare ed istruire le domande di risarcimento dei Sinti e dei Rom, non erano altri che gli impiegati degli uffici sanitari del Reich. Bisognerà aspettare il 1963 per vedere annullata una sentenza della Corte di Giustizia Federale datata 1956, secondo la quale Sinti e Rom erano stati fatti oggetto di persecuzione razzista solo dopo il 1943, invece che dal 1938 (in realtà, la sentenza teneva conto solo delle persecuzioni realmente razziste e non di quelle che invocavano "l'asocialità"). Negli anni 1980, mentre da una parte - bisogna dirlo - ci si dava da fare per non ridare la cittadinanza tedesca ad un buon numero di Sinti e di Rom, dall'altra si pubblicavano delle nuove direttive si concedeva qualche magra indennità. Indennità che furono ottenute a forza di manifestazioni di protesta da parte dei Sinti e dei Rom, manifestazioni che permisero loro anche di essere riconosciuti in quanto minoranza etnica tedesca.

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Nell'era moderna, gli "Zingari" incarnano la libertà senza legami e il rifiuto del lavoro. Ma allora come distinguerli dall'oggetto dell'odio da parte degli antisemiti, che rappresenta più o meno la stessa cosa? Sotto il capitalismo, gli ebrei vengono soprattutto associati al potere, al dominio e alla civilizzazione distruttrice; gli zingari, al contrario, sono visti come dei sotto-uomini rimasti allo stato di natura, di modo che ci ricordano che c'è una via d'uscita da questa maledetta società del lavoro: "Si tratta tuttavia dello stesso meccanismo il quale, da una parte, per mezzo della discriminazione e dell'aggressione fisica verso i "non identici", si suppone che permetta una scarica psichica, mentre dall'altra parte proietta verso l'esterno alcuni desideri repressi. Si potrebbe definire questo meccanismo, un'utopia in negativo - in negativo, perché in questo caso si tratta di un odio di sé che si rivela sotto forma di odio degli "altri" (...) Quello che non si può avere per sé, non lo possiederà nessun altro. L'idea di felicità dev'essere bandita". Ne discende chiaramente che l'antizingarismo, a differenza dell'antisemitismo, è un "razzismo romantico" (Wulf D. Hund). Si potrebbe anche fare l'ipotesi che "Lo Zingaro" corrisponde molto meglio dell'ebreo alla rappresentazione (repressa) della felicità che si davano le masse, almeno durante il fordismo. Questo perché se l'accusa di essere dei "parassiti restii a lavorare" costituisce un denominatore comune, molti degli elementi associati allo stereotipo dello Zingaro - la canzone popolare sentimentale, la festa, il circo, la facoltà di poter semplicemente alzarsi e andarsene - lo avvicina certamente alla felicità così come veniva percepita dalle "persone semplici" durante la fase fordista, assai più che allo stereotipo dell'ebreo fantasticato come ricco, potente e per di più rappresentativo di una cultura borghese straniera. Inoltre, contrariamente ai nativi americani, ai polinesiani e ad altri "selvaggi" assimilati come lui alla natura, lo "Zingaro" è da lungo tempo parte integrante della cultura e della società dove viviamo. Per questo motivo, e per l'incapacità di poter farne uno schiavo - come è avvenuto con i "Neri" - lo si perseguita; e la cosa si lega all'angoscia perpetua di venir trascinati in questa "asocialità", verso la quale lo "Zingaro" costituisce un richiamo continuo.
Il libro di Giorgio Agamben, "Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita", appoggiandosi (in maniera critica) su Carl Schmitt, Hannah Arendt e Michel Foucault, sviluppa delle considerazioni che possono meglio chiarire la definizione di antizingarismo. Si tratta del rapporto fra la regola e l'eccezione: "Non è l'eccezione che si sottrae alla regola, ma è la regola che, sospendendosi, dà luogo all'eccezione. Il "vigore" particolare della legge consiste precisamente in questa capacità di mantenersi in relazione con un'esteriorità". L'individuo, qui, viene ridotto al rango di semplice involucro corporale, alla "nuda vita", mentre è il sovrano a dichiarare lo stato d'eccezione. Agamben assegna un ruolo cruciale al concetto di "homo sacer" basato sul diritto romano, che dà il titolo al suo libro. Sacer, è il proscritto che cade fuori dal sistema giuridico (ma, per lo stesso motivo,  vi rimane chiuso dentro) e che può essere messo a morte del tutto impunemente. Era una logica dello stesso ordine, quella che era al lavoro, nell'era moderna, nelle strutture di persecuzione e di internamento che culminarono nel nazismo. Allo stesso tempo, Agamben vede rinascere oggi lo stato d'eccezione a favore di una degenerazione delle nostre società in crisi. Questo si presenta segnatamente sotto forma di una decomposizione dell'organizzazione statale dell'ex Blocco Orientale, che ha portato alla creazione di nuovi campi e a delle "violenze illegittime" (come lo stupro di massa, per esempio) - dei fenomeni che, secondo Agamben, costituiscono appunto uno dei prerequisiti originali del diritto: un avvertimento di valore universale. In breve, ai suoi occhi siamo tutti degli 'homines sacri' in potenza. Con la sua tesi, Agamben rimane, in modo riduttivo, sul piano della teoria del diritto. Tuttavia, il progetto di rendere la totalità sociale conforme alla giustizia, richiede necessariamente di pensare il rapporto fra forma giuridica ed esclusione, senza perciò lasciare da parte la riflessione sulla "costituzione della politica e dell'economia, del lavoro astratto e della macchina statale" nell'era moderna. Lo "spazio sociale dell'esclusione segregante, della riduzione alla 'nuda vita'", reca ancora all'alba della modernità, il nome di "casa": "Asilo dei poveri, casa di lavoro, casa di correzione, ecc., sono le "case dell'orrore" dove, per dare l'esempio al resto della società, si praticava il lavoro astratto alienato - un processo che, più tardi, nei gulag della dittatura nata dalla modernizzazione e dalla crisi, si intensificherà ancora. Quello che era all'origine di uno stato d'eccezione, è diventato nella società moderna la situazione normale, sulla quale poggia l'intero edificio dello Stato di Diritto. La crisi globale attuale, quella della terza rivoluzione industriale, si distingue dalle crisi precedenti per quello che adesso la stessa sovranità "comincia a svelare, perché lo spazio dell'esclusione segregante si dissolve (...) La sovranità, dove ancora esiste, reagisce a questo prendendo automaticamente le sue misure di crisi abituale, benché siano tempo perso". Lavoro forzato, bassi salari, campi, amministrazione degli uomini, ecc., oggi tutte misure che vengono riattivate sul terreno del superfluo di una società dellavoro il cui collasso assume proporzioni inedite. Qui, nonostante la diversità delle misure e delle ideologie escludenti, la minaccia che viene espressa è universale. Ed oggi come ieri "l'esclusione segregante" si traduce in delle "forme parossistiche di razzismo e di antisemitismo". In questa analisi, tuttavia manca la sindrome specificamente anti-Rom. Perché gli "Zingari" non sono stati solamente, allo stesso titolo degli ebrei, disprezzati in quanto membri di una sedicente altra razza; per secoli, sono stati anche dei proscritti, dei fuorilegge nel senso di Agamben. L'era moderna ha inflitto ai Sinti e ai Rom un vero e proprio stato d'eccezione permanente, dal momento che la loro costituzione soggettiva è concepita come l'antitesi assoluta, all'interno della nostra società, del processo di costituzione della modernità e dell'"etica protestante". Così, benché gli Zingari siano degli homines sacri per eccellenza, come dimostra la storia della loro persecuzione, c'è sempre la tendenza a dimenticarlo, anche nelle rappresentazioni critiche del razzismo; e questo oblio rivela che lo "Zingaro" rappresenta in qualche modo l'homo sacer dell'homo sacer. Si potrebbe dire che l'antizingarismo continua ad essere un reietto, in mezzo agli altri tipi di razzismo; lo "Zingaro", nella costruzione della "asocialità" e delle "razze", rappresenta "la feccia dell'umanità" (come la chiamava già nel XVIII secolo "l'esperto zingarista" dell'Illuminismo, Heinrich Moritz Gottlieb Grellmann), detto altrimenti, un rifiuto anche per i rifiuti. Conseguentemente, costituisce per gli individui "normali" l'elemento di contrasto ideale; mostra loro come finiranno se per sventura, invece di rientrare nel rango ed obbedire con precisione, gli dovesse passare per la testa l'idea di comportarsi "come degli zingari". Si capisce dunque perché il discorso postmoderno sul meticciato si interessi così poco ai Sinti e ai Rom. Anche nella vita di ogni giorno, colui che osa "confessare" la sua appartenenza a tali gruppi deve affrontare un mare di luoghi comuni. Quello che valeva per gli ebrei, il "non dire a nessuno che sei ebreo", si applica a maggior ragione per un'origine "zingara". In un sondaggio realizzato nel 1994, il 68% dei tedeschi interrogati, dichiarava di non volere "zingari" come vicini, mentre il 22% e il 37% rifiutavano, rispettivamente, ebrei ed africani.

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Nel processo di crisi attuale, la sindrome anti-rom è tornata. In mezzo alle guerre civili e alla "guerra per l'ordine mondiale", troviamo segnatamente dei Sinti e dei Rom, schiacciati dai conflitti etnici, come spiega in un suo libro, uno dei loro rappresentanti: "Essendo stati cacciati dai luoghi in cui vivevano, numerosi membri della nostra minoranza si vedono costretti a stiparsi in dei ghetti dove le condizioni di vita sono inumane. Lì, si sono trovati senza difesa dalle aggressioni a carattere razzista, che possono arrivare a diventare dei veri e propri pogrom. Non è raro che la discriminazione che colpisce i Sinti ed i Rom, provenga dagli stessi poteri pubblici: polizia, giustizia". A partire dal 1989, la situazione dei rom si è rapidamente deteriorata, in particolare nell'ex blocco dell'Est, e le persecuzioni hanno avuto come conseguenza dei movimenti migratori. Ma i media ne parlano poco, preferendo attardarsi sulle richieste d'asilo infondate, sui bambini borseggiatori, sui mendicanti, sulla questione dell'igiene, e via di seguito. Una volta di più, l'intero archivio dei soliti luoghi comuni. Ma allo stesso tempo si tratta - e questa, qui, è la questione - dell'espansione dei processi sociali quali sono l'amministrazione della crisi e l'invenzione della delinquenza. Ciascuno e tutti, compresi anche in special modo quelli appartenenti alle famose classi medie, vivono oggi in un certo modo la minaccia della decadenza. L'amministrazione della crisi è l'occasione per una vera e propria generalizzazione dello stereotipo dello Zingaro, che non si limita ad una denuncia delle frodi alle assicurazioni e ad una sorveglianza a 360 gradi (ufficialmente, per proteggerci dai terroristi) che arriva fino alla messa in opera di carte d'identità biometriche e banche dati di impronte digitali. Allo stato attuale, chiunque ha paura di ritrovarsi mendicante o vagabondo in un quartiere povero. Assistiamo ad una "zingarizzazione forzata" (Diedrich Diederichsen), a cui si aggiunge l'obbligo di lavorare. Avendo bisogno di appoggio e di denaro per sopravvivere, i rifugiati delle recenti migrazioni di massa si trovano già per definizione nella classica situazione degli Zingari. La politica anti-rom ha prefigurato anche il problema dei "sans-papiers": "Il metodo che consiste nel bloccare i rom nella situazione illegale di sans-papiers sembra essere uno dei tratti strutturali essenziali dell'antizingarismo". Le misure prese dall'amministrazione della crisi, che rivelano il tipico antizingarismo ma che colpiscono tutti, si combinano con un'ideologia di massa anti-rom. Più le classi medie vedono avvicinarsi la minaccia della decadenza, più si vedono specchiati nel prototipo del superfluo e del proscritto delle società europee, cioè a dire lo Zingaro. Così come si può parlare di un antisemitismo strutturale, che si manifesta segnatamente attraverso la critica dei mercati finanziari e col fantasma di una cospirazione mondiale dove non è più nemmeno questione di ebrei, bisogna anche evocare un antizingarismo strutturale, quando, attraverso la paura della nostra rovina, del nostro declassamento, del nostro scivolare nell'asocialità e nella criminalità, è implicitamente lo stereotipo dello Zingaro quello che è all'opera, anche quando gli zingari non vengono nemmeno nominati. Quando si tratta di passare dalla discriminazione sociale all'esclusione razzista, lo stereotipo dello Zingaro si rivela del tutto idoneo. Parlare di antizingarismo strutturale, non significa minimizzare l'antisemitismo. Nella loro rispettiva specificità, le due forme di proiezione ideologica rimandano, piuttosto, l'una all'altra, anche se è più difficile mettere in evidenza il carattere strutturale della sindrome anti-rom, per il fatto stesso che la questione viene trattata solo raramente o solo in maniera superficiale. Per far sì che essa sia oggetto di una seria trattazione, bisognerebbe che il soggetto moderno riconoscesse alla fine nello specchio la sua propria angoscia di homo sacer. Anche se ha fretta di distogliere lo sguardo. Del resto, si è sempre saputo che lo "zingaro" è "l'ultimo degli ultimi", e questo "sapere" dev'essere riversato nella lunghezza delle inchieste. Insomma, se è vero che lo "zingaro" si esprime in ciascuno di noi; questo non significa che ciascuno è uno "zingaro", e non è, come lui, ferocemente perseguitato.
E' attraverso le reazioni ai collassi massicci del capitalismo in crisi che si distinguono le caratteristiche strutturali comuni all'acceso antizingarismo che affligge i diversi paesi occidentali. Alla minaccia di decadenza vissuta dalla classe media, nel frattempo è venuta ad aggiungersi un'inflazione galoppante che ha fatto salire i prezzi dei generi alimentari e dell'energia. Inoltre, e tutto questo è collegato, abbiamo assistito alla diffusione delle ideologie razziste, sia negli strati "superiori" che in quelli "inferiori". Quello che accade in Italia lo illustra perfettamente. Per descrivere questo imbarbarimento delle classi medie in declino, lo specialista italiano della cultura, Claudio Magris, ha proposto il termine di "lumpen-borghesia", anche prima dell'esplosione di attacchi contro i rom. Le raccomandazioni dell'Unione Europea, volte a porre un termine a queste "politiche zingare"rimarranno probabilmente lettera morta, poiché in ultima istanza sono gli Stati membri ad essere competenti; ora, praticamente tutti devono affrontare il "crepuscolo delle classi medie", e si sa che un'alleanza fra "masse ed élite" (Hannah Arendt) non è assolutamente da escludere. Sulla questione di sapere fino a che punto la sinistra sarà disposta ad andare in materia di critica della sindrome anti-rom, ma è meglio rinunciare a qualsiasi illusione. Basta pensare alle tirate di Oskar Lafontaine a proposito dei lavoratori stranieri: in qualsiasi momento sono pronti a sposare l'antizingarismo. Tutta la stampa ci ripete continuamente che l'attuale ideologia anti-rom si incontra principalmente nei quartieri "orientati a sinistra". Questo ha molto a che vedere con il focalizzarsi, da parte della sinistra, sul bravo ed onesto lavoratore salariato, coi suoi pregiudizi contro un cosiddetto lumpen-proletariato che viene considerato come la feccia della società, e perciò a maggior ragione contro gli zingari, che l'ideologia razzista mette su un gradino ancora più in basso di quello del lumpen-proletariato autoctono. Questa tradizione è rimasta ben viva nel contesto attuale dell'indebolimento delle classi medie, e di sicuro non solo in Germania ed in Italia.  Wolfgang Wippermann osserva che la sua "corporazione, quella dei professori di Università e degli storici, non si è mai preoccupata dei Sinti e dei Rom: il soggetto gli è apparso e continua ad apparirgli sempre volgare. Anche l'intellighenzia critica ha evita per troppo tempo di cimentarsi con quest'aspetto della storia tedesca. Altrettanto si può dire delle formazioni di sinistra: il destino dei Sinti e dei Rom non sembra suscitare il loro interesse. E' tempo che tutto questo cambi. Il modo in cui, a sinistra, viene gestito "il problema dei Rom" potrebbe costituire una sorta di cartina di tornasole del carattere (non)emancipatore del movimento. In Italia, la "moltitudine" venerata dai post-operaisti ci ha mostrato una volta di più di cosa sia capace. In Germania, dovremmo essere cauti, in particolare con quelli che, generalmente a sinistra, si richiamano all' "amato popolo". E dobbiamo anche ricordarci che, nella storia, le fiamme dell'antizingarismo hanno sempre provocato una recrudescenza di antisemitismo, e viceversa.

-  Roswitha Scholz -

fonte: Critique Radicale de la Valeur

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