sabato 17 maggio 2014

Il sesso del valore

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Note sul concetto di "Valore" e di "Dissociazione-Valore"
di Roswitha Scholz

(Il testo che segue è la traduzione di un estratto dal libro di Roswitha Scholz, "Das Geschlecht des Kapitalismus. Feministische Theorien und die postmoderne Metamorphose des Patriarchats" (Il sesso del capitalismo. Teoria femminista e metamorfosi postmoderna del patriarcato), Bad Honnef, Horlemann, 2000"

Per mostrare cosa significa il concetto di "dissociazione-valore", merita innanzitutto spiegare cosa significhi il concetto androcentrico del "valore", così come è stato definito dalla "critica fondamentale del valore", e che intendo qui sviluppare in maniera critica. In generale, il concetto di valore viene utilizzato in modo positivo, sia dal marxismo tradizionale, sia dal femminismo o sia, ancora, dalle scienze economiche dove, sotto la forma, per esempio, dei prezzi, appare come elemento incondizionato e trans-storico di ogni società umana. A tale riguardo, l'approccio portato avanti dalla critica fondamentale del "valore", è del tutto differente. Il valore viene compreso e criticato come espressione di un rapporto sociale feticista. Nelle condizioni, che sono quelle della produzione di merci per dei mercati anonimi, i membri della società, anziché utilizzare di comune accordo le loro risorse per la riproduzione razionale della loro esistenza, producono, separatamente gli uni dagli altri, delle merci che diventano prodotti sociali solo dopo essere stati scambiati sul mercato. Come "rappresentanti" del "lavoro passato" (spesa di energia sociale umana astratta), queste merci costituiscono "del valore", cioè a dire che esse raffigurano ina certa quantità di energia sociale spesa. Tale rappresentazione si esprime a sua volta attraverso un medium particolare, il denaro, che è la forma generale del valore in tutto l'universo delle merci. Il rapporto sociale mediato da queste forme rovescia e capovolge il senso delle relazioni fra le persone e i prodotti materiali: i membri della società, in quanto persone, appaiono, in modo asociale, come semplici produttori privati e come individui spogliati di ogni legame fra di loro. Al contrario, il rapporto sociale appare come un rapporto fra cose, un rapporto di oggetti morti che entrano in relazione per mezzo delle quantità astratte di valore che essi rappresentano. Le persone vengono "cosificate", e le cose vengono, per così dire, personificate. Il risultato è l'alienazione reciproca dei membri della società, i quali non utilizzano le loro risorse in funzione di decisioni coscienti, prese di comune accordo, ma si sottomettono ad un rapporto cieco fra delle cose morte, i loro propri prodotti, comandati dalla forma-denaro. E' così che si arriva costantemente ad una cattiva ripartizione delle risorse, alle crisi e alle catastrofi sociali.
La critica di questo feticismo che subordina gli uomini in quanto esseri sociali ai rapporti creati dai loro propri prodotti, deve essere esercitato a livello di produzione di merci, di valore, di lavoro astratto e di forma-denaro. Ed è precisamente qui che la teorizzazione marxista del passato ha fallito. Ciò che costituisce la vera radicalità della teoria marxiana è stato marginalizzato come filosofico, mentre al livello concreto della teoria sociale, cioè in senso sociale ed economico, essa si è mostrata incapace di spezzare le catene categoriali del sistema moderno della produzione di merci (nelle sue varie forme storicamente asincrone). All'opposto, "la critica fondamentale del valore" intende riportare alla luce questo nucleo scomparso della critica dell'economia politica, e rendere consapevoli che la forma apparentemente naturale del valore riveste un carattere-feticcio negativo, per poter così pervenire ad una riformulazione della critica sociale radicale: "In quanto merci i prodotti sono cose–valore astratte, deprivate del loro contenuto sensibile e soltanto in questa forma peculiare realizzano la mediazione sociale. Nella critica marxiana dell’economia politica questo valore economico viene determinato in modo puramente negativo, come una forma di rappresentazione svincolata da ogni contenuto concreto e sensibile, reificata, feticistica, astratta e morta di lavoro sociale passato, incarnato nei prodotti e la cui evoluzione in seno al movimento formale e immanente delle relazioni di scambio lo porta a diventare denaro in quanto “cosa astratta”.(Kurz)" Tuttavia, questo specifico feticismo della forma-merce, in quanto principio generale e dominante della socializzazione, esiste solo nei sistemi moderni della produzione di merce. Solo il capitalismo moderno ha generato una forma-merce orientata verso dei mercati anonimi, autonomizzata e staccata dal resto della vita e delle altre forme relazionali, e che, allo stesso tempo,domina tutto il processo sociale della vita. In precedenza, si produceva insieme per l'uso, e questo non avveniva solo nel contesto agrario ma anche nelle corporazioni regolate da una normativa specifica. Quanto al concetto stesso di "totalità" sociale, non poteva nascere che con il dominio realmente totalitario della forma-merce e della forma-denaro sulla società. La produzione di merci, il rapporto monetario e "l'economia di mercato" come contesto sistemico generale sono nati grazie al fatto che il valore, e quindi la sua forma fenomenica, il denaro, si trasforma, da semplice medium fra produttori realmente indipendenti (economia familiare, ecc.) in fine sociale generale in sé: sotto forma di capitale, il denaro venne messo in circolo con sé stesso perché venisse "valorizzato", cioè a dire per generare, in un processo ininterrotto, "più denaro" (plusvalore). Ci sono due condizioni, costitutive di questa "valorizzazione del valore" produttive in senso capitalista e che distinguono un tale modo di produzione capitalista d tutte le produzioni di merce pre-moderne. In primo luogo, la produzione di beni d'uso - in condizioni pre-capitaliste, la ragion d'essere del tutto naturale della produzione - ormai trasformata in semplice vettore dell'astrazione-valore e che trasforma, quindi, la soddisfazione dei bisogni umani in un semplice "sotto-prodotto" dell'accumulazione di capitale-denaro. Si produce perciò un'inversione del fine e dei mezzi: "il processo feticistico diviene così autoriflessivo e in questo modo costituisce il lavoro astratto come meccanismo fine a se stesso. Ora questo processo non si “esaurisce” più nel valore d’uso, ma si manifesta come auto-movimento del denaro vale a dire come trasformazione di una quantità di lavoro astratto e morto in una quantità maggiore di lavoro astratto e morto (plusvalore) e quindi come processo tautologico di riproduzione e autoriflessione del denaro che solo in questa forma diventa capitale e diviene così moderna"(Kurz). In secondo luogo, la forza lavoro umana deve essa stessa divenire merce. Privata di ogni accesso autonomo e cosciente alle risorse, una parte sempre più grande della società umana venne sottomessa alla dittatura del "mercato del lavoro", facendo così della capacità umana di produrre una capacità fondamentalmente eteronoma. E' solo in queste condizioni che l'attività produttiva si trasforma in "lavoro astratto", il quale non è nient'altro che la forma di attività specifica assunta dal fine in sé astratto dell'aumento di denaro in seno allo spazio di funzionamento della "economia di impresa" capitalista, cioè a dire una forma di attività tagliata fuori dalla vita e dai bisogni degli stessi produttori. Mentre, e nella misura in cui, il capitalismo si sviluppa, tutta la vita individuale e sociale, su tutto il pianeta, prende l'impronta del movimento autonomo del denaro. Ciò ha come conseguenza il fatto che "il lavoro vivo non appare più che come espressione del lavoro morto autonomizzato" mentre il lavoro (astratto), nato solo col capitalismo, è ormai assunto in modo astorico come un principio ontologico.

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Ora, la visione tronca che il marxismo del movimento operaio aveva di un tale contesto sistemico, consisteva nel fatto che esso criticava il "plusvalore" in un senso puramente superficiale e sociologico, cioè nel senso della sua "appropriazione" da parte della "classe capitalista". Non era la forma del valore che funzionava in un ciclo continuo ed in modo feticista ad essere denunciata come scandalosa, ma solo la sua "iniqua distribuzione". Ed è proprio per questo che agli occhi dei rappresentanti della "critica fondamentale del valore" che questo "marxismo del lavoro" è rimasto prigioniero dell'ideologia di una semplice "giustizia distributiva". Il problema risiede nel carattere assurdo del fine in sé della forma merce e della forma denaro totalitaria, mentre la "distribuzione equa" all'interno di queste forme rimane assoggettata alle leggi del sistema e alle restrizioni imposte dal sistema e costituisce, così, una semplice illusione. Una semplice redistribuzione, all'interno della forma merce, della forma valore e della forma denaro, quale che sia il modo in cui venga applicata, non può evitare né le crisi né che si finisca con la miseria globale generata dl capitalismo; il problema centrale non sta nell'appropriarsi della ricchezza astratta sotto forma di denaro, ma nella forma stessa. Così, il vecchio movimento operaio con la sua "critica" tronca del capitalismo formulata secondo le categorie del capitalismo poteva ottenere solo - e anche in modo fugace - dei miglioramenti e degli sgravi immanenti al sistema. Oggi, nella crisi del sistema di mercato, questi miglioramenti vengono fatti a pezzi, uno dopo l'altro. Nel corso di questo processo, il marxismo tradizionale, e più in generale la sinistra politica, hanno fatto proprie tutte le categorie della socializzazione capitalista, a partire dal "lavoro astratto", dal valore in quanto principio generale che si pretende trans-storico e, di conseguenza, la forma merce e la forma denaro in quanto forme generali di rapporto sociale, così come il mercato universale anonimo in quanto sfera della mediazione sociale feticista, ecc.. Quanto alla miseria e all'alienazione che vanno di pari passo con questo sistema categoriale, queste dovrebbero essere corrette per mezzo di interventi politici esterni. Una tale illusione, ancora oggi continua ad essere riscaldata e diluita in salsa keynesiana (a sinistra).
Nel corso del processo storico che ha visto imporsi il capitalismo, solo nelle società in ritardo sulla produzione moderna di merci poteva nascere un sistema relativamente autonomo, fondato sulla legittimazione di quest'ideologia. E' stata una "modernizzazione di recupero" sotto forma di capitalismo di Stato, (male)interpretato come "contro-sistema socialista" benché non fosse in alcun modo il risultato di una crisi capitalista arrivata a maturazione. Per qualche decennio, questo paradigma è stato dominante solo in alcune società capitalisticamente "sottosviluppate", alla periferia del sistema mondiale (Russia, Cina, Terzo Mondo). Queste società erano comunque dei sistemi di produzione di merci - la dinamica capitalista delle merce e del denaro con la sua mediazione anonima per mezzo del mercato (che comporta sempre il principio di concorrenza) è stata resa forzatamente operante; in modo diverso dall'Occidente, con lo Stato a svolgere il ruolo di imprenditore collettivo.
Ed è questa stessa dinamica della forma valore astratta che funziona in un circolo continuo (ivi compresi i paesi del blocco dell'Est) che finisce - per mezzo dei processi indotti dal mercato mondiale e attraverso la corsa allo sviluppo delle forze produttive - per abbattere "il socialismo realmente esistente" (ossia, il capitalismo di Stato) e che porta, in tutte le regioni del globo, agli scenari di crisi e di guerra civile degli anni 1990. Il crollo della "modernizzazione di recupero", però non ha affatto aperto una "prospettiva riformatrice" che portasse verso "l'economia di mercato e verso la democrazia"(sono i termini dei quali, ormai, il capitalismo puro occidentale si fregia, anche nel gergo della sinistra conformista), ma ha aperto solo una "prospettiva" di barbarie, a condizione che venisse mantenuto il sistema delle merci ed i suoi criteri. E' dagli anni 1980 che la prospettiva di una vita migliore è svanita, anche nel Terzo Mondo. Era grazie al sistema creditizio che la prospettiva di un preteso sviluppo, sempre pensato nella forma feticista della merce e legato ad un'euforia modernizzatrice, aveva caratterizzato lo "spirito del tempo" fino a metà degli anni 1970, apparendo come realizzabile per qualche tempo. Ma un simile concetto, limitato al contesto di un sistema-mondo capitalista, crollerà nel corso degli anni 1980 e numerosi paesi verranno precipitati nella miseria a causa della pressione neoliberista, di cui una conseguenza sarà l'indebitamento con il Fondo Monetario Internazionale e con la Banca mondiale. Le condizioni imposte da queste istituzioni per il rimborso del debito, porteranno ad un "processo di adattamento strutturale" (questo, l'eufemismo usato) e ad un aggravio drammatico della situazione sociale per una larga maggioranza della popolazione. Si poteva già prevedere che queste condizioni di vita precaria si sarebbero estese anche alle nazioni occidentali altamente industrializzate. Il valore, il lavoro astratto, la mediazione del mercato sulla base del capitalismo come fine in sé, diventano obsoleti; il "collasso della modernizzazione" appare sempre più chiaramente.
La condizione post-moderna si rivela come paradossale per il fatto che, da un lato, il capitalismo si dimostra incapace di garantire la riproduzione dell'umanità (anche secondo i suoi propri criteri, comunque inaccettabili) mentre, dall'altro lato, i vecchi paradigmi di una "critica del capitalismo", tronchi e prigionieri delle forme e delle categorie del sistema delle merci (che siano del tipo "vecchio operaio marxista", keynesiani o "nazional-rivoluzionari"/antimperialisti) sfondano delle porte aperte. Lungi dallo scomparire, le diseguaglianze sociali si sono al contrario drammaticamente aggravate, ma non possono più essere aggredite nei termini di "appropriazione eccessiva di plusvalore", cioè a dire secondo una concezione puramente sociologica (che ignora il contesto-forma di base) che si fonda su dei "rapporti di classe" o su dei "rapporti di dipendenza nazionale".

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Questa visione della "critica fondamentale del valore", per quanto logica e plausibile sia il modo in cui interpreta i numerosi fenomeni della crisi mondiale attuale, ignora completamente, nella sua logica, il rapporto tra i sessi. Chiaramente, qui non si tratta del "valore" e, con esso, del "lavoro astratto" - sessualmente neutri - che sono degni di essere teorizzati, seppur fatti oggetto di una critica radicale. Quello che rimane ignorato, è il fatto che, nel sistema della produzione di merci, bisogna anche svolgere dei compiti domestici, allevare dei bambini e assistere le persone deboli e malate; compiti il cui svolgimento non può essere assicurato a livello professionale, se non in parte, ed il cui carico abitualmente ricade sulle donne (anche se svolgono un lavoro salariato). Dunque, non è il solo auto-movimento feticista del denaro, ed il carattere tautologico del lavoro astratto, nel capitalismo, a determinare il contesto sociale globale. Nella realtà, ciò che accade è una "dissociazione" di genere che si articola in modo dialettico col valore. Quello che viene dissociato non costituisce semplicemente un "sotto-sistema" (tipo, il commercio con l'estero, il sistema giuridico, o perfino la politica), ma una parte essenziale e costitutiva del rapporto sociale globale. Ciò significa che non esiste nessun "rapporto di derivazione" logico e immanente tra "valore" e "dissociazione". Il valore è la dissociazione, e la dissociazione è il valore. Ciascuno è contenuto nell'altro, eppure senza essergli identico. Si tratta di due elementi essenziali e centrali di un solo e medesimo rapporto sociale di per sé contraddittorio e spezzato, e che dev'essere compreso allo stesso livello di astrazione. Ciò che il valore non può afferrare, che è quindi separato da esso, nega espressamente la pretesa alla totalità della forma valore; questo rappresenta il non detto della teoria stessa e si sottrae, in tal modo, agli strumenti della critica del valore. Le attività riproduttive femminili rappresentano il contrario del lavoro astratto, è impossibile sussumerle sotto il concetti di "lavoro astratto", come fa spesso il femminismo che ha ripreso largamente per conto proprio la categoria positiva del lavoro, che era stata quella del marxismo del movimento operaio. Nelle attività dissociate, le quali comprendono anche, e non ultime, l'affetto, l'assistenza, la cura alle persone deboli e malate, fino all'erotismo, alla sessualità, così come "l'amore", sono incluse anche tutti quei sentimenti, emozioni ed attitudini contrarie alla razionalità della "economia d'impresa" che regna nel dominio del lavoro astratto, e che si oppongono alla categoria del lavoro, pur non essendo del tutto esenti da una certa razionalità utilitarista e dagli standard protestanti. A questo proposito, non si tratta solo delle attività specifiche, che il mondo patriarcale moderno delega alla "donna" - o che piuttosto le attribuisce e proietta su di lei -, ma anche i sentimenti e le qualità: sensualità, emotività, debolezza intellettuale e di carattere, ecc.. Il soggetto maschio illuminato che, in quanto soggetto socialmente determinante, rappresenta la volontà di imporsi (nella concorrenza), l'intelletto (in rapporto alle forme di riflessione capitaliste), la forza di carattere (nell'adattarsi alle esigenze capitaliste), ecc., e che è ancora (inconsciamente) il meccanico di precisione disciplinato della fabbrica fordista, questo soggetto, perciò, è esso stesso fondamentalmente strutturato attraverso questa "dissociazione". In tal senso, la dissociazione-valore comporta anche un aspetto cultural-simbolico ed una dimensione socio-psicologica di cui solo gli strumenti psicoanalitici possono venirne a capo. Secondo la teoria della dissociazione-valore, le sfere private e pubbliche, dialetticamente mediate allo stesso modo, sono connotate rispettivamente come femminili e maschili. Ma, contrariamente a quanto certe ipotesi stereotipate possono far credere, il rapporto fra i sessi non ha un suo "luogo" oggettivo nella sfera privata e pubblica. Da sempre, le donne sono state presenti nella sfera pubblica, soprattutto nel mondo del lavoro; ma la dissociazione continua anche all'interno della stessa sfera pubblica. Anche nell'era postmoderna, un numero crescente di donne esercitano un'attività salariata, con una qualifica uguale a quella degli uomini, e laddove i media amano parlare di "confusione dei sessi", salta subito agli occhi che le gerarchie sessuali e la discriminazione delle donne fondamentalmente non è scomparsa. Nella sfera privata, le donne continuano ad occuparsi dei bambini e del lavoro domestico più degli uomini, mentre, nella sfera del lavoro, i loro salari rimangono inferiori a quelli degli uomini ed è raro vedere delle donne occupare funzioni importanti nella vita pubblica, ecc., cosa probabilmente dovuta a connotazioni e attribuzioni "classiche" di genere del mondo moderno, e parimenti alle responsabilità reali delle donne riguardo tutto quello che attiene alla riproduzione privata e che arriva fino all'epoca post-fordista. Questa critica del concetto di valore pensato in modo androcentrico, proposta sotto la denominazione generale di "critica della forma dissociazione-valore", ha delle conseguenze non solo per la "critica fondamentale del valore", ma anche per altri approcci che, nel passato, hanno affrontato in modo critico l'astrazione valore e la merce feticcio (anche se spesso in modo inconseguente). Di particolare rilievo, a questo riguardo, è una nozione del "valore d'uso" pensato in modo enfatico e sempre positivo, quale si trova in certe teorie di sinistra, ed anche femministe. Il valore d'uso viene presentato come "femminile" e, in quanto tale, destinato a contenere in sé delle potenzialità di resistenza. Ma l'equazione "valore d'uso = femminile, valore di scambio = maschile", pur mantenendo la subordinazione gerarchica del valore d'uso al valore di scambio, fa sempre derivare le disparità di genere dalla sola forma merce, che si pretende neutra quanto al genere. L'analisi rimane confinata, in modo androcentrico, nello spazio interno della merce. Invece, secondo Kornelia Hafner, è essenziale già in Karl Marx il fatto che "i valori d'uso appaiono come creature dello stesso capitale" e che l'ipotesi di una "utilità pura" (essa stessa astratta) del valore d'uso appare solamente allorché, attraverso il rapporto capitale, la forma merce si è sviluppata in maniera più o meno dominante. Per la "critica fondamentale del valore", che ci interessa primariamente, ne risulta che la merce non è "valore d'uso" se non quando si trova nel processo di circolazione, in quanto oggetto sul mercato, e dunque, il valore d'uso rimane, anch'esso, una semplice categoria-feticcio astratta ed economica. Il valore d'uso non designa l'utilità concreta dell'uso sensibile e materiale, ma unicamente l'astratta "utilità per eccellenza" in quanto valore d'uso di un valore di scambio. Per la "dissociazione-valore", il concetto di valore d'uso appartiene, in qualche modo, esso stesso all'universo della merce androcentrico e astratto. Allo stesso tempo, la sfera che è effettivamente incompatibile con questo contesto-forma economica, è quella del consumo e delle attività ad esso legate a monte e a valle. E' dunque per prima là, che bisogna cercare di afferrare il "dissociato" dalla forma valore. E' solo nel consumo che ha veramente luogo l'uso ed il godimento sensibile e materiale. Così il prodotto di mercato "inghiottito" nel consumo si sottrae alla forma merce. Quello che non viene preso in considerazione, è che questa incompatibilità dei beni con il contesto-forma economica non proviene semplicemente dal consumo "puro" e immediato, ma si trova ad essere mediato da una sfera di attività di riproduzione che sono intrecciate - in parte, perfino a priori - con altre attività, momenti e relazioni non mediate dalla forma merce. Definito in questo modo, il "dissociato" appare, nella teoria sociale maschile unidimensionalmente basata sul valore, come qualcosa di quasi astorico, come una massa molle ed informe alla maniera del femminile nella società cristiana occidentale in generale, e che un'analisi in termini di forma valore non riesce a comprendere. Quello che invece non attiene al dissociato, è il consumo dei mezzi di produzione, consumato nel quadro dell'economia d'impresa, tipo le macchine, i beni d'investimento, ecc.; questi restano all'interno dell' "universo maschile" del valore. Ma da punto di vista concettuale, il "dissociato" non si lascia di certo ridurre al consumo o alla preparazione dei beni acquistati per essere consumati, vanno aggiunti - ed è centrale - l'affetto, l'aiuto alle persone deboli, le cure, l'amore, ecc, fino alla sessualità e all'erotismo. Qui è difficile distinguere tra ciò che attiene all'attività obbligatoria e ciò che attiene agli aspetti esistenziali della vita. Ma è proprio questo che, contrariamente a quanto accade con il "lavoratore astratto", rende opprimenti le attività femminili di riproduzione. Dal punto di vista storico-logico, il lavoro astratto e la dissociazione sono dunque fondamentalmente co-originari; si può dire che l'uno abbia generato l'altro. Ciascuno è il presupposto per la costituzione dell'altro. In tal senso, il rapporto dissociativo rappresenta in una certa maniera una meta-struttura - contrariamente all'ipotesi riduzionista secondo la quale il valore è il solo principio costitutivo -, la natura stessa delle società basate sulla produzione di merce.
Il dissociato femminile si trova così ad essere l'Altro della forma merce, come un essere intero a parte; ma, d'altra parte, rimane asservito e sotto-valorizzato proprio perché si tratta di quello che è dissociato in seno alla produzione sociale generale. Si potrebbe dunque dire che, se la forma astratta corrisponde alla merce, la difformità astratta corrisponde al dissociato; e a proposito del dissociato, si potrebbe andare a parlare, paradossalmente, di una forma dell'informe, che - va sottolineato ancora una volta - non può essere compresa logicamente con i mezzi delle categorie intrinseche alla forma merce. La scienza e la teoria androcentrica della forma merce, non possono spiegare questa relazione, perché le loro teorie ed i loro apparati concettuali devono "espellere" come "a-logico" ed "a-concettuale" tutto ciò che non è compatibile con la forma merce.

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Ma la "sensibilità", che è la questione nel contesto della "dissociazione", molto evidentemente si è costituita storicamente. Essa concerne le attività femminili svolte ai fini della riproduzione (preparazione dei beni di consumo, amore, cure alle persone malate e deboli, affetto, ecc.) e che sono apparse, sotto questa forma, nel XVIII secolo, con la differenziazione fra un settore di lavoro salariato capitalista ed un settore privato di riproduzione domestica, e questo riguarda altresì la costituzione dei bisogni in generale. Il fatto che, nel contesto della forma dissociativa, il "femminile" dissociato non costituisca per niente un qualcosa di "migliore" rispetto al "maschile" modellato dalla forma merce, risulta già dal fatto che si tratta di un'unità negativa tra la forma merce ed il "dissociato". Un'altra conseguenza: anche le donne che sono attive (solamente) nel settore riproduttivo (determinazione che, empiricamente, non si adatta per forza a tutte le donne), vivono un'esistenza limitata ed alienata, che è il riflesso inverso del lavoro astratto all'interno dello spazio di funzionamento economico del capitale. L'uso e il godimento sensibile, ma anche le attività connesse e le qualità attribuite alla donna, sono perciò capitalisticamente immanenti alla società, pur non essendo immanenti alla forma valore. Secondo la teoria della dissociazione-valore, bisogna perciò partire dal fatto che il rapporto moderno tra i sessi dev'essere analizzato nel contesto del patriarcato produttore di merci (così come di tutto il valore) e, di conseguenza, non come un dato trans-storico, "parallelamente" alle differenti formazioni sociali. Ciò non significa che sia senza preistoria. Rimane nondimeno il fatto che il rapporto fra i sessi raggiunge nella modernità del mercato, una qualità del tutto nuova, di cui bisogna tener conto sia a livello analitico che teorico. Nell'era postmoderna, si constata una nuova trasformazione nei rapporti fra i sessi. Tuttavia, come abbiamo già notato, si ritrova la codifica fondamentale, nel senso della dissociazione-valore, e la gerarchizzazione dei sessi che gli corrisponde in tutte le sue rifrazioni postmoderne, le sue diversificazioni, le sue inversioni, i suoi cambiamenti e sviluppi, le sue retroazioni e differenziazioni, che siano quelle della vita della donna in carriera o dell'uomo a casa, quelle del calcio femminile o dello spogliarello maschile, quelle dei matrimoni gay e lesbici, o quello degli spettacoli dei travestiti, per limitarci a qualche esempio importante.
E' passato qualche anno dalla pubblicazione delle tesi sulla meta-struttura globalizzante della dissociazione-valore che abbiamo brevemente riassunto, e ci sarebbero alcune cose da modificare o da precisare. Così, ora possiamo vedere ancora più chiaramente dove ci porterà lo sviluppo postmoderno del patriarcato mercantile: quello cui assistiamo non sono solo trasformazioni e sviluppi, le retroazioni e le inversioni di cui abbiamo parlato prima. Di più, mano a mano che si aggrava la crisi del sistema capitalista, la quale ormai si è estesa a tutta la superficie del pianeta, si assiste ad un imbarbarimento globale del patriarcato produttore di merci. Se, nel corso degli sconvolgimenti sociali drammatici provocati dalla crisi mondiale, le donne non sono più responsabili solamente della sfera di riproduzione - cosa che una volta, fino all'epoca fordista, è stata la loro immagine ideale - al giorno d'oggi sono, contrariamente agli uomini, responsabili sia del lavoro domestico che di quello salariato, mentre la loro sotto-valorizzazione rimane inalterata, malgrado o, piuttosto, a causa di questo. Così vengono ridicolizzate tutte le valutazioni ottimistiche le quali, a partire dalla metà degli anni 1980, credevano che l'emancipazione della donna fosse stata praticamente realizzata, o che, ancora oggi, continuano a pretendere che sia così.
A questo imbarbarimento, la critica della dissociazione-valore oppone l'obiettivo di un'abolizione del valore, della forma merce, dell'economia di mercato, del lavoro astratto e della dissociazione - una prospettiva che riguarda dunque l'abolizione del rapporto generale che regge la società di mercato e che deve operare sia a livello materiale che ideale e socio-psicologico.
E' in questo senso radicale che vengono messi in discussione, in maniera generale, tutti i livelli e tutte le sfere, e in questo è inclusa anche la critica alla "famiglia nucleare" , oggi in piena decomposizione. Di conseguenza, si tratta di superare la "mascolinità" e la "femminilità", come li conosciamo, ed insieme ad esse le sessualità preformate corrispondenti.
Nelle pagine che seguono, partiremo da questa critica radicale per confrontarci con le più importanti teorie femministe. Perciò, vorrei, in riferimento critico ad un articolo di Regina Becker-Schmidt, subito sottolineare che le strutture, i meccanismi, le fenomenologie, ecc., della dissociazione-valore non possono pretendere di essere valide altro che per il patriarcato produttore di merci, e che sarebbe sbagliato inoltre vederli all'opera nelle società non moderne, o di presentarli come "propri alla specie umana".

- Roswitha Scholz -

fonte: EXIT!

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