giovedì 7 febbraio 2013

un meraviglioso caos

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Luglio 1936. Tutti gli osservatori lo hanno notato: all'indomani della vittoria contro i militari, la CNT e la FAI smettono di richiamarsi all'applicazione del programma rivoluzionario, e questo proprio mentre lo Stato è praticamente scomparso e la maggior parte dei padroni sono già scappati. Mentre il movimento di espropriazione è già spontaneamente cominciato, ed interesserà ben presto circa il 70% delle imprese industriali e commerciali della Catalogna, la Confederazione si limita ad intervenire soltanto per impedire il sequestro delle imprese straniere e delle banche. Dopo il 24 luglio, la Federazione locale dei sindacati unici di Barcellona (CNT) "aveva convenuto sulla necessità di normalizzare la vita economica". Sull'organo della CNT, Solidaridad Obrera, si fa appello a tutte le sezioni affinché si riprenda il lavoro; appello che sarà ripetuto più volte. Ma nei settori vitali, come alimentazione e salute, tutto funziona a meraviglia, e gratuitamente, dopo il 19 luglio, in quello che Abel Paz definisce "un meraviglioso caos".
Nei quartieri, dove per generazioni era risuonato lo slogan "Il giorno allo sgobbo nelle loro fabbriche, ma la notte la città è nostra!", erano state innalzate barricate impressionanti, che erano rimaste anche dopo la vittoria sui militari. La Rete dei comitati di distretto e di approvvigionamento, eredità di tutta l'esperienza di rivolta popolare dei decenni precedenti, aveva proceduto all'occupazione e al saccheggio degli edifici dei quartieri ricchi, ricollocandovi le famiglie delle baraccopoli. Si era dato inizio alla vita collettiva. Approvvigionamenti, distribuzione, mense, cooperative, scuole e asili nido, università popolari, ospedali, biblioteche e centri culturali e di salute. Erano state distrutte molte chiese, e soprattutto il loro contenuto, le prigioni, gli archivi notarili che certificavano i beni dei ricchi, erano stati bruciati soldi e sequestrate vetture; l'automobile era visto come "uno dei simboli dello status borghese di cui i rivoluzionari si impadronirono con giubilo. Per lo più, delle grandi quantità di automobili rimasero distrutte a causa degli incidenti, ma "la motorizzazione rivoluzionaria aveva la sua propria logica". Vennero distrutti anche molti semafori, nella città di Barcellona, a luglio, ed i nuovi conducenti non tenevano nessun conto di quelli che erano rimasti, a significare così un rifiuto dell'ordine cittadino che minacciava, con automobili e tram, la geografia sociale dei quartieri.

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Ma il Comitato Regionale della CNT, mentre raccomanda di mantenere la moralità, esprime il "grande dolore del CR della CNT nel vedere le spoliazioni di cui sono soprattutto vittime i tabaccai; azioni effettuati da gruppi che devono essere arrestati e portati davanti ai comitati, perché ricevano le sanzioni appropriate". Un articolo, su "La Vanguardia", insiste sul fatto che per lottare contro il saccheggio ed il disordine, le milizie popolari sono incaricate di arrestare "coloro che compiono atti contro l'ordine rivoluzionario".
L'appello dei sindacati, a ritornare al lavoro, provoca una seconda ondata di occupazioni e requisizioni. "La trasformazione dei luoghi di lavoro avviene in accordo con la visione anarchica delle relazioni sociali, secondo la quale la fine dell'alienazione lavorativa implica il superamento dei confini artificiali eretti nella città capitalista, e che separano il sociale dall'economico, il lavoro dal tempo libero". Ecco, così che nelle fabbriche più importanti vengono organizzati asili nido, programmi educativi e biblioteche.
Intanto, il 21 luglio, i leader anarchici decidono di creare il Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste (CCMA), una sorta di fronte popolare da lodo dominato. E quando, l'11 agosto, decidono di integrarsi nel Ministero dell'Economia della Generalitat della Catalogna, diventa innegabile che era stata presa, fin dall'inizio, la decisione di salvare lo Stato, e che la CNT e la FAI non avevano alcuna intenzione di incoraggiare un processo rivoluzionario autonomo. Si verifica uno sfasamento fra la militanza e la base del movimento e, come avrà a dichiarare José Peirats nel 1966: "Non c'è dubbio che ci fu una rinuncia rivoluzionaria dal momento in cui il sollevamento militare venne liquidato a Barcellona ed in Catalogna (...) Un atteggiamento rivoluzionario che si dichiara sconfitto già fin dal primo contatto con la rivoluzione, dà la misura della qualità insignificante di tali rivoluzionari (...) Quello che noi rimproveriamo loro, non è l'aver rinunciato alla dittatura anarchica, ma di avere optato per la contro-rivoluzione. Il dilemma che si era loro presentato: dittatura o collaborazione, è falso. Dal punto di vista anarchico, la collaborazione con il governo e la dittatura, sono la stessa cosa (...) Con quei 200mila uomini armati e con circa un milione di affiliati, gli anarchici rappresentavano un potere economico formidabile, ed una forza di dissuasione del tutto rispettabile (...) Bisognava rimanere fuori dallo Stato ed esercitare la più grande pressione possibile al fine di indebolirlo."
La CNT e la FAI si ritrovarono fra le mani una rivoluzione che non avevano previsto, e si assicurarono che venisse immediatamente incanalata per mezzo delle strutture sindacali. Da parte loro, i vari comitati già esistenti e quelli che erano sorti spontaneamente, comitati di controllo, di fabbrica, di miliziani, di gruppi anarchici e della Gioventù Libertaria; tutti questi comitati continuarono le loro attività autonome, ignorando del tutto le consegne del Comitato Centrale.
Racconta Abél Paz: "Il CCMA aveva creato le pattuglie di controllo per sostituire la vecchia polizia. Erano formate dai militanti dei partiti politici e delle organizzazioni sindacali rappresentate dai comitati. Comprendevano circa 800 uomini, distribuiti per distretto. Ma i comitati di difesa non volevano rinunciare al loro ruolo di sorveglianza, per la semplice ragione che l'autoritarismo, di cui cominciava a dare prova il Comitato Centrale, non ispirava loro alcuna fiducia."
In sostanza, agli occhi del giovane Paz, Barcellona, nell'autunno del 1936, si trovava in una situazione di estrema confusione. I Comitati di difesa, trasformati in Comitati rivoluzionari, erano diventati "un potere nel cuore stesso della sede del potere di comitati superiori della CNT-FAI (...) Ciascun comitato di quartiere controllava i suoi  gruppi di difesa (...) Barcellona, nel suo insieme, aveva adottato questa struttura organizzativa e si era arrivati ad un totale di 8, 10mila persone, la cui forza sfuggiva al controllo del CCMA e, assai sovente, anche ai comitati superiori della CNT-FAI". I comitati rivoluzionari di quartiere si installarono nelle sedi dei comitati di difesa e controllavano tredici magazzini di sussistenza, e numerosi edifici espropriati. Ma "questa forza, il cui ruolo avrebbe potuto essere decisivo, restava, in una certa maniera, a rimorchio delle alte autorità della CNT, che non avevano un obiettivo preciso (...) Gli scontri fra la base ed il vertice erano continui."
A parte l'effimera "Federazione delle Barricate", di cui non si sa molto, la rivoluzione barcellonese non generò alcuna organizzazione propria. Da strumento di lotta, prima del 19 luglio, la CNT si trasforma in un organismo centralizzatore. Il potere dei comitati di base fu poco a poco svuotato della sua sostanza, man mano che si ricostituiva lo Stato. Nel corso dei mesi a venire, vennero progressivamente disarmati e sciolti, sotto lo sguardo passivo della militanza che aveva "dimenticato" le disposizioni passate.

caosI dirigenti anarcosindacalisti si ritrovavano sotto la doppia pressione della militanza, da una parte, reticente ad obbedire loro, e delle forze antifasciste, dall'altra, che gli intimavano di applicare i decreti del governo e castigare gli incontrollati. E' istruttiva, in proposito, la testimonianza di Marcos Alcòn, sia militante del gruppo "Nosotros" che militante del CCMA:
« Il CCMA stava per essere sciolto (...) In tale circostanza, venne da me una commissione che rappresentava il Comitato di Difesa di Barcellona. (...) "Noi" - mi dissero - "abbiamo analizzato la situazione e stimiamo che la rivoluzione viene strangolata dai comitati responsabili. Di conseguenza, abbiamo deciso di andare nella sede della CNT-FAI per bonificarla dai membri di questi comitati. Veniamo a proporti di diventare il nuovo segretario del Comitato regionale." Benché fossi d'accordo con loro nel considerare eccessive le recenti concessioni, ne fui grandemente sorpreso, così gli risposi. "Certo, stiamo andando alla deriva, ma non è questo che bisogna fare. Il rimedio potrebbe essere peggiore del male (...) Ritiriamoci dentro i sindacati e obblighiamo i Comitati e l'insieme dei militanti ad adattare la loro condotta in funzione di quelli che sono sempre stati i desideri dei lavoratori."»
Alla fine, la stessa CNT vedrà la propria influenza politica sempre più limitarsi, di mese in mese, ma rimarrà fino al 1939 nella cabina di comando per la gestione delle fabbriche, e dei lavoratori. Va ricordato che la sindacalizzazione divenne rapidamente obbligatoria.
Il sentimento di trionfo popolare, e la trasformazione radicale dell'aspetto della città, riuscirono, per un certo tempo, a mascherare la realtà. E la realtà era che la rivoluzione era stata rimandata, ed una contro-rivoluzione era in atto, a partire dal 21 luglio 1936.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Giusto approfondimento Franco e non riesco a capire perché tu non ti definisca anarchico. Certe scelte partecipative al governo della Spagna '36, furono certamente errate particolarmente dopo il fallimento della rivoluzione russa dell'ottobre 1917. La tattica leninista di quei mesi fu furba e disonesta nei suoi riferimenti alla Comune; fu una trappola affermare che i bolscevichi erano per la presa del potere dello Stato, ma che col tempo avrebbero mirato alla sua estinzione. "Lo stato si abbatte e non si cambia." diceva Bakunin, ed aveva ragione. I compagni spagnoli degli organismi dirigenti si comportarono da leninisti, neanche da marxisti, perché i bolscevichi, in buona o cattiva fede, miravano alla dittatura del proletariato per mano del loro partito. Lo Stato è l'espressione di un potere di classe che in quanto tale non può mettere in programma la sua autodistruzione. Evidentemente i compagni spagnoli non avevano ben digeriti gli insegnamenti di Bakunin e, volenti o nolenti si comportarono da controrivoluzionari, da "giacobini"!! La Russia di oggi ne è un lampante esempio. Ne convieni? Gianni

BlackBlog francosenia ha detto...

Diciamo, Gianni, che il mio "non definirmi" attiene al fatto che preferirei non avere certe vicinanze - da una parte - mentre ci terrei ad avere altre vicinanze - dall'altra. Pensa tu che un discorso del genere, me lo ebbe a fare Anna Maria, ai tempi del collettivo Jackson! Argomentava come fosse superfluo, fra compagni, porre e sottolineare certe differenze che lei reputava essere insignificanti; e, col senno di poi, pensando invece alle "somiglianze" con chi anarchico non si definisce, pur essendo a me molto più "compagno", non posso che convenire con la sua impostazione. Lo stato va distrutto, ne convengo, ma anche il capitalismo, così come il lavoro ed il denaro; porre l'accento su una priorità, piuttosto che un'altra, per "definirsi", in qualche modo, mi pare superfluo.

Anonimo ha detto...

Alla fine dell'ottocento potevano essere superflue certe autodefinizioni; Bakunin non parla mai di anarchia, ma nella diatriba con Marx si capisce bene chi è autoritario e chi è antiautoritario. Leggiti le Tesi di aprile di Lenin e certe prese di posizione riguardo alla Comune di Parigi e capirai come evesse inportanza nel 1917 dire chiaramente che gli anarchici sono contro lo Stato, e Lenin era per la presa del potere, salvo in un secondo momento (dopo la dittatura del proletariato) mirare alla estinzione dello Stato. Ricordo di essermi trovato più volte a discutere con "compagni" del Centro Mao e di Viva il comunismo, nella stesura di un manifesto sulla parola Stato e Stato dei padroni! uno di loro mi disse che lui era stato anarchico da giovane...io invece ero stato comunista da giovane! questo tanto per farti capire che "loro" non perdono occasione per impuntarsi su di una parola. Io ho conosciuto molto bene Anna Maria e mi levo tanto di cappello circa la sua disponibilità di militante dei NAP, ma riguardo alla sua maturità politica ho seri dubbi. Chiaramente non mi sarei messo a disquisire sul significato di una parola quando ferveva la mischia, ma definirsi aprioristicamente "non anarchico" mi lascia fortemente perplesso circa la tua preparazione storica.

BlackBlog francosenia ha detto...

E no, Gianni! Non definirsi, non significa definirsi "non-qualcosa", se permetti. Diciamo che, piuttosto, sto proponendo ... la "superfluità" delle definizioni. Ora vengo e mi spiego: non credo che le definizioni siano necessarie, tutto qui. Se scrivo una cosa, più o meno lunga, più o meno articolata, sarà questa cosa a recare in sé l'eventuale germe della definizione, se a qualcuno può servire. Lenin, Engels (forse più che Marx) vengono definiti da chi ha interesse a definirli, e chi lo fa, lo fa usando di un segno positivo o negativo, a seconda del valore che dà alla definizione. Tu (impersonale) dici "comunista autoritario", e l'aggettivazione ha senso perché dai un segno più alla parola comunista, e in cuor tuo speri che l'interessato possa perder l'aggettivo negativo per guadagnarsene uno positivo, chessoio, "libertario", per esempio. Ecco, non intendo giocare questo "gioco", e preferisco usare di un altro metodo. Per esempio, quello che afferma che "o si è parte del problema o si è parte della soluzione".