sabato 26 gennaio 2013

di padre in figlio

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Il 18 luglio del 1936, il pittore spagnolo Fernando Gerassi stava chiacchierando con gli amici sulla terrazza del caffè La Rotonde, a Parigi, quando passò Malraux e gli disse che Franco si era ribellato, in Spagna, e che aveva dato inizio ad una guerra civile. Gerassi, che in quel momento si stava prendendo cura del figlio di cinque anni, mentre la moglie seguiva una lezione alla Sorbona, depositò il bambino sulle ginocchia di un amico, pregandolo di spiegare alla madre cosa stava succedendo e si alzò per andarsene in Spagna a difendere la Repubblica. In tutto il mondo, migliaia di spagnoli facevano la stessa cosa, in quel giorno e nei giorni a venire. C'è da dire, però, che l'amico sulle cui ginocchia Gerassi depositò il piccolo Juanito non era uno qualunque. Si trattava di Jean Paul Sartre. Fino a quel momento, Sartre era convinto di avere incontrato qualcuno uguale a lui: Gerassi dipingeva come Sartre scriveva. Su questo si basava la loro amicizia. E poi, ecco che d'un tratto Gerassi si alzava da quella sedia a La Rotonde e, di punto in bianco, abbandonava la pittura!
Fu proprio per questo, nel tentativo di comprendere le cose, scrivendoci sopra, che Sartre convertì Gerassi in uno dei personaggi de "I cammini della libertà", il suo romanzo sul compromesso. In una scena mitica, Gòmez (Gerassi) si incontra fugacemente a Parigi con Mathieu (Sartre), quando è già caduta Madrid, e gli annuncia che quella stessa notte tornerà ad attraversare la frontiera per riprendere il suo posto nella lotta. Mathieu gli domanda il perché, dal momento che la guerra è oramai perduta, e Gòmez pronuncia la sua famosa frase: "Non si combatte il fascismo perché lo si può battere, lo si combatte perché è fascista."
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Gerassi era spagnolo ... nell'anima: era nato a Istanbul, figlio di ebrei sefarditi. La famiglia, benestante, lo aveva mandato a studiare con Husserl, in Germania. E Gerassi, lì, era passato dall'andare a sciare con il suo compagno di studi Heidegger a lasciare tutto per dedicarsi alla pittura, rubando anche la fidanzata al musicista viennese Alban Berg (l'ucraina Stepha Awdykovicz, che poi sarebbe diventata la mamma di Juanito oltre che l'amore impossibile di tutto il quartiere latino), finendo a morire di fame a Parigi. Lei lavorava di modo che lui potesse dipingere e, quando poteva, si iscriveva a qualche corso alla Sorbona. Fu così che si conobbero Sartre e Gerassi: Simone de Beauvoir rimase abbagliata da Stepha durante un corso.
Gerassi abbandonò Barcellona salendo sull'ultimo aereo che decollò, poco prima che cadesse la città. Si paracadutò dall'altra parte dei Pirenei, dal momento che la Francia rinchiudeva nei campi di concentramento, i repubblicani che passavano la frontiera. Il playboy Porfirio Rubirosa, che oltre a fare il trafficante occasionale di armi era anche genero del dittatore dominicano Trujillo, gli fece ottenere alcuni visti in cambio di qualche favore ricevuto (Gerassi e Malraux compravano da Porfirio armi per i repubblicani). Gerassi distribuì i visti ai suoi amici ebrei a Parigi, tenendosi gli ultimi tre visti per sua moglie, per suo figlio e per sé. Arrivarono a New York poco prima di Pearl Harbor. Due settimane dopo, stava con la OSS (Office of Strategic Services, americani): la sua missione (grazie alla sua esperienza nelle brigate repubblicane) era di entrare clandestino in Spagna, costruire una rete e stare pronto a far saltare alcuni ponti strategici, nel caso che i carri armati nazisti decidessero di passare attraverso la Spagna franchista per andare a difendere l'Africa del Nord.
Gerassi aveva combattuto in Spagna con i comunisti, e dopo la guerra, in era maccartista, la sua vita negli Stati Uniti divenne impossibile. Sopravviveva, insieme a Stepha e a Juanito, nel Vermont, lavorando in una scuola sperduta, la Putney School of Arts. Dopo averla fatto partire, la lascio in mano a Stepha, e tornò a dedicarsi alla pittura. Fu tutta una somma di delusioni. Non volle mai fare una mostra, né tornare ad insegnare. Cacciò di casa il figlio Juanito, quando aveva 15 anni: voleva studiare il marxismo e fare una tesi su Sartre. Poco prima c'era stato l'unico incontro di Gerassi e Sartre, dopo la guerra, in occasione di una mostra, al Museo d'Arte Moderna, di Mondrian ("Sì, però dipingere in questo modo significa non farsi domande difficili" - mormorò Gerassi); incontro che finì quando entrambi cominciarono ad accusarsi, gridando, di avere zoppicato moralmente, come se, faccia a faccia, non potevano essere altro che i personaggi de "I cammini della libertà"!
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Juanito non fece mai la sua tesi su Sartre, però, nel 1970, dopo aver girato il mondo come attivista internazionale, cercando invano di conciliare le tendenze dell'uomo d'azione con quelle dell'uomo di idee (Tribunale Russell, Cuba, Vietnam, Rivoluzione Culturale Cinese, Bolivia insieme al Che), venne consacrato, inaspettatamente, da Sartre, come suo biografo ufficiale. Si incontravano una volta la settimana, a parlare davanti ad un registratore. Sartre cominciava ad essere stanco: il peso di essere la coscienza del mondo gli pesava, soprattutto da quando i medici gli avevano proibito le anfetamine. Incontrarsi con Juanito lo faceva sentire in famiglia. Juanito conversava con le persone vicine a Sartre, per il resto della settimana. Ma anche Juanito, come il padre,non aveva pace. Aveva creduto che essere il biografo di Sartre significasse erigersi fiscalmente a proposito di ciascuno dei suoi atti, così come era stato rispetto al suo padre biologico, notte dopo notte, fino a quando aveva sbattuto la porta; ed un attimo dopo, aveva sentito, da dietro la porta, Gerassi che gridava, rivolto a Stepha: "Lascialo andare! Se riesce a sopravvivere questa notte, vuol dire che è ora che se ne vada da casa!"
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Juanito Gerassi dormì su quei nastri per quasi 40 anni. Non scrisse mai la biografia. Dopo la morte di Sartre, pubblicò un voluminoso studio su di lui. "La coscienza odiata del suo tempo", era il sottotitolo. Vent'anni dopo, quando gli restavano solo tre anni di vita, diede i nastri a Yale, in cambio della pubblicazione di una selezione dei suoi scritti. Un libro patetico e tristemente commovente, con dentro suo padre, Sartre, e lui stesso. Non era riuscito a distogliersi da quel duello di maschi, per concentrarsi su sua madre. Stepha Awdykovicz, la donna che aveva insegnato filosofia, musica, botanica ed astronomia a tre generazioni di giovani capaci, ma senza risorse, in Nord America. Si può trovare un intero capitolo dedicato a lei, nelle "Memorie di una ragazza per bene", di Simone de Beauvoir. C'è pero un bellissimo ritratto, che ne dà il figlio, senza rendersene conto. Quando Sartre, in una delle ultime conversazioni, gli chiede come vanno i disturbi della bella Stepha.
"Lei non ci vede quasi più, però conosce tanto bene le piante del suo giardino che riesce a distinguere, a tentoni, le erbacce, e a rimuoverle. Le dolgono talmente le mani che, quando le tocca, le scendono le lacrime, però la musica riesce a consolarla. E' troppo sorda per riuscire a sentirla, ma dice che la sente attraverso le dita".

fonte: http://www.pagina12.com.ar

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