mercoledì 2 gennaio 2013

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Comites

Questo libro è complemento e continuazione ai due precedenti libri di Guillamòn, "Los Comités de Defensa de la CNT en Barcelona (1933-1938)" e "Barricadas en Barcelona" (il secondo scaricabile qui), dove si relaziona a proposito dei fatti che, fin dal primo inizio e poi allo scoppiare della rivoluzione sociale, portano al trionfo della controrivoluzione, nel mese di maggio del 1937. "La rivoluzione dei comitati", di Agustin Guillamòn, pubblicato da Aldural/El Grillo Libertario, nel 2012, diventa un'opera imprescindibile sulla Guerra Civile Spagnola, dove i protagonisti spiegano, in una sorta di prima persona del tempo presente, gli avvenimenti occorsi nella Barcellona rivoluzionaria del secondo semestre del 1936.
Le rivoluzioni sociali, questi tentativi di riorganizzare produzione e società su nuove basi, sono rare, nella storia. Nel secolo scorso, abbiamo avuto la rivoluzione russa, caratterizzata dai Soviet; quella tedesca, basata sui Räters (Consigli); e quella spagnola, basata sui Comitati.
Soviet, Consigli e Comitati furono gli organismi potenziali del potere della classe operaia, in ciascuna di queste rivoluzioni. Lo studio di tali organismi dovrebbe permetterci una conoscenza più approfondita della dinamiche sociali, dei problemi e delle debolezze di ciascuna rivoluzione; dove, al di là delle circostanze politiche, sociali ed economiche in cui si avverarono, continuano a riportarci un'esperienza insostituibile, tanto nei successi quanto - soprattutto - nei fallimenti. La grande lezione della rivoluzione dei Comitati, nel 1936, rimane, per tutti i rivoluzionari, quella relativa alla necessità ineludibile della distruzione dello Stato.
I Comitati di quartiere esercitarono tutto il loro potere nelle strade di Barcellona, scontrandosi, in più occasioni, dapprima col Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste e dopo, a partire dal 26 settembre del 1936, con i comitati superiori della CNT, integratisi nel governo della Generalidad.
Nel libro, si studia l'origine dell'organismo rivoluzionario conosciuto come il "Comitato Centrale dei Rifornimenti", e la sua successiva integrazione nel Ministero dei Rifornimenti della Generalidad, integrazione avvenuta senza alcun problema, grazie alla presidenza della stessa persona: Josep Juan Doménech. Emerge, impetuosa, la figura dell'economista Joan Pau Fábregas, ministro dell'Economia e firmatario del Decreto di Collettivizzazione, le sue originali proposte economiche, fra cui la monopolizzazione del commercio con l'estero - come soluzione di emergenza contro la carestia - che andò incontro al rifiuto da parte degli altri ministri e che ebbe, come effetto la sua definitiva esclusione, insieme a quella di Andres Nin, dal governo della Generalidad, il 17 dicembre del 1936. Evento appena commentato dalla storiografia accademica. A questo punto, i prezzi per i rifornimenti cominciarono a salire in modo assolutamente incontrollabile, a causa della speculazione, mettendo i lavoratori in una situazione limite, alla fame!
E proprio la fame, venne utilizzata dal governo e dagli stalinisti, come una potente arma per sconfiggere i rivoluzionari. Vennero ripetutamente negati quei rifornimenti, atti a costituire una riserva adeguata di alimenti. Contemporaneamente, si procedeva ad istituzionalizzare e ad addomesticare la violenza politica rivoluzionaria, che era esplosa nei primi mesi. Lo stato esercita il monopolio della violenza, per mezzo delle cosiddette forze dell'ordine pubblico; cosa che appare come essere la normalità della società capitalista. La violenza rivoluzionaria che rompe tale monopolio, viene invariabilmente presentata come un fenomeno eccezionale, caotico ed arbitrario e, pertanto, come delinquenza, ed i suoi leader come criminali. La restaurazione dell'ordine borghese, a partire dall'ottobre 1936, si oppose e si scontò con la violenza rivoluzionaria.

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La rivolta militare di luglio, aveva aperto la strada alla violenza, come soluzione del conflitto sociale e politico: in guerra, i conflitti si risolvono uccidendo il nemico. La situazione eccezionale - di crisi istituzionale e di rivoluzione sociale - provocata dalla rivolta militare e dalla conseguente guerra civile, fu il terreno fertile su cui proliferarono i rivoluzionari, diffamati come "incontrollati", che si facevano giustizia con le proprie mani.
In una situazione di fallimento di tutte le istituzioni, e di vuoto di potere, i comitati rivoluzionari, ed anche alcuni comitati di investigazione, si assunsero il potere di giudicare e di condannare il nemico fascista - inclusi quelli che erano solo sospettati di esserlo - che fosse un prete, un proprietario, un uomo di destra, un ricco o della "quinta colonna". Le armi che impugnavano davano loro il potere, e il "dovere" di sterminare il nemico. Semplicemente, era giunta l'ora di dare la morte al fascismo, senz'altra alternativa che quella di morire o di uccidere, perché si era in una guerra mortale contro i fascisti.
Dal momento che non è mai accaduto che qualcuno accusasse un soldato di uccidere il nemico, perché mai dovrebbe essere accusato qualcuno di uccidere il nemico, imboscato nella retroguardia? In guerra, il nemico lo si uccide. Non ci sono altre leggi, né regole morali, né filosofie.
A molti anni di distanza, dotti accademici (per lo più, eredi dello stalinismo) elaborano complicate spiegazioni e teorie per biasimare e colpevolizzare esclusivamente gli anarchici; ma tutti i documenti storici ci dicono che il miliziano (della CNT, repubblicano, del poum, o stalinista) che andava a far "fare una passeggiata" al prete, al padrone o al fascista, applicava una regola molto semplice: in guerra il nemico lo si uccide, se non si vuole essere uccisi.
Il fenomeno della violenza rivoluzionaria dei miliziani, nella retroguardia aragonese e catalana, va studiato nel contesto della lotta per il potere locale: formazione del comitato rivoluzionario, pulizia di tutti i preti e tutti i fascisti, espropriazione della terra, del bestiame e delle proprietà degli uomini di destra (per lo più, uccisi o scappati) e della chiesa che andavano a consolidare economicamente la collettività popolare. In questo processo giocavano un ruolo importante i conflitti sociali precedenti, focolai di vendette e di regolamenti di conti in ogni villaggio, che spiegano la maggior o minor virulenza della "pulizia".
Violenza e rivoluzione erano inseparabili. Violenza e potere erano la stessa cosa. In tempi di rivoluzione, la violenza è tanto distruttiva (del vecchio ordine) quanto costruttiva (del nuovo ordine), non può essere dominata e trova sempre i suoi esecutori, anonimi o meno. E' stato così per la rivoluzione francese e sarà così per la rivoluzione di domani.
Ma quando la violenza incontrollata, legata alla situazione rivoluzionaria di luglio e ad un potere atomizzato, cominciò ad essere regolata, ad ottobre (sotto la sua nuova forma di violenza legittima e/o legale del "nuovo" ordine pubblico), dalle nuove autorità antifasciste, cessò di essere una violenza rivoluzionaria, collettiva, popolare, giustiziera e spontanea, e si trasformò in un fenomeno crudele, alieno ed incomprensibile per il nuovo ordine controrivoluzionario, borghese e repubblicano, centralizzato e monopolista, che si andava ad instaurare precisamente partendo dal controllo e dalla rimozione della precedente situazione rivoluzionaria.
Nel mese di ottobre 1936, il ritorno al "nuovo" ordine pubblico, patteggiato fra il governo della Generalidad e i superiori comitati libertari, stabilì che venisse considerata "anormale" e transitoria, la violenza rivoluzionaria dell'estate. In ogni caso, non si riconosceva quello che era accaduto a luglio. Si doveva voltare pagina: importava solo l'unità antifascista per vincere la guerra.

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Alcuni persero il passo, e non si abituarono mai al cambiamento da una situazione di giustizia rivoluzionaria, spontanea ed atomizzata, che durò alcune settimane, alla restaurazione del monopolio della violenza da parte delle istituzioni statali, che segnò il passaggio ad una giustizia repubblicana. Soffrirono una sorta di gap temporale, come Pascual Fresquet, comandante della Brigata della Morte "Ortiz". Altri, invece, spinsero, divennero protagonisti e vissero tale cambio in prima fila, come Aurelio Fernandez, organizzatore delle "Pattuglie di Controllo". Fernandez, segretario del Consiglio di Sicurezza, attraverso il quale consiglio di sicurezza cercò di far accettare il nuovo ordine delle pattuglie, senza mai sollevare in alcun momento la necessità di rompere l'unità antifascista; diventato poi ministro della Generalidad, in aprile, e, paradossalmente, imprigionato nell'agosto del 1937, accusato per un attentato contro Josep Andreu Abelló, presidente del Tribunale di Cassazione di Barcellona, e poi per l'uccisione di 42 Maristi.

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Questo libro ha il coraggio di situare nel loro contesto storico, e di cercare di capire dal punto di vista del proletariato rivoluzionario, due degli episodi più spietati, ma anche più manipolati e mitizzati, della repressione rivoluzionaria anarchica: la Brigata della Morte di Fresquet, e l'assassinio di 42 Maristi, da parte di Aurelio Fernandez e Antonio Ordaz, fornendo dei documenti inediti.
Fra i documenti inediti o sconosciuti pubblicati in questo libro, c'è "Soladirad Obrera" di lunedì 20 luglio 1936; il discorso radiofonico di Durruti, i primi di novembre; i dibattiti dei comitati libertari a proposito delle numerose diserzioni dalle colonne confederali; la reprimenda ad Ortiz, Fresque, Ruano ed altri comandanti delle colonne; la demoralizzazione dei miliziani della colonna Durruti, convinti dell'assassinio del loro leader per mano stalinista; l'approvazione e la giustificazione dell'eliminazione di una quarantina di padri Maristi, da parte dei comitati superiori, considerati come nemici imboscati nella retroguardia; i costanti attacchi a Jean Pau Fàbregas, l'economista della CNT che promulgò il Decreto delle Collettivizzazioni, fino ad ottenere la sua uscita dal governo della Generalidad; il bilancio di Doménech sul lavoro fatto dalla CNT sui rifornimenti, da luglio a dicembre del 1936; l'esistenza di una rete di distribuzione alimentare, gestita dai comitati di quartiere (e dalle cooperative), e così via.
Sono compresi tutti gli atti delle riunioni di comitati superiori libertari, delle sessioni del Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste, del Consiglio della Generalidad, della Giunta di Sicurezza Interna e del Comune di Barcellona; insieme agli articoli più significativi del stampa dell'epoca, da Solidarid Obrera a La Vanguardia, dal Bollettino d'Informazione della CNT-FAI a Treball al Diario Official della Generalidad. Altri documenti provengono dalle riunioni della Commissione delle Industrie di Guerra, dal Sindacato dell'Alimentazione della CNT e dal Comitato Economico dell'Industria del Pane.
Il libro presenta, inoltre, una selezione di alcuni significativi frammenti documentali, che a volte spiegano, altre si contraddicono, ma che sono imprescindibili per capire cosa stesse succedendo, e quali problemi agitavano ed occupavano quegli uomini e quelle donne - che fossero dirigenti o gente del popolo - cosicché il lettore comprenda l'epoca, capisca il clima che si viveva in ogni istante, assista ai dibattiti che si producevano nelle riunioni dei comitati superiori, o nel Consiglio della Generalidad, e partecipi delle ansie e delle paure della vita quotidiana del tempo.
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Due cose se ne traggono:
1 - La questione, nel luglio del 1936, non era tanto quella di prendere il potere (da parte di una minoranza dirigente), quanto quello di distruggere lo Stato, per mezzo del coordinamento, dell'estensione e dell'approfondimento delle appropriate attività dei comitati. I Comitati rivoluzionari di quartiere (ed alcuni di quelli locali) non facevano, o dovevano fare, la rivoluzione. Essi erano la rivoluzione sociale.
2 - La distruzione dello Stato era un processo concreto, in cui i Comitati esercitavano funzioni proprie delle istituzioni ufficiali, dal momento che lo Stato era incapace di assumersele. Tale processo di distruzione dello Stato, e la consolidazione dei comitati, era parallelo e simultaneo. Il processo controrivoluzionario consistette precisamente nel ricostruire lo stato borghese, nello stesso tempo in cui venivano distrutti i comitati rivoluzionari.

 

 


GUILLAMÓN, Agustín: La revolución de los comités. Hambre y violencia en la Barcelona revolucionaria. De julio a diciembre de 1936.
Aldarull y El grillo libertario, Barcelona, 2012.

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