venerdì 21 dicembre 2012

paura del vuoto

ETICA-DEL-LAVORO

LAVORO FORZATO ed ETICA del LAVORO
di Claus Peter Orlieb

«I metodi di produzione moderna hanno reso possibile comfort e sicurezza per tutti; e invece, noi abbiamo scelto il superlavoro per alcuni e la fame per altri. Finora abbiamo continuato a svolgere le stesse attività che si svolgevano quando non c'erano le macchine; e qui ci siamo mostrati stupidi, ma non abbiamo l'obbligo di perseverare eternamente in questa stupidità.» - Bertrand Russell, Elogio dell'ozio, 1932 -

etica Ortlieb_FotoOttant'anni ed una crisi economica mondiale più tardi, la nostra intelligenza ha chiaramente fatto pochi progressi, al contrario: la produttività del lavoro nell'industria e nell'agricoltura è grosso modo aumentata di dieci volte, e non si può dire che questo fatto abbia portato comfort e sicurezza. L'Europa, che per il momento sta ancora relativamente bene, sta subendo un innalzamento record del suo tasso di disoccupazione. Quanto alle poche isole che sono rimaste competitive sul piano globale, esse lottano da anni contro le nuove pandemie provocate dalla contrazione progressiva dell'offerta di lavoro: dalla sindrome di perdita di lavoro alla morte improvvisa causata dal consumo abituale di psicofarmaci.
Proviamo tuttavia ad immaginare che tutto quest'ardore eccessivo verso il lavoro, constatato da Russell, non sia nient'altro che un'abitudine, divenuta obsoleta, e che si soffrirebbe a perderla - un'abitudine ereditata dai tempi in cui non c'erano le macchine. Nel Medio Evo, dove il lavoro come fine in sé era una cosa sconosciuta, si lavorava infatti assai meno di quanto si lavori oggi. Il motivo è semplice: il lavoro come noi lo intendiamo, cioè a dire il dispendio astratto di energia umana indipendentemente da qualsiasi contenuto particolare, è storicamente determinato. Non lo si incontra che sotto il capitalismo. In qualsiasi altra formazione sociale, l'idea oggi così universamente riconosciuta secondo la quale «un lavoro, un lavoro qualunque, è meglio che nessun lavoro», sarebbe stata giustamente considerata completamente delirante.
Tale delirio è il principio astratto che regge i rapporti sociali sotto il capitalismo. Tolte (astraendole) le attività criminali, il lavoro - che si tratti del nostro o dell'appropriazione del lavoro altrui - è per noi l'unico mezzo di partecipazione alla società. Ma, nello stesso tempo, esso non dipende dal contenuto dell'attività in questione; non ha nessuna importanza che io coltivi delle patate o che fabbrichi delle bombe a frammentazione, dal momento che il mio prodotto trova un acquirente e trasforma il mio denaro in ancor più denaro. Base di valorizzazione del valore, il lavoro costituisce un fine in sé ed un principio sociale associativo, il cui unico scopo consiste nell'accumulare sempre più "lavoro morto", sotto forma di capitale.
Un vincolo, cui tutto rimane sottomesso in egual misura, è durevole solo a condizione che coloro che ne sono prigionieri imparino ad amare le loro catene. Ed in questo la società borghese si distingue da quelle precedenti.
Da Aristotele a Tommaso d'Aquino e passando per Agostino, i filosofi dell'Antichità e del Medio Evo hanno celebrato l'ozio - e soprattutto mai il lavoro - come la strada che porta ad una vita felice:

"L'apprendimento della virtù è incompatibile con una vita da artigiano e da lavoratore" - Aristotele - Etica Nicomachea -
"Lasciamo queste occupazioni vane e vuote: abbandoniamo tutto il resto per la ricerca della verità" - Agostino - Confessioni -

Altri non erano dello stesso avviso, per esempio i fondatori di certi ordini monastici che vedevano nel lavoro un mezzo per raggiungere l'ascesi e l'astinenza. Ma sarà solo col protestantesimo che si cercherà di fare del lavoro, un principio valevole su grande scala, da applicare a tutto l'insieme della popolazione:

"L'ozio è un peccato contro il comandamento di Dio, perché Egli ha ordinato che quaggiù si debba lavorare tutti." - Martin Lutero -

E l'Illuminismo non smette di elevare costantemente l'etica del lavoro - chiamato anche obbligo morale di lavorare - a livello di fine in sé:

"E' della massima importanza che i bambini imparino a lavorare. L'uomo è il solo animale che deve lavorare." - Kant - Pensieri sull'educazione - 1803 -
"Esiste una sola scappatoia dal lavoro: fare lavorare gli altri per sé." - Kant - Critica del giudizio - 1790 -
"Di questi 3 vizi: pigrizia, viltà, inganno, il primo mi sembra il più spregevole." Kant - 1798 -
"Che ci si informi specificamente sulle persone che si distinguono per una condotta indegna! Si scoprirà invariabilmente che si tratta di coloro che non hanno mai imparato a lavorare, quelli che rifuggono il lavoro." - Fichte - Discorso alla nazione tedesca - 1807 -

Come appare dalle ultime citazioni, l'amore per il lavoro si lega strettamente all'odio per l'ozio:

"Ciascuno deve poter vivere del proprio lavoro, afferma un principio avanzato. Questo poter vivere è dunque condizionato dal lavoro e non esiste laddove tale condizione non viene soddisfatta." - Fichte - Fondamenti del diritto naturale -
"Nei paesi caldi, l'uomo è maturo a tutti gli effetti ma non raggiunge la perfezione delle zone temperate. L'umanità nella sua più grande perfezione, si trova nella razza bianca. Gli indiani gialli non hanno che poche capacità, i neri stanno ancora più sotto, e al livello più basso della scala, si trovano alcune tribù americane." - Kant - Geografia fisica - 1802 -
"Il barbaro è pigro e si distingue dall'uomo civile in quanto rimane immerso nel suo abbrutimento, perché la formazione pratica consiste precisamente nell'abitudine e nel bisogno di agire." Hegel - Principi della filosofia del diritto - 1820 -

Queste affermazioni escludenti e razziste uscite dalla penna dei filosofi illuministi non sono per niente dei semplici incidenti di percorso, ma rivelano, al contrario, l'essenza dell'ideologia del lavoro. Dal momento che questa corrente di pensiero, trasfigura il lavoro in vero scopo dell'esistenza de "l'uomo", tutti i "disoccupati", per contraccolpo, si vedono esclusi dalla "razza umana": l'uomo è costretto a lavorare; pertanto, quello che non lavora non può pretendere per intero lo status di essere umano.
Quella che qui viene espressa, è la rabbia dello stakanovista bianco contro la pressione che lui stesso si è imposto, una rabbia che se la prende con tutto quello che non si sottomette a tale pressione e conduce un'esistenza oziosa: le donne, incaricate della "vita reale" nel seno della sfera privata - separata dal lavoro - della famiglia borghese; tutti quei tipi di persone (qui le attribuzioni sono ancora più varie) che vivono, senza lavorare, d'amore e d'acqua fresca; oppure, ancora, "il capitale accaparratore" (contrapposto ad un capitale "buono") che si appropria senza lavorare del plusvalore creato dagli altri. Le ideologie moderne del sessismo, del razzismo, dell'anti-zingarismo e dell'anti-semitismo sono fondate, anch'esse, sull'etica del lavoro.
A partire dagli anni '70, cominciano a sparire dal processo di produzione delle quantità sempre più crescenti di lavoro, il potenziale della razionalizzazione della microelettronica ha gettato il capitalismo nella crisi. Tuttavia, la pressione interiore ed esteriore che spinge gli uomini a lavorare non è affatto diminuita ma, al contrario, si è accentuata nella misura in cui diminuiscono gli "impieghi".Per chi rimane a lavorare, le condizioni di fanno più dure: sono oramai troppo numerosi perché il loro mantenimento rimanga ancora compatibile con il mantenimento della competitività sul piano globale. "L'assoluta necessità di portare gli uomini al lavoro" (Angela Merkel) non fa che oscurare la percezione del problema: la responsabilità della disoccupazione non sarebbe più imputabile alla sparizione progressiva del lavoro, ma ai disoccupati stessi, che bisognerebbe, conseguentemente, portare, con tutti i mezzi di coercizione a disposizione, verso un lavoro che non esiste più. Qualcosa di simile si verifica a livello europeo: si impone ai "paesi in fallimento" rimasti al traino dell'Europa, delle politiche di austerità, grazie alle quali dovrebbero, una volta superata questa prova dolorosa, ridiventare competitivi. Come se la Federcalcio tedesca pretendesse di portare in Lega dei Campioni tutt'e diciotto le sue squadre della Bundensliga.
Non c'è via d'uscita, manifestamente, se non quella dell'abolizione del lavoso, ma questo, ovviamente, comporta anche di abolire il capitalismo. E a tutto questo, si oppone la nostra etica del lavoro, frutto di secoli di condizionamento:

eticaRussell-2

"Alcuni dicono che è sicuramente bello avere un po' di tempo, ma che la gente non saprebbe come riempire le proprie giornate se dovesse lavorare solo quattro ore al giorno. Nella misura in cui questo è vero nel mondo moderno, costituisce una vergogna per la nostra civiltà; in qualsiasi altra epoca anteriore, questo non sarebbe stato un problema." - Bertrand Russell - Elogio dell'ozio - 1932 -

Il destino che Hegel assegnava ai "barbari" ci ritorna indietro: chi è senza impiego non ha che da rimanere "immerso nel suo abbrutimento". In altre parole: se al soggetto borghese ripugna talmente immaginare la propria vita senza il lavoro, è anche perché, dietro la sua etica del lavoro, cova la paura panica del suo proprio vuoto.

Claus Peter Orlieb

fonte: http://palim-psao.over-blog.fr

Nessun commento: