giovedì 18 ottobre 2012

ingiustificabile

celine

Il 15 dicembre del 1949, comincia a Parigi il processo contro Louis-Ferdinand Céline, in esilio in Danimarca ed accusato di avere, con i suoi scritti "attentato al morale della nazione in tempi di guerra". Il comitato di redazione del giornale "Libertaire" s'interessa al caso, ed incarica Maurice Lemaitre di svolgere un'inchiesta presso un certo numero di personalità dell'epoca. Il 13 gennaio del 1950, in un articolo dal titolo "Cosa ne pensate del processo Céline?", da cui traspare una certa benevolenza nei confronti dello scrittore, il redattore del "Libertaire" introduce la sua inchiesta:
«Il processo all'autore del "Viaggio al termine della notte" è in corso. Fedeli alla nostra tradizione, e ritenendo che il processo sia assai più significativo di quanto possa sembrare a prima vista, non ci faremo sfuggire l'occasione di mettere davanti alle loro responsabilità, tutti i piccoli cospiratori del silenzio, tutti quelli che "nel suo interesse, sarebbe meglio ...", tutti quelli che non vogliono bagnarsi, in una parola. Noi porremo con franchezza la domanda: Cosa ne pensate del processo contro Louis-Ferdinand Céline ? »
Dopo aver elencato le accuse (lettere apparse sulla stampa collaborazionista, relazioni letterarie con la Germania, prese di posizione contro la Resistenza, fuga sotto la protezione tedesca, antisemitismo virulento), Lemaitre conclude il suo articolo: «Céline deve senza dubbio giustificarsi, e deve anche rispondere di certi "errori", ma deve giustificarsi di fronte a chi? davanti a che cosa? La giustizia oggi, in Francia, è solo dileggio. Ed il processo Céline non può essere altro che, come tutti gli altri processi di tale natura, che un processo di derisione. Perché la colpevolezza dell'autore del "Viaggio" non arriva all'altezza di quella dei ben noti profittatori e torturatori del collaborazionismo, oggi liberi, non raggiunge quella degli scribacchini sdoganati dai politici e dai generali ripuliti. Si sta cercando, senza dubbio, per mezzo del silenzio che lo circonda, di fargli pagare, di fargli espiare i suoi libri di prima della guerra, i suoi successi letterari e polemici di prima della guerra. Per amore di obiettività e d'informazione e per consentire agli scrittori e alle personalità che Céline coinvolge per difendersi dalle accuse, noi apriamo loro questo spazio.» A quanto pare, però, alcune personalità non rispondono alla domanda posta loro dal "Libertaire".
Nello stesso numero, il giornale pubblica tutte le risposte finora ricevute. Si possono leggere le lettere di Jean Paulhan, scrittore ed editore, di Albert Paraz, scrittore e amico di Céline, di Albert Beguin, di Charles Plisnier, comunista vicino al trotskismo, di Paul Rassinier (futuro negazionista, qui presentato come ex-internato in un campo di concentramento, di Marcel Aymé. Trasuda una certa unanimità che celebra il talento letterario dell'accusato, persino il suo genio, per alcuni. Si opina che il processo sia inutile, ridicolo, perfino offensivo. Solo Plisnier e Beguin si soffermano a sottolineare la differenza fra lo scrittore e l'uomo. Fino al punto che il secondo afferma che « dopo il Viaggio, Céline non ha più scritto una riga valida. Tutto il resto è divagazione di un cervello malato oppure ignobile esplosione di bassezze. L'antisemitismo è sempre ripugnante, ma quello di Céline, grondante di bava rabbiosa, è degno di un cane servile. Essere stato scrittore e finire ad abbaiare: questa è la vera tragedia di quell'uomo, per cui la sua condanna non porrà fine e non cambierà niente, ne il contro-latrare dei suoi nemici, nei i lamenti dei suoi apologisti e corrispondenti. »
Nel numero successivo del "Libertaire", in data 20 gennaio 1950, Lemaitre scrive che «la nostra inchiesta ha suscitato reazioni assai diverse. Questo è quello che volevamo. Per molti è stata un'occasione per pronunciarsi una buona volta su una questione che interessa tutti. Chi ci ha risposto ha dimostrato il proprio coraggio. Alcuni non l'hanno fatto. Che lo si ami o meno, Céline non è la questione. E' stata data loro un'occasione per dire cosa pensano di questo processo per stregoneria». In una nota, in fondo all'articolo, viene segnalata la creazione di un "Comitato di Israeliti, amici di Céline". In un riquadro, la lettera che Céline - informato dell'iniziativa del giornale - ha spedito al "Libertaire".
«Caro amico. Questo mi fa del bene nella situazione in cui sto crepando! Mi stanno facendo il culo in mome di Dio! Che cazzo! Dieci anni che mi tormentano. Per tutte le strade del mondo! Che vita! di sotterranei e celle ghiacciate" Ah, "Fuorilegge", caro Libertaire, è brutto! Soprattutto quando si è rugosi - cinque volte nonno, immaginate! Voglio ancora sorpassarmi, credo. - Sono davanti alla folla - animale da arena - la folla, la più grande ipocrita del mondo. Vorrei trascinarmi laffuori, per vedere, se posso ... ma ci sto provando ... di più ... anche per il colpo di grazia ad una bestia sulle sue proprie gambe! Per poterli guardare in faccia ... Amichevolmente vostro L.-F. Céline.»
In questo secondo numero si dà corso ad una seconda infornata di risposte.  Stavolta ci sono lettere di André Breton, di Dubuffet, di Barjavel.
Breton non dice una parola sul processo e non testimonia alcuna simpatia, né per l'uomo né per la sua opera. «La mia ammirazione va agli uomini i cui doni (d'artista, fra le altre cose) sono in rapporto con il carattere. Cioè non ammiro Céline né Claudel, per esempio. Con Céline, il disgusto è arrivato presto; non ho dovuto andare oltre al primo terzo del "Viaggio al termine della notte", dove incappai in nor ricordo più quale lusinghiera presentazione di un sottufficiale della fanteria coloniale. Mi parve di leggervi la linea di un progetto sordido.»
Dopo aver espresso tutto il suo orrore per questa "letteratura ad effetto che velocemente passa dalla calunnia alla sozzura", Breton termina la sua lettera, « Per quanto ne so, Céline non corre alcun rischio in Danimarca. Non vedo dunque motivo alcuno per creare un movimento d'opinione in suo favore.» Gli altri interventi, ancora, si sforzano di mettere in evidenza il valore letterario dell'opera di Céline.
L'inchiesta arriva alla fine nel numero del "Libertaire" del 27 gennaio 1950. Credo sia lecito supporre che non sia stata ugualmente gradita in tutto l'ambiente anarchico! Tanto che questa volta è la "redazione" a voler mettere un cappello sulle ultime risposte alla domanda posta da Lemaitre.
« Per noi, non si è mai trattato di difendere Céline, non più che di attaccarlo. Semplicemente, per mezzo del suo caso, abbiamo voluto protestare contro i processi alle opinioni. Alcuni nostri compagni lavoratori si sono stupiti a vederci lanciare quest'inchiesta nel momento in cui numerosi rivoluzionari cadono in Spagna, dietro la cortina di ferro, e altrove, quando, per un Céline ridotto in miseria, milioni di uomini sono internati dentro campi di concentramento, prigioni, per semplici reati di opinione. Orbene! Céline l'antisemita, ma anche l'indimenticabile scrittore, oggi è vittima di questo procedimento, perché il reato di opinione è cugino del razzismo. Ma noi non ammettiamo che i giudici che condannano i turbolenti, gli obiettori, che chiudono in prigione i minori, condannino un uomo che, almeno lui, ha avuto il coraggio delle sue opinioni.»
I contributi, stavolta, sono quelli di ALbert Camus e di Benjamin Péret.
Come Breton, ma con maggior vigore, Péret non mostra alcuna indulgenza verso lo scrittore in esilio.
Comincia con il sorprendersi per l'improvviso interesse mostrato dal "Libertaire" verso Céline, ricordando che quest'ultimo ha giocato, prima e durante la guerra,un ruolo del tutto nefasto. «Tutta la sua opera costituisce un vero e proprio incitamento alla delazione e, quindi, diventa indifendibile da qualsiasi punto di vista ci si ponga, non c'è nessuna poesia, qualsiasi cosa dicano i suoi apologeti, solo bassezza e lordura. Bisogna insorgere contro questa campagna di "ripulitura" degli elementi fascisti ed antisemiti che si sta sviluppando sotto i nostri occhi».
Benjamin Péret non cerca alcuna circostanza attenuante, desiderando semplicemente che rimanga in Danimarca, dove non rischia niente.
Quanto ad Albert Camus, ecco la sua breve lettera:
«La giustizia politica mi ripugna. E' per questo che sono dell'avviso di fermare questo processo e di lasciare tranquillo Céline. Ma se non vi dispiace, voglio aggiungere che l'antisemitismo, e particolarmente l'antisemitismo degli anni '40, mi ripugna almeno altrettanto.»
Per completare quest'ultima parte dell'inchiesta, vengono riportate sette lettere dei lettori. Benché la redazione precisi che la reazione dei lettori sia stata caratterizzata da una grande diversità di opinioni, ben sei delle sette lettere pubblicate si mostrano, a gradi diversi, favorevoli allo scrittore ed ostili al processo. Solo un lettore, J. Tomsin, si mostra molto critico:
« Non sono un assetato di sangue ... Per Céline, proporrei che venisse consegnato alla sola giustizia conveniente: quella degli ebrei che sono tornati ... dal Termine della Notte...» Dopo la citazione di qualche frase antisemita raccolta da "Bagatelle per un massacro", il lettore conclude:
«No, davvero, non è abbastanza ... Céline è in Danimarca, che ci rimanga ... E la chiudiamo ...»
In ultimo, "Libertaire" pubblica una lunga lettera, firmata con le iniziali e spedita al giornale da cinque militanti del gruppo Sacco e Vanzetti, della Federazione Anarchica, in cui si esprime indignazione per l'importanza data dal giornale a quelli che si chiamano "la difesa di L.-F. Céline". Senza, sicuramente, approvare il processo in corso, questi militanti affermano, contrariamente a quanto scrive Maurice Lemaitre nel suo primo articolo, che non gliene importa un cazzo della sorte di Céline.
«Anche supponendo che Céline abbia "la muta (di cani) al culo", questa muta non sembra paragonabile a quella che si avventa contro i perseguitati sociali di Spagna, Bulgaria, Bolivia, Grecia, Europa Orientale, Indie, Vietnam o, senza andare così lontano, Africa del Nord e Francia, sono questi, questi subalterni, questi rivoluzionari questi sconosciuti senza il pennacchio, che è nella tradizione del Libertaire di difendere e non quelli che mostrano disprezzo per le masse, quelli che sono abbastanza grandi per tirarsi fuori dalle brutte situazioni in cui si mettono».

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In un libro pubblicato nel 1990, "L'arte di Céline e i suoi tempi", Michel Bounan scrive: "La questione non è quella di sapere come un libertario possa mischiarsi con dei nazisti, bensì quella di spiegarsi come mai certi personaggi ritengano di travestirsi da libertari". E la cosa non va riferita solo a Céline. Interessa e coinvolge, altresì, tutti quelli che, qualche anno più tardi dell'inchiesta del Libertaire, parteciperanno all'infame matrimonio fra radicalismo e negazionismo. A leggere la sintesi dell'inchiesta del 1950, si deve ammettere che il modo di trattare il caso Céline si situava di già nella categoria della giustificazione dell'ingiustificabile.
Come aveva scritto dodici anni prima H.E. Kaminski (autore di "Quelli di Barcellona"), in "Céline en chemise brune"
« Per rendere Céline inoffensivo, basta smascherarlo. Ciò che è inammissibile, è che lui venda la sua spazzatura nazista come se fosse letteratura originale.»

 

fonte: http://acontretemps.org

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