venerdì 1 giugno 2012

Fuga

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Ogni fuga si trascina al guinzaglio la nostalgia per ciò che si abbandona, e l'incertezza per quel che ci aspetta. In tal senso, la guerra civile spagnola è stata un laboratorio di fuggiaschi, e di tale angoscia, che si accompagna alla fuga, molti hanno lasciato delle tracce di scrittura. Sono spesso pagine in cui si trovano paura, rancore e disprezzo; in cui risuona l'urlo astioso di chi ha annusato l'odore della morte. Invece, sorprendono, per misura e moderazione, i racconti di "A sangre y fuego". Episodi scelti con cura fra le centinaia di storie dei primi mesi di guerra, arrivati alle orecchie dell'autore, nella redazione di "Ahora", di cui era il "compagno direttore". Manuel Chaves Nogales non fa uso del registro dell'odio, del "cainismo" proprio di ogni guerra civile. In questi racconti, per dirla con Paul Valery, "La sintassi è una facoltà dell'anima".
"A sangre y fuego" è un esercizio di tassonomia! Un modo di disporsi davanti al catalogo di eroi, di bestie e di martiri impegnati nella quotidianità della guerra spagnola; per cercare di ordinarlo, quel catalogo!
Più tardi, avrebbe detto di aver scritto quel libro per liberarsi dall'angoscia dell'esilio: "La Spagna e la guerra, così vicine, così attuali, così dentro la carne viva, in quest'angolo di Parigi diventano per me il sentimento di una pura evocazione".
Non era piacevole, per lui, ricordare le scene che aveva vissuto a Madrid. E per questo, le camuffa, forse, travestendole con gli abiti della "fiction". Le pagine migliori sono quelle in cui parla di sé stesso. Il prologo, che è alla base e lega tutte le storie, apre una finestra indispensabile a chi voglia scrutare dentro la complessità della guerra. Senza retorica, né quella ingannevole del melodramma né quella algida della propaganda.

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