domenica 6 maggio 2012

Bio che???

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Quello che segue è un estratto da un recente articolo di Moishe Postone, che critica il concetto di biopolitica come è inteso da Michael Hardt (socio di Toni Negri).

Nel suo saggio, “Falsify the Currency!” ("Falsificare la moneta!"), Michael Hardt affronta la mancanza di orientamento storico implicita nella nostra epoca e solleva la questione della possibilità di nuove forme di vita sociale. Prendendo come punto di partenza la storia dell'Oracolo di Delfi che avrebbe detto a Diogene di Sinope di falsificare, o cambiare, la valuta, Hardt suggerisce che ciò possa essere inteso come un progetto per creare una nuova forma di vita e, quindi, un nuovo mondo.
Con il termine "moneta", Hardt sembra riferirsi in primo luogo ai processi di quantificazione che avvengono nel cuore del capitalismo. Questi processi, egli sostiene, stanno diventando anacronistici, come risultato della crescente importanza di quello che Hardt chiama "produzione biopolitica". Tale termine si riferisce alla produzione di beni immateriali, ad una forma di produzione fondamentalmente differente dalla forma della produzione industriale, con i suoi strumenti meccanici, le sue relazioni salariali, la sua struttura della giornata di lavoro, e la sua temporalità. Secondo Hardt, staremmo entrando in un'era di produzione biopolitica in cui i valori di produzione economica sono fondamentalmente incommensurabili.
L'anacronismo della forma di misurazione al centro del capitalismo, secondo Hardt, è paradossalmente indicato dalla crescente importanza del capitale finanziario. Hardt sostiene che ci sia una simmetria sconcertante tra la sfera biopolitica e le tecnologie della finanza. Il valore, nel regno della biopolitica, è fatto di plastica ed è incommensurabile.
Il capitale finanziario falsifica la moneta non solo manipolandola per il suo profitto, ma ma capitalizzando il suo essere di plastica, al fine di spostare ricchezza sociale verso l'alto. Più fondamentalmente, la finanza cerca di quantificare i valori fluidi ed incommensurabili, al fine di catturarli al processo di accumulazione del capitale. Ciò è particolarmente evidente nel caso dei "derivati" che cercano di quantificare il rischio, o quelli che mettono insieme vari di tipi di attività, cercando di stabilire una misura comune per tutte le attività coinvolte.
Hardt, poi, suggerisce che la crescente importanza del capitale finanziario sarebbe un'indicazione del fatto che la base di misurabilità nel cuore del capitalismo sta diventando anacronistica. E' per questo motivo che egli è critico verso quegli approcci che considerano il capitale finanziario come "immaginario", criticandolo dal punto di vista dell'economia "reale". Il problema con questo genere di critiche, sostiene, è che esse mantengono un immaginario industriale nell'era della produzione biopolitica. Questo immaginario, però, è diventato anacronistico.
Non ci può essere il ritorno ad una economia industriale come quella che è fiorita nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale.
Il compito, secondo Hardt, dovrebbe essere quello di sviluppare una tecnologia, pari al potere della finanza, che potrebbe fondare uno schema non capitalista, democratico ed equo per la gestione e la distribuzione della ricchezza sociale. Questo richiederebbe l'esame delle pratiche alternative biopolitiche esistenti. Hardt conclude rivisitando la lettura della "Rivoluzione Iraniana", fatta da Michel Foucault, riflettendo sulla gamma di movimenti che sono esplosi a livello globale nel 2011 (Tunisia, Egitto, Spagna, Wall Street), e considerando i modi in cui tali movimenti potrebbero essere considerati come lotte biopolitiche.
Al centro del saggio di Hardt, sta la questione della possibilità di un futuro qualitativamente diverso, in relazione al carattere sempre più anacronistico delle forme di misurabilità quantitativa al cuore del capitalismo. Questa problematica può essere inquadrata come uno dei caratteri sempre più anacronistici del Valore. Anche se Hardt, ad un certo punto, sembra suggerire che la questione della misurabilità sia una funzione della natura di ciò che viene misurato - materiale o immateriale che sia - la questione della misurabilità rimane, fondamentalmente, una questione di commensurabilità. E questo non è un attributo ontologico degli oggetti stessi. Piuttosto, è in funzione della natura del contesto sociale in cui gli oggetti esistono. Nel primo volume del Capitale, Marx osserva che, per Aristotele, le scarpe e le case sono incommensurabili. Di conseguenza, egli non riuscire a trovare un terreno per la loro scambiabilità reciproca. Questo terreno, per Marx, è storicamente specifico e sociale. Ciò che rende commensurabili - scarpe e case - è il valore, una forma storicamente determinata di ricchezza che nulla ha a che fare con le loro proprietà, materiali o immateriali, ma è l'espressione cristallizzata di una forma storicamente determinata di mediazione sociale che, secondo l' analisi di Marx, è costituita da un forma storicamente specifica di lavoro.
La traiettoria del Valore è tale che esso diventa anacronistico e, eppure, al tempo stesso, viene ricostituito come necessario per il sistema. Il concetto per cui il Valore sarebbe un carattere sempre più anacronistico è un argomento centrale per Hardt (anche se il suo uso del termine "valore" non è lo stesso di quello su esposto) e per le sue considerazioni a proposito di un possibile futuro alternativo. La storicizzazione del Valore implica che anche i movimenti contro il capitalismo devono essere considerati storicamente. La questione delle condizioni storiche di rivolta e di rivoluzione non attiene solo alla loro genesi, ma anche al tipo di ordine sociale che potrebbe conseguentemente emergere. Si tratta di una questione storica fondamentale che non può essere semplicemente messa tra parentesi. La mancanza di distanza critica dalle rivolte, e la mancanza di un'indagine sulla natura del nuovo ordine emergente, può essere inteso anche come sintomo di una sorta di disorientamento temporale che, probabilmente, caratterizza la nostra situazione storica.
I diversi tipi di risposta alla crisi attuale variano a seconda del grado in cui accettano l'ordine presente come necessario. Una risposta molto comune nella sfera pubblica, è stata quella di chiedere una migliore regolamentazione degli strumenti finanziari e dei mercati, al fine di contenere i peggiori eccessi del capitalismo da casinò. Ci sono state altre risposte, ad un livello più strutturale, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza e del potere. Lo sviluppo socio-economico negli ultimi tre decenni, ha dimostrato ancora una volta che, senza compensazioni politiche governative, il capitalismo genera crescente disuguaglianza e insicurezza. Questo, a sua volta, ha sollecitato molte risposte socialdemocratiche alla crisi corrente, che chiamano al ritorno di una sorta di sintesi keynesiana / fordista, come quella che ha segnato i decenni del dopoguerra. (...) Ma il consolidamento di quella sintesi, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, dipendeva da condizioni storiche che non sono più presenti.
Ciò solleva la questione di un possibile futuro qualitativamente diverso dall'ordine presente. Questo, come alcuni hanno osservato, richiederebbe una trasformazione radicale, non solo del modo di distribuzione, ma del modo di produzione stesso. Alcuni aspetti della teoria del valore potrebbero contribuire ad illuminare meglio questa problematica. Il concetto, già accennato, per cui il Valore diventa storicamente anacronistico implica che anche il lavoro che crea valore diventa anch'esso anacronistico, pur rimanendo necessario per il capitalismo. Sempre più e più lavoro viene reso superfluo, anche se l'organizzazione della società capitalistica rimane basata sulla sua esistenza. Uno dei risultati, è una sempre più cattiva distribuzione del tempo di lavoro tra un segmento della società sovraccarico di lavoro, da una parte, e un segmento che, dall'altra parte, è essenzialmente senza lavoro. Questa non è più una questione congiunturale, come, forse, era stata durante la Grande Depressione, ma è diventata una questione strutturale.

Queste brevi considerazioni suggeriscono che un futuro che vada oltre il capitalismo richiederebbe una trasformazione fondamentale della divisione del lavoro e che, senza un movimento in quella direzione, un numero crescente di persone verrà reso superfluo, suscettibile di fame, di malattie, e di violenza. Diverrà sempre più oggetto di controllo militarizzato. A questo livello, l'attuale crisi può essere intesa anche come una crisi del lavoro intrecciata, in modo complesso, anche con una crisi dell'ambiente naturale. In questo contesto storico, il vecchio slogan "socialismo o barbarie" acquista nuova urgenza, anche se la nostra comprensione di entrambi i termini è stata radicalmente trasformata.

- Moishe Postone -

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