martedì 12 maggio 2009

uomini essenziali e no



Esisteva, negli anni 70, una sorta di trilogia. Tre libri, usciti per i tipi della PBE (Piccola Biblioteca Einaudi), a firma Eric Hobsbawm (quello che si è fatto una fama con la "storia" (in tutti i sensi) del ... secolo breve. In una sorta di crescendo, i titoli erano: "I banditi", "I ribelli" e "I rivoluzionari"; non necessariamente nell'ordine.
Il professore (che ora va per i novanta), fin dal 1968 (anno per lui infausto assai, in quanto ha avuto il torto di riportare alla ribalta un movimento, quello anarchico, che egli si augurava fosse per sempre sconfitto e scomparso) si è sempre preoccupato di stigmatizzare, con parole oscillanti fra il dileggio e la commiserazione, tutto il portato storico che dall'anarchismo è stato prodotto.Non tralascia niente, per discreditare, per irridere, per mettere in guardia "gli sprovveduti" dalla fascinazione di certe infauste teorie, e pratiche. Non tralasciando nemmeno l'utilizzo della descrizione fisica, a tal fine. Cose del tipo: "benché in effetti fosse meno muscoloso di quanto apparisse", e altre amenità del genere. Non fa uso della calunnia, quasi che, in cuor suo, amasse che certe figure avessero militato dalla parte "giusta", facendo Politica (con la p maiuscola) invece di disperdere le proprie energie in una lotta disperata, già in partenza condannata alla sconfitta.



Così, e in questo modo, si misura su Francisco Sabaté Llopart e sulla sua vita e sulla sua lotta, fino alla morte. Evita, perfino, di riportare certi avvenimenti, come l'esecuzione, da parte di Sabaté, del commissario stalinista mandato a controllare la colonna di cui faceva parte. Fa presto a capire l'andazzo, Sabaté! Torna a Barcellona per partecipare, da "clandestino" alle giornate del maggio '37. Libera un compagno ferito in uno scontro con la polizia (repubblicana, ci fa notare Hobsbawm) e altri quattro uomini, imprigionati dopo l'insurrezione, mentre vengono trasferiti al carcere di Montjuich. Lui stesso, catturato, riesce ad evadere dalla fortezza, aprendosi la strada a fucilate. E' schedato e ricercato. I compagni lo rimandano al fronte, con la 26.ma Divisione Durruti, e con quella rimane fino alla fine della guerra. Passerà il confine fra gli ultimi, e verrà internato in un campo di concentramento. Dopo una breve parentesi con la resistenza francese, già nel 1942 è sul confine, impaziente di entrare in azione. Si crea delle basi, e dei depositi, sul confine fra La Preste e Ceret.
E' la primavera del 1945 quando comincia a muoversi. Strappa un compagno dalle mani della polizia, a Barcellona in pieno centro. Da qui, è un crescendo. Bombe nei consolati latino-americani, come protesta contro un voto all'Onu, lanciò di volantini mediante un bazooka di sua costruzione, irruzioni nei bar per trasmettere col registratore discorsi anti-franchisti. Assalti alle banche per recuperare i soldi necessari alla causa.
Sabaté è imprendibile, ricorre al sistema di avanzare consapevolmente verso i poliziotti che di conseguenza perdono le staffe e cominciano a sparare a casaccio.
I colpi si susseguono, nel 1949 è l'anno della gloria e della catastrofe: i Sabaté si incaricano di procurare i fondi per provvedere alla difesa di alcuni prigionieri. Ma qualcosa va storto e Pepe Sabaté fa fuori un poliziotto che aspettava i fratelli all'ingresso del cinema dove avevano appuntamento. Più tardi la polizia sorprende nel sonno Pepe e José Lopez Penedo. I due, in mutande, sostengono uno scontro a fuoco fra l'ingresso e la sala da pranzo. Penedo muore, Pepe, gravemente ferito, scappa seminudo, attraversa a nuoto il Llobregat, ferma un passante e lo costringe a dargli gli abiti, poi fa altri cinque chilometri a piedi per riuscire in un rifugio sicuro dove viene raggiunto dal fratello che, insieme ad un medico, provvede a riportarlo in Francia.
In marzo, Sabaté col gruppo del Los Manos progettano di far fuori Quintela, capo della Brigata Sociale e torturatore di compagni, ma, per errore, ammazzano solo un paio di falangisti. In marzo unisce le forze con Facerias per mettere delle bombe presso i consolati di Brasile, Perù e Bolivia. Sabatè, ad allarme già dato, ne disinnesca una, con tutta calma, e sposta il congegno ad orologeria per far sì che l'esplosione sia immediata.
Poi piazza altre bombe servendosi di una lenza.
Dopo un periodo in prigione in Francia, accusato di rapina, Sabaté torna a Barcellona. E' il 1955, comincia a pubblicare un foglio, El Combate, e fa un colpo al Banco Central, da solo, servendosi di una bomba finta. Una rapina a "la Cubiertas y Tejados", un'importante ditta tessile, gli frutta un milione di pesetas.
Finisce di nuovo nelle carceri francesi, fino al maggio 1958, ma starà male per molti mesi a causa di una brutta operazione di ulcera. Mette insieme un po' di soldi e un gruppo di uomini, in gran parte inesperti, e parte per il suo ultimo viaggio. E' il 1959.
Il gruppo viene intercettato dalla polizia a pochi chilometri dal confine, forse una soffiata. Il gruppo si disperde. Due giorni dopo, in una cascina isolata, vengono circondati e assediati. Per dodici ore. Quando la luna tramonta, Sabaté fa scappare il bestiame lanciando una bomba a mano, e se la fila in silenzio dopo aver fatto l'ultimo poliziotto. Ma è ferito. Tutti i suoi compagni sono morti. E' il 6 gennaio quando blocca il treno delle 6:20 che da Gerona va a Barcellona. Alla stazione di Fornellas ordina al macchinista di proseguire senza fermarsi. Non è possibile, gli spiegano, da lì tutti i treni passano alla trazione elettrica! Intanto la ferita al piede si è infettata, la febbre brucia. Per fortuna c'è la morfina del suo pronto soccorso, a tenerlo in piedi. Le altre ferite, una di striscio dietro l'orecchio e l'altra una pallottola che è entrata e poi uscita attraverso la spalla, non danno troppa noia. Mangia il pasto dei ferrovieri, da una gavetta. A Massanet si infila nel vagone postale, arriva alla nuova locomotiva elettrica fino alla cabina del macchinista. Ma non si può andare a Barcellona senza tenere conto dell'orario e senza fermarsi: si rischia un incidente. Sabatè capisce che è "arrivato", a San Celoni fa rallentare il treno e salta giù. La polizia è in allarme. Chiede del vino ad un carrettiere, la febbre brucia e arde. Beve a lunghe sorsate, poi, ad una donna, chiede l'indirizzo di un medico. Lo manda da un'altra parte della cittadina, Sabatè sbaglia l'indirizzo ed entra in casa di tale Berenguer che si spaventa vedendo l'uomo ferito, in tuta da idraulico, con una pistola in mano. Si azzuffano. Spuntano due poliziotti. Sabatè morde la mano di Berenguer per liberarsi e prendere la pistola, al mitra non ci arriva. Spara e uccide l'ultimo poliziotto, prima di cadere a sua volta.
Sabaté muore, e anche Hobsbawm non può fare a meno di riconoscerlo - anche se magari per lui non è un riconoscimento: è morto un uomo ... essenziale.

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