domenica 31 maggio 2009

Facciamoci quattro risate!



Si conoscono due maniere di rovesciare la legge morale:

1) Risalendo ai princìpi, si contesta l'ordine della legge come secondario
e si denuncia nella legge un principio di seconda mano che devia o usurpa
una forza o una potenza originale.

Tale maniera è ironica dove l'ironia è un'arte dei princìpi, del ritorno
verso i princìpi e del rovesciamento dei princìpi. Si eleva e sovverte.

2) La legge è tanto meglio rovesciata quanto più si discende verso le
conseguenze, sottomettendovisi con una minuzia troppo perfetta: è a
forza di sposare una legge che un'anima falsamente sottomessa giunge
ad aggirarla.

Humour: arte della conseguenza e delle discese, delle sospensioni e delle
cadute. Si lascia cadere e perverte.

Gilles Deleuze - Logica del Senso -

giovedì 28 maggio 2009

Analogie



Per diventare proprietario di una città abbandonata, bisogna toccarne la porta con la mano, o è sufficiente lanciare da lontano il proprio giavellotto?

Analogie……

Toccare il cuore altrui, con la mano, in un confortevole silenzio, dove non c'è bisogno di parlare, per impressionare o per definire sé stessi?

Continuare a scagliare il giavellotto delle parole fino a colpire il punto magico che apre le porte?

martedì 26 maggio 2009

Anime



"Uomo, due sono le anime
che nel petto chiuse alberghi!
Non voler sceglierne una,
tutt'e due portarle devi!
Resta in lotta con te stesso!
Sdoppia in te le forze tue!
L'anima alta,
l'anima bassa,
l'anima pura,
l'anima impura,
tientele tutt'e due!

- Bertolt Brecht

lunedì 25 maggio 2009

Con un lampo negli occhi



Ne "Il Mucchio Selvaggio", Pike Bishop cade da cavallo, una seconda volta, subito dopo che la stessa sorte è toccata a tutti gli altri uomini del "mucchio", durante l'attraversamento del deserto.. Una sorta di crollo collettivo, enfatizzato dall'utilizzo del "ralenti". Come un mondo ormai superato, incapace di tenersi in piedi da solo. Anche Dutch, rischierà di finire sotto le ruote del treno, salvato dall'intervento deciso di Angel. Il nuovo ordine travolge tutto e inutilmente cercheranno di rimanere aggrappati alla ... mitragliatrice, il simbolo micidiale di un mondo nuovo, nella scena finale.
I personaggi di Peckinpah cadono, o gli cade la pistola, come a Yellowleg, ne "La morte cavalca a Rio Bravo". Lo sceriffo Judd, in "Sfida nell'alta sierra", rischia di essere travolto da un auto. Il maggiore Dundee verrà ridotto all'inattività da una freccia nella gamba. Cable Hogue muore, schiacciato da un auto che si illudeva di riuscire a fermare con le mani, parandovisi di fronte, come si fa con i cavalli. Billy the Kid viene disarcionato dal cavallo, proprio in mezzo alla folla di cittadini inerti, mentra si appresta ad uscire da Lincoln, dopo essere evaso. Come, del resto, McCoy, in "Getaway", viene sbalzato dall'auto sgommante, guidata dalla moglie.
Cadono, e non lo fanno di buon grado. Perché non accettano di ... decadere!

domenica 24 maggio 2009

I vivi e i morti



"I dati preliminari dell'inchiesta indicano che il suicidio è stato provocato da motivi d'ordine puramente personale" - Così recita il rapporto ufficiale!

A questo, aveva già risposto lo stesso Majakovskij nella sua autobiografia: "L'intera vita quotidiana attraverso motivi personali"!

"Non si devono sottomettere ai gretti umori personali gli interessi di una grande causa" - così erudisce il defunto Bela Kun!

Ma Majakovskij aveva già anticipatamente obiettato:
"Questo tema personale e gretto
più d'una volta rimasticato
l'ho rigirato come un sisifo poetico
e voglio rigirarlo ancora"

Il corsivista Kol'cov si affretta a dichiarare: "Majakovskij era pieno fin sopra i capelli delle sue faccende pratiche, letterarie e politiche. A sparare è stato un altro, una persona casuale, che dominò per un certo tempo la psiche indebolita del poeta militante e rivoluzionario. Un temporaneo accumularsi di circostanze"

E ancora Majakovskij, e una sua vecchia "risposta":
"E' dannoso il sogno
Ed è inutile fantasticare
bisogna sopportare la noia del lavoro
Ma capita che la vita si mostri sotto un altro profilo
e le cose grandi le capisci attraverso una sciocchezza"

Così, ancora continua a risuonare, quel colpo di pistola nel vicolo Lubjanskij, di mattina.
Dico, di mattina!!!
E la lettera, scritta due giorni prima. Dico, due giorni sono più che sufficienti. La barca dell'amore era ancora un po' più al largo del dolore. C'era tempo!
C'erano quelle parole:

"Lilja amami. Non dimenticarmi, difendimi, non abbandonarmi nemmeno quando sarò morto. Anche allora ,come quand'ero in vita, voglio essere il primo nella tua coscienza"

Inutili.

venerdì 22 maggio 2009

Linea di Condotta



Forse avrei dovuto intitolarlo "la mia libertà", questo pezzo di blog. Come la canzone del mio amico, cui forse per certi versi assomiglia. Ma poi mi ritrovo ad interrogarmi sulle parole e sul loro significato; "amico", "assomiglia" ... E non tiro fuori più un ragno dal proverbiale buco!
No, aspetta, fermi tutti. Non so che cosa io stia facendo, disponendomi a scrivere questa cosa, ma non è - credo - né una domanda, né una confessione (due cose che poi, nei fatti, coincidono spesso). Sono solo io.
Dicevo, non so ma magari questa è solo (ho detto "solo"!!??!!) una "lettera aperta" ai miei "cosiddetti" amici (ho virgolettato "cosiddetti", e non "amici") che magari leggono 'sto blog, e magari si fanno delle domande su di me, sulla mia vita, sulle mie scelte, pensandomi in qualche modo.
Sì, lo so, è la prima volta, e forse non dovrei che, così facendo, mi rovino l'immagine (qui, internettianamente, ci andrebbe la faccina che sorride ammiccante!). E poi, gli amici, quelli veri, non si fanno mai domande su di te! Almeno, così funzionava una volta. E forse funziona ancora così, ed è per questo che oggi siamo tutti davvero un po' più soli ...Pazienza.
Ma procediamo con metodo, e ... per categorie. Credo che ciascuno abbia le sue, di categorie, nel senso di una coppia contrapposta (qualcosa come tipo bello/brutto, buono/cattivo) da usare per aggredire la realtà, per conoscerla, per poterla vivere e per comportarsi. Magari mi sbaglio, e vale solo per me, ma io mi affido alla coppia giusto/sbagliato! Non so più nemmeno da quanto, almeno da quando mi ricordo. Colpa di quelle persone, poche, che hanno esercitato il loro influsso su di me, a partire da mio padre. Così ho cominciato presto; e non ho ancora smesso. Non credo di poterlo fare.
E qui il discorso si inceppa, mentre il portacenere si riempie.
Giusto/sbagliato è una coppia che funziona ancora, solo che, nella mia testa, e nel mio cuore, le percentuali non sono più le stesse, rispetto ad altri anni della mia vita.
Il giusto appare meno giusto, e lo sbagliato meno sbagliato, ma non può essere una giustificazione, questa, per non fare quello che è giusto. Quello che si sa essere tale.
Ragion per cui, lo si fa, e ci si pensa dopo! Bisogna assumersi la responsabilità. Di quello che si pensa, di quello che si sa, in una parola, di quello che si è.
"Io, Corbari, ho ucciso il fascista mio amico. L'amicizia a volte confonde. Ed io voglio assumermi le mie responsabilità", si parva licet, credo che queste parole, pronunciate da Silvio Corbari, possano rendere l'idea. Scelgo, e me ne assumo le responsabilità. Anche di creare dolore, di darlo e di subirlo. Poi continuo a camminare su questo mio crinale che divide il giusto dall'ingiusto, e conto e guardo i miei fantasmi. Sì, mi arrogo il diritto di scegliere cos'è giusto, ed il diritto di spazzare via l'ingiusto dalla mia vita.
Poi, i fantasmi rimangono, con le loro flebili voci, a ricordarmi il prezzo pagato.
A me sta bene così!

mercoledì 20 maggio 2009

Diventare



"Farsi il proprio letto, l'opposto di far carriera, non essere un istrione delle identificazioni, né il freddo dottore delle distanze. Se uno da sé si fa il letto e vi si corica, nessuno verrà a rimboccargli le coperte. Troppa gente vuole essere rimboccata, o da una gran mamma identificatrice, o dal medico sociale delle distanze. Sì, sì, che i folli, i nevrotici, gli alcoolisti, i drogati, i contagiosi, se la cavino come possono, la nostra simpatia significa anche che questo non è affar nostro. Bisogna che ciascuno percorra la sua strada. Ma esserne capaci, questo sì che è difficile."

Gilles Deleuze - Conversazioni -

martedì 19 maggio 2009

Morire dentro!



Se non ricordo male, la prima volta che lo lessi avevo assai meno anni di adesso ed era stato pubblicato - credo - da una casa editrice che non esiste più. Un libro strano, per l'epoca, come strano è sempre stato il suo autore, Robert Silverberg. Sempre stanco, deluso, arrabbiato col mondo del fandom fantascientifico, sempre a minacciare di abbandonare il "genere", e sempre pronto a tornarci a scrivere. Un libro cupo, questo "Morire Dentro" (Dying Inside), e per molti versi di una sua attualità inquietante, oggi in questo mondo informatizzato dove i pensieri di tutti sono rintracciabili sulla grande rete, pronti ad aprirsi davanti alla mente di chi li vuol sapere!

Il protagonista, David Selig, è un fallito. Un uomo che, a quarant'anni, ha fallito tutto: la professione universitaria, la vita affettiva. Schiacciato dal suo potere, la capacità di leggere i pensieri altrui, che lo ha condizionato fin da bambino, facendogli sperimentare, con chiarezza accecante, debolezze e ipocrisie dei genitori, la mediocrità degli insegnanti, l'astio della sorella, il timore e il disgusto delle amanti. A quarant'anni, Selig si ritroverà senza una lira in tasca, incapace com'è di usare il suo potere per arricchirsi, e, in più, con la consapevolezza di star perdendo le sue capacità. E comincerà a morire. Morire dentro, aggrappandosi ai ricordi più intensi della sua vita.

Morire dentro di Robert Silverberg (Dying Inside, 1972)
Fazi Editore, collana Le Strade 122, pag. 285, euro 16,50.

lunedì 18 maggio 2009

piene le scatole!



L'evaso; tit.originale: “La veuve Couderc”, Francia - Italia, 1971, colore, 88’ di Pierre Granire-Deferre, con Alain Delon, Simone Signoret, Ottavia Piccolo

Il film è tratto da un celebre romanzo di George Simenon che si ispirò ad una storia di cronaca: nel 1922 Jean Levigne uccise due alte personalità durante una manifestazione pubblica e spiegò il suo gesto davanti al giudice affermando: "Ne avevo piene le scatole".

Evaso dalla Cayenna, Jean Lavigne raggiunge la Francia e trova lavoro nella fattoria della vedova Couderc. La differenza d'età non gli impedisce di diventare l'amante della donna, suscitando pettegolezzi in paese e, soprattutto, la grande preoccupazione degli avidi cognati della vedova che denunciano la presenza dell'evaso alla polizia determinando così l'epilogo della vicenda.

domenica 17 maggio 2009

Leggete questo Libro!



« Cinquemila rifugiati, decisi a riprendere le armi contro i tedeschi, si arruolarono nei "Bataillons de Marche" della Legione Straniera », così Pietro Ramella scrive a proposito dei protagonisti della "Retirada" del 1939, nel suo libro.
Mezzo milione di miliziani che attraversarono la frontiera con la Francia. Gli ultimi saranno i combattenti della Colonna Durruti che coprirono, ultimo baluardo, la marcia degli esuli.
Ancora, di questi ultimi combattenti, molti attraverseranno il "Ponte di Llivia" per la Francia, mentre alcuni riusciranno a superare le linee franchiste senza essere visti, consegnandosi alla clandestinità. Per tutti gli altri ci saranno i campi di concentramento francesi - veri e propri "inferni sulla sabbia" - ed anche i campi nel nord-africa, per i più "facinorosi".
Gran parte di questi uomini andrà a costituire l'ossatura della Resistenza contro il nazi-fascismo, in tutte le parti dell'Europa e non solo. Senza di loro niente sarebbe stato possibile!

Tutto questo si può leggere nel libro di Pietro Ramella, La retirada. L'odissea di 500.000 repubblicani spagnoli esuli dopo la guerra civile (1939-1945) che, ad onore dell'autore, può essere scaricato liberamente dalla rete.

venerdì 15 maggio 2009

arguzia



"Il fine di uno scherzo non è quello di degradare l'essere umano ma di ricordargli che è già degradato."

George Orwell

giovedì 14 maggio 2009

parole d'amore



"Tu, deliziata da ogni uomo

se mai leggerai questi versi
pensa all'uomo che li scrisse

odiava il mondo per tuo conto"

Leonard Cohen

mercoledì 13 maggio 2009

macchine



A.M.T. (1912 - 1954)

E' cosa certa, che egli non lesse mai un giornale; che i suoi guanti
di lana se li lavorava a maglia da sé; che costantemente perdeva
valige, libri, cappotti; e che, qualora interrompesse a tavola il suo
caparbio mutismo, irrompeva in uno stridulo balbettio o rideva
gracchiando. I suoi occhi erano di un blu sfavillante e inorganico,
come il vetro dipinto.

Bene. Immaginiamo ora un automa universale A in grado di simulare
qualsiasi altro automa An. A è una cassetta nera in cui
viene introdotto un nastro di carta di lunghezza infinita; per la
macchina questa banda è il mondo esteriore. Essa è suddivisa
in campi, ciascuno dei quali è o vuoto o marcato come un segno.
Ora immaginiamo che A legga pazientemente un campo dopo
l'altro, spostando di volta in volta la banda avanti o indietro di
un campo, e/o cancellando e/o marcando un segno; questo
apparecchio lo chiameremo, in onore del suo inventore, una
macchina di Turing.

Sappiamo inoltre che prese molta cura a isolarsi; che vestiva da
straccione, viaggiava in terza, dormiva nelle locande. Evidentemente
si dava da fare per togliersi di mezzo. Una notte, nella
sua casa di campagna, una catapecchia, come in un romanzo di
Agatha C., per sbaglio forse, si avvelenò con il cianuro di potassio.
Ogni riferimento a persone esistite o esistenti è puramente
casuale.

E' inoltre assodato, che ogni automa specifico, sia che calcoli le
orbite dei satelliti, sia che scriva mazurche o che produca a sua
volta automi, non è che una condizione An di A. Ciò vale anche
nel caso che A, sia grande il doppio o x-volte più complicato
di A.

Le ruote dentate se le fabbricava da sé, al tornio, in cantina.
Disgustato dai pubblici mezzi di trasporto percorreva spesso
parecchie miglia a piedi. Radio e altri apparecchi soleva ripararli
con lo spago. Il servizio segreto lo apprezzava perché sapeva
interpretare qualunque codice. A dir vero, era affetto da frequenti
svenimenti, per lo più senza causa apparente.

Siamo perfettamente consapevoli che è impossibile specificare
a priori e senza lacune, quali soluzioni l'automa può e quali
non può fornire. In ogni sistema chiuso di una certa complessità
vi sono proposizioni indeterminabili. Può sembrare bizzarro,
ma il fatto è che la prova non può essere fornita che dalla prova.
Del resto noi riteniamo che l'automa universale abbia una
portata infinita, e che non sia mai stato costruito.

A parte ciò soleva pedalare sotto la pioggia; in tali occasioni
trovava pratico attaccarsi alla cintura una sveglia da cucina e
indossare una maschera antigas; quella per essere sempre puntuale,
questa per timore del raffreddore da fieno, in quanto soffriva
d'asma; questo, quantomeno, è un tratto umano, tranquillizzante.
Per quale motivo evitò sempre di toccare la pelle di altre
persone, di qualunque sesso, noi lo ignoriamo assolutamente.

Per quanto concerne però la macchina di Turing, proponiamo
di fare un esperimento. Uno di noi - lo chiameremo B - si collega
ad essa (tramite terminale e telescrivente). C, un censore,
sorveglia il dialogo. A simula una persona e lo stesso vale per
B; ora tocca a C decidere quale dei due è la persona e quale la
macchina. Questo schema di esperimento, lo chiameremo, in
onere del suo inventore, gioco di Turing.

Si possono realizzare capolavori nell'arte degli automi anche
senza aver eseguito o azionato un'unica macchina, così come si
possono reperire metodi per calcolare l'orbita di un astro che
nessuno ha mai visto. (Condorcet)

Ogni volta, quindi, che la macchina si rivela tale (sia compiendo
un errore, sia, all'inverso, non compiendo un errore), essa
emenda il proprio programma. Essa apprende continuamente.
Sorge la domanda, come finirà la partita. Noi non rispondiamo
a questa domanda, tuttavia riteniamo che il gioco possa durare
molto a lungo e che non sia mai stato giocato.

Pare comunque impossibile tacitare quelle voci secondo le quali
di tanto in tanto lo si vedrebbe, lui o il suo simulacro, specie in
alcune umide giornate d'ottobre, nei pressi di Cambridge, attraverso
i campi di stoppe, correre nella nebbia secondo un imprevedibile
itinerario a zig-zag.

H.M. Enzensberger - Mausoleum -

martedì 12 maggio 2009

uomini essenziali e no



Esisteva, negli anni 70, una sorta di trilogia. Tre libri, usciti per i tipi della PBE (Piccola Biblioteca Einaudi), a firma Eric Hobsbawm (quello che si è fatto una fama con la "storia" (in tutti i sensi) del ... secolo breve. In una sorta di crescendo, i titoli erano: "I banditi", "I ribelli" e "I rivoluzionari"; non necessariamente nell'ordine.
Il professore (che ora va per i novanta), fin dal 1968 (anno per lui infausto assai, in quanto ha avuto il torto di riportare alla ribalta un movimento, quello anarchico, che egli si augurava fosse per sempre sconfitto e scomparso) si è sempre preoccupato di stigmatizzare, con parole oscillanti fra il dileggio e la commiserazione, tutto il portato storico che dall'anarchismo è stato prodotto.Non tralascia niente, per discreditare, per irridere, per mettere in guardia "gli sprovveduti" dalla fascinazione di certe infauste teorie, e pratiche. Non tralasciando nemmeno l'utilizzo della descrizione fisica, a tal fine. Cose del tipo: "benché in effetti fosse meno muscoloso di quanto apparisse", e altre amenità del genere. Non fa uso della calunnia, quasi che, in cuor suo, amasse che certe figure avessero militato dalla parte "giusta", facendo Politica (con la p maiuscola) invece di disperdere le proprie energie in una lotta disperata, già in partenza condannata alla sconfitta.



Così, e in questo modo, si misura su Francisco Sabaté Llopart e sulla sua vita e sulla sua lotta, fino alla morte. Evita, perfino, di riportare certi avvenimenti, come l'esecuzione, da parte di Sabaté, del commissario stalinista mandato a controllare la colonna di cui faceva parte. Fa presto a capire l'andazzo, Sabaté! Torna a Barcellona per partecipare, da "clandestino" alle giornate del maggio '37. Libera un compagno ferito in uno scontro con la polizia (repubblicana, ci fa notare Hobsbawm) e altri quattro uomini, imprigionati dopo l'insurrezione, mentre vengono trasferiti al carcere di Montjuich. Lui stesso, catturato, riesce ad evadere dalla fortezza, aprendosi la strada a fucilate. E' schedato e ricercato. I compagni lo rimandano al fronte, con la 26.ma Divisione Durruti, e con quella rimane fino alla fine della guerra. Passerà il confine fra gli ultimi, e verrà internato in un campo di concentramento. Dopo una breve parentesi con la resistenza francese, già nel 1942 è sul confine, impaziente di entrare in azione. Si crea delle basi, e dei depositi, sul confine fra La Preste e Ceret.
E' la primavera del 1945 quando comincia a muoversi. Strappa un compagno dalle mani della polizia, a Barcellona in pieno centro. Da qui, è un crescendo. Bombe nei consolati latino-americani, come protesta contro un voto all'Onu, lanciò di volantini mediante un bazooka di sua costruzione, irruzioni nei bar per trasmettere col registratore discorsi anti-franchisti. Assalti alle banche per recuperare i soldi necessari alla causa.
Sabaté è imprendibile, ricorre al sistema di avanzare consapevolmente verso i poliziotti che di conseguenza perdono le staffe e cominciano a sparare a casaccio.
I colpi si susseguono, nel 1949 è l'anno della gloria e della catastrofe: i Sabaté si incaricano di procurare i fondi per provvedere alla difesa di alcuni prigionieri. Ma qualcosa va storto e Pepe Sabaté fa fuori un poliziotto che aspettava i fratelli all'ingresso del cinema dove avevano appuntamento. Più tardi la polizia sorprende nel sonno Pepe e José Lopez Penedo. I due, in mutande, sostengono uno scontro a fuoco fra l'ingresso e la sala da pranzo. Penedo muore, Pepe, gravemente ferito, scappa seminudo, attraversa a nuoto il Llobregat, ferma un passante e lo costringe a dargli gli abiti, poi fa altri cinque chilometri a piedi per riuscire in un rifugio sicuro dove viene raggiunto dal fratello che, insieme ad un medico, provvede a riportarlo in Francia.
In marzo, Sabaté col gruppo del Los Manos progettano di far fuori Quintela, capo della Brigata Sociale e torturatore di compagni, ma, per errore, ammazzano solo un paio di falangisti. In marzo unisce le forze con Facerias per mettere delle bombe presso i consolati di Brasile, Perù e Bolivia. Sabatè, ad allarme già dato, ne disinnesca una, con tutta calma, e sposta il congegno ad orologeria per far sì che l'esplosione sia immediata.
Poi piazza altre bombe servendosi di una lenza.
Dopo un periodo in prigione in Francia, accusato di rapina, Sabaté torna a Barcellona. E' il 1955, comincia a pubblicare un foglio, El Combate, e fa un colpo al Banco Central, da solo, servendosi di una bomba finta. Una rapina a "la Cubiertas y Tejados", un'importante ditta tessile, gli frutta un milione di pesetas.
Finisce di nuovo nelle carceri francesi, fino al maggio 1958, ma starà male per molti mesi a causa di una brutta operazione di ulcera. Mette insieme un po' di soldi e un gruppo di uomini, in gran parte inesperti, e parte per il suo ultimo viaggio. E' il 1959.
Il gruppo viene intercettato dalla polizia a pochi chilometri dal confine, forse una soffiata. Il gruppo si disperde. Due giorni dopo, in una cascina isolata, vengono circondati e assediati. Per dodici ore. Quando la luna tramonta, Sabaté fa scappare il bestiame lanciando una bomba a mano, e se la fila in silenzio dopo aver fatto l'ultimo poliziotto. Ma è ferito. Tutti i suoi compagni sono morti. E' il 6 gennaio quando blocca il treno delle 6:20 che da Gerona va a Barcellona. Alla stazione di Fornellas ordina al macchinista di proseguire senza fermarsi. Non è possibile, gli spiegano, da lì tutti i treni passano alla trazione elettrica! Intanto la ferita al piede si è infettata, la febbre brucia. Per fortuna c'è la morfina del suo pronto soccorso, a tenerlo in piedi. Le altre ferite, una di striscio dietro l'orecchio e l'altra una pallottola che è entrata e poi uscita attraverso la spalla, non danno troppa noia. Mangia il pasto dei ferrovieri, da una gavetta. A Massanet si infila nel vagone postale, arriva alla nuova locomotiva elettrica fino alla cabina del macchinista. Ma non si può andare a Barcellona senza tenere conto dell'orario e senza fermarsi: si rischia un incidente. Sabatè capisce che è "arrivato", a San Celoni fa rallentare il treno e salta giù. La polizia è in allarme. Chiede del vino ad un carrettiere, la febbre brucia e arde. Beve a lunghe sorsate, poi, ad una donna, chiede l'indirizzo di un medico. Lo manda da un'altra parte della cittadina, Sabatè sbaglia l'indirizzo ed entra in casa di tale Berenguer che si spaventa vedendo l'uomo ferito, in tuta da idraulico, con una pistola in mano. Si azzuffano. Spuntano due poliziotti. Sabatè morde la mano di Berenguer per liberarsi e prendere la pistola, al mitra non ci arriva. Spara e uccide l'ultimo poliziotto, prima di cadere a sua volta.
Sabaté muore, e anche Hobsbawm non può fare a meno di riconoscerlo - anche se magari per lui non è un riconoscimento: è morto un uomo ... essenziale.

lunedì 11 maggio 2009

fiori



C'è un cartello, all'ingresso del parco della cittadina francese di Tarbes, che recita: "E' vietato entrare nel giardino con in mano dei fiori". ..

domenica 10 maggio 2009

tentazioni



"Benjamin Péret rimase incorruttibile. Resistette a tutte le sconfitte e, cosa ancora più eroica, a tutte le tentazioni. E non parlo solo delle tentazioni più facili, e più volgari - il potere, la gloria, il denaro - ma perfino alla tentazione più insidiosa e segreta: quella del nichilismo"

Octavio Paz

sabato 9 maggio 2009

Povero Pinelli



Davvero singolare, o forse no. Come dire, dopo quarant'anni, tutto si ricompone. Le vedove, da una parte, dall'altra il presidente, già ministro dell'interno, e prima ancora membro della direzione del Partito Comunista, in quel 1969. Quello stesso partito, a proposito del quale ci informa Pellegrino, della commissione stragi, che:

"Sapevano benissimo anche i capi del Partito Comunista, troppo intelligenti per non capire. Non parlarono per senso di responsabilità. Se avessero raccontato i retroscena di quella strage cosa sarebbe accaduto? I Feltrinelli, i Curcio e altri esaltati come loro si sarebbero moltiplicati. Non avremmo assistito a una guerra civile a bassa intensità, ma ad un vero e proprio scontro aperto."

Non c'è male! Dopo aver indirizzato giornali e magistratura verso la cosiddetta "pista anarchica", cosa che ebbe come risultato, fra l'altro, la defenestrazione di Giuseppe Pinelli, e dopo aver messo le mani, e gli occhi, in qualità di ministro degli interni, su tutto il materiale riguardante la strage di Piazza Fontana, senza proferire mai nessuna parola in proposito (da fedele servitore dello Stato, quale sempre è stato!), adesso ottiene la quadratura del cerchio, di concerto con le vedove: non è successo nulla, il passato è sepolto, la stagione è chiusa, Pinelli purtroppo non sapeva volare, e ... forse è morto di freddo.
Anche la vedova ora è d'accordo. E la stagione dell'odio è finita, e bisogna essere sgombri da ogni sentimento di rancore.
Ovviamente, il discorso non vale per Cesare Battisti. Lui non è stato buono, e non si è limitato a ... dissentire, come faceva il povero Pinelli.
Ammazzato, per l'ennesima volta!

giovedì 7 maggio 2009

debiti



Non amo troppo le commemorazioni. Mi fanno sentire come se si fosse costretti a ricordare persone e cose che, invece, ti riaffiorano alla mente più volte e al di fuori di qualsiasi scadenza.
Si ricorda per mille motivi, si ricorda nella misura in cui si dimentica, di modo che le cose, le facce, i fatti, possano tornare alla mente. Riprendono vita, e lo fanno grazie a qualcosa che non attiene direttamente. Incidentalmente. Una musica, un odore, un refolo di vento.
Tutto serve, e tutto congiura, per la cerimonia del ricordo!
Franco Serantini - sono trentasette anni - mi è capitato di ricordarlo spesso. Devo ammettere che ho ben pochi ricordi di Serantini da vivo. Praticamente, uno solo che risale a poco tempo prima della sua morte: in una sede politica, ad Empoli, ebbi con lui un piccolo scazzo a proposito del sostenere o meno la candidatura Valpreda nelle liste del "Manifesto". Lui sosteneva che era una scelta da praticare. Non ero d'accordo, e glielo feci notare. La discussione si fece dura. E mi lasciò un'immagine che ancora, ogni tanto riaffiora, quella di due occhi condannati ad un'espressione triste.

Impedire i comizi fascisti. In quei giorni, era tutto un rincorrere ... il nemico, qui in Toscana. Pistoia, Prato. Dappertutto. Ci fu la giornata straordinaria del 4 maggio a Firenze, con le molotov che piovevano dai tetti di Via Calzaiuoli e la città in mano a chi era sceso in piazza per impedire il comizio di Almirante. Intere sezioni del PCI che contravvenivano agli ordini delle segreterie. Gli autisti dell'ATAF che ci consegnavano gli autobus, spontaneamente, per farne delle barricate. La famigerata celere di Padova in fuga, dopo che il loro comandante era stato colpito in faccia da un sanpietrino. Giornate memorabili. Ma anche giornate di compagni arrestati. Fabio, a Pistoia. Luca, a Prato. Ed altri, molti altri, troppi, forse. Ne valeva la pena. Non so, credo di sì.
"Ci si va, perché ci si crede" - così ebbe a dire Franco al funzionario che lo interrogava ...
Ci si crede, e ci si muore!
La notizia fu "come uno sparo in un pianoro", e ricordo le giornate concitate e senza sonno
- come ce n'erano state prima, come ce ne sarebbero state dopo - come ricordo la bara, e il funerale. Stajano, nel suo libro "Il sovversivo", li paragona ai funerali di Durruti (raccontati da Kaminski in "Quelli di Barcellona"), ma sbaglia! Tanto caotici, spagnoli e anarchici quelli, tanto terribili, minacciosi e quasi-militari questi!
Un corteo di tremila persone, silenzioso, muto, che attraversava la città.
Incuteva quasi terrore.
In testa, sulla sua sedia a rotelle "guadagnatosi" alla Bussola quasi tre anni prima, Soriano Ceccanti. La bara, portata a spalle dai compagni che si davano il cambio, ad attraversare la città di Pisa, il suo centro, fino alla periferia, al viale che conduce al cimitero, quasi sull'autostrada, fin dentro il cimitero. Senza mai che dalle file si levasse un solo slogan.
Un corteo, fatto quasi in apnea.
Un corteo come un debito da pagare, con facce, bandiere e denti stretti.
E poche frasi, come pianto, da dire prima che la terra ricoprisse il prezioso fardello che avevamo trasportato per chilometri.

E forse ... "avrei preferito indire una mattinata di supposizioni". Piuttosto!

mercoledì 6 maggio 2009

orgasmo



W.R. (1897-1957)

Quella volta, nell'estate del '37, pare fosse stato quasi felice.
Notti bianche in barca nel fjord di Oslo, oppure insieme a Sigurd
a Nic e ad Arnulf nel Teatercafé, davanti all'acquavite dorata:
il violinista suonava il Bolero di Ravel, gli avventori
bisbigliavano:

E' lui! Certo che avevano ragione, certo che era
matto, uno storpio che si scagliava contro il mondo, si scagliava
contro
gli amici, costringendoli alla fuga: confessioni, nero su bianco
(oh ombra di Stalin) strappava dalle loro bocche (traditori),

e i fogli li chiudeva a chiave nello scrittoio. (sì, possiamo anche
chiamarla paranoia). Tra mille anni mi comprenderete.
Cosa significa dopotutto: un ribelle? Egli avrebbe preferito
essere
tra coloro che sorridono. Come un bambino che acchiappa una
mosca

e avvicina al pugno chiuso l'orecchio: ciò che egli stringeva
in mano
palpitava e sembrava vivere. Esso pulsava, L'Es. Pure nessuno
voleva credergli. Ecco quindi le prove! Contatori Geiger,
cronometri, microscopi. Il Faraday dell'orgasmo,

un guru, un dilettante, giunse alla seguente diagnosi:
E' l'amore che provoca ogni cosa, esso è misurabile,
di colore azzurro, muove gli astri, le rane,
le nubi. (Quel fremito nella sua testa di bambino non
scomparve mai.

Una proprietà nella Bukowina. Falò, carrettiere polverose,
il rumore delle trebbiatrici. Nella villa, misteri d'alcova,
un suicidio nello stagno delle carpe, e poi, per tutta la vita,
quel prurito sotto la pelle, l'eczema del ricordo).

Amava l'uniforme verde, galloni e speroni dell'asburgico impero,
amava garofani, diplomi, onoranze, il suo camice bianco,
si vedeva in sogno incedere attraverso il Brandenburger Tor,
in trionfo, su un cavallo bianco, al suono dei clarinetti di Ravel.

Unter dem Banner der Marxismus *: quaderni ingialliti. Sul serio
lottava contro l'oppressione, fu anche d'aiuto a molti,
ma quando sua figlia di due anni intonò O Tannenbaum
la schiaffeggiò e prese a cantare l'Internazionale.

Il seguito fu solo gergo, science fiction. Bolle vitali
contro la peste emotiva. Vegeto-bio-orgon-energetica, ovvero:
L'orgasmo è l'orgasmo è l'orgasmo.
Le donne rimasero cuoche, dattilografe, cavie.

Fuori celluloide, dentro la lana di vetro, trucioli di ferro. Prese
d'aria
nel coperchio. L'accumulatore raccoglie la forza miracolosa,
i raggi della salvazione. Eccitati prendono posto ragazze
e studenti nel feretro eretto. L'esperimento comincia.

Il polso è più rapido, il termometro sale: una prova!
egli appende ovunque la scritta: It can be done! Le radiazioni
dell'amore
avviano motori, portano la pioggia e curano tutto: il cancro,
la schizofrenia, le tracce della bomba a idrogeno ...

Poi però muoiono i topi in cantina, sbattendo gli occhi arrossati
gli alunni strisciano fuori dalle scatole, e vomitano,
chissà perché tutto è andato storto, e quando egli si agita,
ricompare l'eczema, e beve smisuratamente, e fuma,

e tossisce, squassato da attacchi cardiaci, mentre le invenzioni
gli vengono sottratte, le donne lo tradiscono, ed egli teme
incendi, spie, temporali e rapitori.
Ridono di lui, lo zittiscono a morte. Di chi la colpa?

E' la mafia degli scienziati, è la caccia alle streghe (ciarlatano,
pornografo, giudeo), sono i bolscevichi, da ogni parte
spuntano agenti, è una congiura, si minacciano perquisizioni
domiciliari, i libri vengono bruciati: Blackout.

Dal cosmo il nemico sopraggiunge con dischi volanti,
i loro scappamenti anneriscono i monti, ammorbano tutto.
TOP SECRET!
Chiacchiere. Se non intervenisse lui con le sue armi miracolose ...
La prima battaglia per la conquista dell'universo ... Egli, lo
scopritore,

condotto in manette, rifiuta di fornire qualsiasi informazione.
La sua arringa è caotica, egli s'inceppa, infine ammutolisce.
Oh dottor Mabuse! Oh maniaco della redenzione! Oh
Rosacroce del coito!
Oh zampognaro della scienza! Oh ventriloquo di Cristo!

Oh infermo infermiere dell'umanità! Oh mistico tecnocrate!
Oh cabalista da film dell'orrore! Oh rudere di liberatore!
Sulla prigione incrociano i bombardieri, stonati, terribilmente
stonati suonano presso la tomba i clarinetti, è stato tutto invano.

H. M. ENZENSBERGER - Mausoleum -

* - Unter dem Banner der Marxismus (Sotto la bandiera del marxismo) era il nome di una rivista teorica del Partito comunista, pubblicata in tedesco, dal 1925 al 1936; il suo equivalente in russo si chiamava Pod znamenem marksizma. Reich era collaboratore dell'edizione tedesca.

martedì 5 maggio 2009

strade



Dev'essere un segno di vecchiaia, di quella vecchiaia che non cede alla vecchiezza, il mio, ma mi succede ancora di non riuscire a capacitarmi, a volte, delle parole udite, scritte, pronunciate. La giovinezza - mi dico - sta nel non riuscire a capacitarmi; mentre la vecchiaia - invece - sta nel lasciarmi andare a riconsiderare i ricordi, a lasciarli scorrere davanti alla mente, e curarmene. Una bega, piccola, fatta di arnesi vecchi (e non solo i miei), una bega fatta di parole, scontri di punti di vista fra realismo e purezza (che, poi, non corrispondono quasi mai alla rispettiva realtà), inalberamenti, accuse vecchie, con cui rispondere alle critiche, altrettanto vecchie. Le accuse - dicevo - non personali, bensì alla mia "generazione" che avrebbe perso per l'incapacità di coniugare ragionamenti e astuzia, preoccupati solo di salvaguardare una sorta di "purezza ideale" che, in realtà, sarebbe stata solo il termometro della nostra presunta incapacità a fare altro, anzi, meglio, "a sporcarsi le mani". Così - la generazione, dico - continuerebbe a inanellare accuse di opportunismo (questa è mia) e di gradualismo (questa non è mia!) al solo scopo di mascherare un'incapacità di fondo che ci ha fatto "perdere" e che, se non resa inoffensiva, farebbe ri-perdere quelle magnifiche sorti e progressive, cui tutti uniti e tutti insieme siamo destinati, con le mani sporche di quello che serve...
C'era un tale, di Lotta Continua, lo chiamavano Antoine, per via dei suoi capelli lunghi, non ricordo il nome, che argomentava spesso - era il 1972 - a proposito della sua (e, ovviamente, della'organizzazione di cui era parte) capacità di "far politica". Lo considerava un valore!
Eccoli, i maledetti ricordi.
Poi, mi sono ricordato di un altra cosa, di una piazza, anzi di un piazzale. Piazzale Marconi, a Siracusa, a pochi metri dalle vestigia dell'antico foro romano. Piazzale Marconi, chiamato da tutti "Puzzu 'ngigneri", chissamai perché!? Puzzu 'Ngigneri, i braccianti si alzavano che era ancora buio, per arrivarci all'alba, molti a piedi, qualcuno in bicicletta. E si disponevano, in riga, sperando di essere scelti dal capu-ghiumma, che poi li avrebbe avviati al lavoro dei campi, per una paga da fame. Sarebbero andati a spenderla, la sera, da Pillicciu, nei vicoli dietro il carcere di Ortigia, per un pasto di uova sode, puppu e vinu! Da Puzzu 'Ngigneri la prima volta che mi capitò di passarci con mio padre - andavamo a pescare - non avevo molti anni. Gli chiesi chi fossero, e cosa facevano.
La mia prima lezione ... di classe. Avrei dato l'esame, in una fredda mattina di dicembre, qualche anno dopo. A picchettare un liceo, con le lacrime agli occhi.
Sì, certo, abbiamo perso dopo, anche mentre credevamo di stare vincendo. Abbiamo perso, e abbiamo talmente condizionato quelli che adesso vorrebbero vincere, che adesso - evidentemente - pur di non perdere si accontenterebbero di assai meno, anche di un pareggio!
Chiedono "meno morti sul lavoro", e non riesco a non considerarli poveri epigoni del pci e dei suoi manifesti che sloganavano "di lavoro non si deve più morire". Sicuramente più realisti di chi voleva la luna, urlando che "di lavoro non si deve più vivere". Ad ogni modo, il numero di morti sul lavoro, cominciò a tendere allo zero, per il semplice fatto che l'operaio, quando non scioperava, giocava a carte, in fabbrica - e perdeva una mano a tressette, piuttosto che ... la mano . Nel frattempo, dirigenti e "capu-ghiumma", cofferati con il cronometro in mano, erano più preoccupati per le loro gambucce che del profitto del padrone (si chiamava ancora così, allora). Altri tempi, sicuramente, ricordi. Adesso tutto è cambiato. E adesso sembra che io viva chiuso e arroccato nella mia cittadella di rovine, mentre i realisti, liberi da ogni ideologia, ci preparano un futuro radioso, insieme ad un branco di commedianti che hanno anche avuto la disavventura di essere cacciati da quell'emiciclo, unico teatro delle loro performances. Il nuovo realismo si sposa col vecchio realismo. E io me ne vado da un'altra parte.

lunedì 4 maggio 2009

Leggendo



Salvatore Lombino, magari non vi dice niente. Però è il vero nome - fra i molti - di Ed McBain (quello dell'87° Distretto), e anche di Evan Hunter (dal cui libro omonimo, venne tratto il film "il seme della violenza" - in originale "Blackboard Jungle", che dette inizio al rock'n'roll - ma questa è un'altra storia!).
E di Ed McBain, bisognerebbe procurarsi una "curiosità": Quaranta Miglia dall'Avana, romanzo di fantapolica (categoria un po' desueta). Nel libro, un gruppo di fanatici di estrema destra occupa militarmente una borgata nelle Keys della Florida, per potersi impadronire di un battello della Guardia Costiera e, tramite esso, lanciare un attacco suicida contro Cuba.
Lo scopo? Scatenare una nuova guerra mondiale.
In apertura, una citazione di Kennedy: "In un'epoca in cui una banale scaramuccia notturna potrebbe assumere le proporzioni di un olocausto nucleare, una grande potenza non dimostra la propria determinazione lasciando il compito di sondare le intenzioni altrui a qualche sentinella".
Tutto incentrato sull'ambiguità delle "persone comuni" che hanno o meno il coraggio di tentare di opporsi al colpo di mano bellicista, alla fine il colpo fallisce perché la nave degli estremisti di destra entra in collisione con un'imbarcazione di estremisti di sinistra carica di munizioni.
Libro grossolano che offre la chiave per comprendere l'universo di McBain. Eppure Carella continua ad essermi simpatico ...

domenica 3 maggio 2009

requiem



I.P.S. (1818-1865)

Da ogni parola e suo gesto
emanava un'infinita bontà d'animo.
La clinica ostetrica di Vienna
era allora la più grande del mondo.
Qual stupenda occasione ogni mattina
potere nell'obitorio sezionare
quei freschi cadaveri di donne!
Con rara perseveranza perseguiva
codeste sue singolari ricerche.
Era parecchio calvo, di mentalità
infantile e ingenua, e adiposo alquanto.

La mortalità, compresa tra il diciotto
e il trentasei per cento,
impresse nel suo cuore un turbamento
inestinguibile. Pure, come un delirio
ardeva la csarda sulle piste da ballo.
Lui danzava di gioia, e tre volte per sera,
quanto più febbrilmente poteva,
si cambiava la biancheria. Solo in seguito
l'avrebbero afflitto quelle tetre ubbie
che rendono l'esistenza
sì poco invidiabile.

Pareri di clinici illustri
sulla genesi della febbre puerperale
(a scelta): grumi sanguigni; tanfi
acquitrinosi; letali effetti di frutti
marcidi; miasmi; carenti sfiatatoi;
prossimità d'obitori e pozzi neri;
accumulo di latte; svariati influssi
d'origine cosmica e tellurica.
Ovvero un superstizioso farfugliare.
Tutto era dubbio, era mistero,
salvo il grande numero di morti.

Meditabondo, assistente provvisorio,
nato in provincia. Timido per lo più. Eppure
a tutte le facoltà di medicina del mondo
io dico: lorsignori insegnano l'errore!
E' colpa dell'aria appestata, è colpa
del veleno necrotico, della purulenta,
cancrenosa, tumida piaga, colpa
dei putrefatti brandelli di cadavere,
delle marcescenti stoffe, delle spugne,
della biancheria, dei cucchiai, delle forbici,
degli orinali e dei forcipi;

è colpa del dito unto, della penetrante,
morturiera mano palpatrice, sì,
è la mano del medico che uccide!
Basyìta un'oncia di cloruro di calce,
un'oncia sola in un secchio d'acqua,
per porre fine al venificio.
Sovente osservava quella sua mano
vistosamente carnosa e destra,
e scoppiava in lagrime, e smarrita
la padronanza di sé stesso, si vedeva
costretto a interrompere la lezione.

Le commissioni si riuniscono,
non trovano nulla. C'è chi ride.
Prevale l'opinione prevalente.
In clinica si continua a morire.
Le armi dei mafiosi sono settiche:
l'untuosa perizia e il secco rescritto,
la statistica falsificata, l'ottusa
paralizzante omertà. Di codesto massacro
Ella, egregio Consigliere, è partecipe!
Così, dalle ostilità fatteglisi innanzi
oltremodo esaperato, egli scrive

confuso, offensivo, maldestro,
divaga, si ripete, incappa
in circoli viziosi: La strage,
scrive, deve cessare,
e affinché la strage cessi,
io farò la guardia. Assassini,
scrive (A tutti gli ostetrici!),
definisco coloro che infrangono
le mie regole, in quanto agiscono
alla guisa di criminali.
Ovunque vede spie, fantasmi.

I suoi amici non lo riconoscono.
L'angoscia lo rende obeso, sembra
deforme. (Il termine Phantom
indica nella scienza medica
un artificiale o naturale
bacino femminile rivestito in cuoio,
utilizzato nell'insegnamento
della tecnica operatoria).
Per le vie di Budapest
affigge manifesti:
Vi metto in guardia dai medici!

Contegno infantile, stravaganze:
si aggira svestito per la stanza
e poggia i piedi divaricati sul tavolo,
dal che il suo stato di ottenebramento
si rivelava ormai inconfondibile.
Alle sue spalle nel corridoio
sghignazzano. Egli sarà dunque in ogni tempo
annoverato tra i massimi benefattori
dell'umano genere e deplorata ognora
sarà la triste sorte
cui era destinato.

Sono le due del pomeriggio.
Un'orda di nemici lo insegue.
Li vede distintamente, neri
come le mosche nelle loro rendigotes,
mentre fugge nella sala d'anatomia.
Sulla lastra di marmo un cadavere.
Afferra il bisturi, smembra
la spoglia, lancia la carne,
fruga nelle viscere, minaccia,
si taglia, lo disarmano,
muore dopo tre settimane d'agonia.

Ma non fu così. Questi sono sogni,
esagerazioni! In realtà
era una bella e pacifica domenica
di luglio ed egli li seguì spontaneamente.
Solo verso sera oppose resistenza.
Sei guardie riuscirono a malapena
a tenerlo a freno. Camicia di forza,
cella buia. Della ferita settica
al dito medio si accorsero troppo tardi.
Un'infezione sanguigna: Egli non poté dunque
assistere al trionfo della propria dottrina.

da: H.M. ENZENSBERGER - Mausoleum -

sabato 2 maggio 2009

Canzoni Senza Tempo



Ci sono cascato ancora. Ci sono cascato per la seconda volta!
La prima volta ero a Francoforte, in uno splendido auditorium, a sentire uno dei più bei concerti cui abbia assistito. Quando, verso la fine, Christy Moore cominciò ad intonare, con la sua splendida voce, una delle più belle canzoni che mi fosse mai capitato di sentire, ero convinto che si trattasse di una canzone nuova, non ancora incisa. Adesso è successo di nuovo, ascoltando l'ultimo stupendo "Listen", in chiusura, l'ultimo pezzo mi ha fatto come sobbalzare. Incredibile. L'ho riascoltato quattro, cinque volte, prima di rendermi conto che era la stessa canzone, scritta e incisa già da molti anni.
Ma, forse, una canzone nuova è proprio questo: una vecchia canzone che, per qualche motivo inspiegabile, hai dimenticato e che, quando risuona, ti prende fino a commuoverti. Una canzone senza tempo!
Questa è "Rory's gone", scritta per Rory Gallegher, e per tutti i chitarristi morti, per il blues. Per noi tutti!


Rory se n'è andato

Nigel Rolfe/Christy Moore

E Rory se n'è andato
A suonare il blues in paradiso.
Sopra le nuvole,
Con tutti gli angeli che cantano.
I suoi dischi graffiati,
Come la sua vecchia e ammaccata Fender,
Ma le canzoni sono forti,
E le note rimangono sospese nell'aria.

E' andato con Steve Ray,
e con Jessie Ed Davis.
Morti troppo giovani,
E troppo presto.
Un altro rock'n'roller,
Andato, ma non dimenticato,
E la sua vecchia chitarra ancora si lamenta e suona,
E piange e urla il blues.

Canta per Mississippi Fred,
E per Muddy Waters,
Son House, Sleepy John,
Ed anche per Maxwell Street Robert Nighthawk.
Neri, bianchi, blu e verdi,
Tutti i colori mischiati insieme
Ora Rory è andato in paradiso.

Perché Rory se n'è andato in paradiso,
A suonare il blues.
E Rory è andato a suonare,
Il blues in paradiso,
Rory è andato in paradiso,
A suonare il blues.