venerdì 27 febbraio 2009

Prudenza




«Non stringo mai la destra a chi spara con la sinistra

Sterling Hayden in - Johnny Guitar - di Nick Ray (1954)

Conflitti e Orologi a Cucù



«In Italia per trenta anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio,
strage e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il
Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno,
democrazia e pace cos'hanno prodotto? Orologi a cucù».

Orson Welles ne - Il Terzo Uomo - di Carol Reed (1949)

giovedì 26 febbraio 2009

Ci rivedremo lungo le rive del fiume!



Philip José Farmer
January 26, 1918 - February 25, 2009

Walker



Ettore Giovannitti, con la sua larga cravatta di seta e il suo panciotto di velluto, è fra gli organizzatori dello sciopero di Lawrence, Massachussetts, del 1912. Nel corso dello sciopero, i
sindacalisti italiani dell'IWW introducono modalità di lotta mutuate dall'esperienza in patria. Le cucine operaie e la decisione di mandare, con grande pubblicità, i figli degli scioperanti come ospiti presso i sostenitori dello sciopero in altre città.
Accusato di complicità morale nell'uccisione di una giovane scioperante, Ettore Giovannitti si difende da sé. Con un inglese efficace, e con fervore, rammenta ai giudici del New England come le tradizioni del loro stato includono i ribelli che combatterono per liberarsi dal dominio inglese.
Giovannitti verrà assolto, mentre di lì a poco Sacco e Vanzetti verranno condannati a morte. Giovannitti cercherà di vincere, con ogni mezzo, le resistenze anti-italiane, almeno all'interno del movimento operaio. Lo farà fungendo da tramite politico-culturale, mettendo in gioco la sua conoscenza di entrambe le lingue. Mentre è in carcere, per i fatti di Lawrence, compone una delle più note e intense poesie della letteratura americana, "The Walker".
Poema che testimonia della sua capacità di liberarsi dei cascami letterari della sua scrittura in italiano, muovendo verso una comunicazione in lingua inglese del tutto poetica.
Giovannitti, negli anni a venire, sarà anche un pioniere nell'uso della radio per sensibilizzare gli operai. A quanto pare, avrebbe anche scritto delle sceneggiature per Hollywood!



L'uomo che cammina
di Arturo Giovannitti

Odo tutta la notte passi sulla mia testa.
Vengono e vanno. Di nuovo vengono e vanno per tutta la notte.
Arrivano dall'eternità in quattro passi e ritornano all'eternita' in
quattro passi, e tra il venire e l'andare c'è
il silenzio e la notte e l'infinito.
Perché infiniti sono i nove piedi di una cella di prigione, senza
fine e' la marcia
di chi cammina tra il giallo muro di mattoni e il rosso
cancello di ferro, pensando cose che non possono essere incatenate e
non possono
essere chiuse a chiave, ma che vagano lontano nel luminoso mondo,
ciascuna
in un selvaggio pellegrinaggio verso una meta stabilita.

Per tutta la notte inquieta odo passi sulla mia testa,
chi cammina? Non lo so. E' lo spettro della cella, è il
cervello insonne, un uomo, l'uomo, l'Uomo che cammina.
Uno-due-tre-quattro: quattro passi ed il muro.
Uno-due-tre-quattro: quattro passi e il cancello di ferro.
Ha misurato il suo passo, l'ha misurato accuratamente,
scrupolosamente,
continuamente, come il boia misura la corda e il
becchino la bara: tanti piedi, tanti pollici, tante
frazioni di pollice per ognuno dei quattro passi.
Uno-due-tre-quattro. Ogni passo risuona pesante e cavo sul mio
capo, e l'eco di ogni passo suona cavo dentro la mia testa
poiché li conto nell'ansia e nel terrore: quella volta, forse, nel
cammino incessante, avrebbero potuto essere cinque passi al posto di
quattro
tra il giallo muro di mattoni ed il rosso cancello di ferro.
Ma lui ha misurato lo spazio così accuratamente, cosi'
scrupolosamente, così minutamente che niente interrompe il ritmo
grave della lenta, fantastica marcia.

Quando tutti sono addormentati ( E chi può sapere, tranne me, quando
tutti dormono?) tre
cose rimangono sveglie nella notte. L'Uomo che cammina, il mio cuore
e il vecchio orologio che ha l'anima di un demonio - perché mai,
da quando una rozza mano dai peli rossi fece oscillare per
la prima volta il pendolo nella prigione, il vecchio orologio
ticchettò una intera ora di gioia.

Tuttavia, il vecchio orologio che segna tutto e registra ogni cosa,
e che suona il rintocco della morte, il saggio, vecchio
orologio che sa ogni cosa, non conosce il numero dei
passi dell'Uomo che cammina, né i battiti del mio cuore.
Poiché né per l'Uomo che cammina, né per il mio cuore c'è un secondo,
un minuto, un'ora o qualsiasi altra cosa che stia nel vecchio
orologio-non c'è altro che la notte, l'inquieta notte, la vigile
notte, e passi che vanno, e passi che vengono e i
selvaggi tumultuosi battiti che li seguiranno per sempre.

Tutti i suoni degli esseri viventi e delle cose inanimate, e tutte le
voci e tutti i rumori della notte che ho ascoltato nella mia
ansiosa veglia.
Ho ascoltato i lamenti di chi piange una cosa che è morta
e i sospiri di chi cerca di soffocare una cosa che non
morirà;
Ho ascoltato i singhiozzi soffocati di chi piange con la sua testa
sotto le grezze coperte, e i sussurri di chi
prega con la sua fronte sulla dura, fredda pietra del pavimento;
Ho ascoltato chi ride di una acuta sinistra risata di follia verso
l'orrore sfrenato sul giallo muro, e verso gli occhi rossi
dell'incubo che guarda furioso attraverso le barre di ferro;
Ho ascoltato nell'improvviso silenzio di ghiaccio, chi tossisce di
una tosse secca ed echeggiante, e ho desiderato pazzamente che la sua
gola non rantolasse ancora e non sputasse sul pavimento, poiché
nessun suono
è stato mai più atroce di quello del suo sputo sul pavimento;
Ho sentito chi faceva terribili giuramenti, che ho ascoltato con
riverenza e soggezione, poiché sono più sacri delle suppliche di una
vergine;
E ho ascoltato, cosa più terribile di tutte, il silenzio di duecento
cervelli, tutti presi da un unico, inesorabile, implacabile,
terribile pensiero.
Tutto questo ho ascoltato nella vigile notte,
e il mormorio del vento al di là dei muri,
e i rintocchi di una lontana campana,
e il doloroso canto funebre della pioggia,
e le più lontane eco della città addolorata,
e i terribili battiti, selvaggi battiti, pazzi battiti di Un
Cuore che e' il piu' vicino al mio cuore.

Tutto questo ho ascoltato nella tranquilla notte,
ma niente e' più alto, più forte, più desolato, più potente o più
terribile dei passi che ho udito sulla mia testa tutta la notte.
Paurosi e terribili sono tutti i passi degli uomini sopra questa
terra, perhé essi discendono o salgono.

Discendono da piccole collinette e alte cime e alte quote,
attraverso strade ampie e angusti sentieri, si posano sulle nobili
scale di marmo e sulle stridenti scale di legno - e alcuni scendono
verso i sotterranei e altri verso la tomba e altri ancora giù verso
le fosse della
vergogna e della scelleratezza e ancora vengono verso lo splendore di
un impenetrabile abisso, dove niente c'è all'infuori dei bianchi,
fissi, spietati bulbi oculari del Destino.
E ancora altri passi arrivano. Salgono verso la vita e verso l'amore,
verso la fama, verso il potere, verso la vanità, verso la verità,
verso la gloria, verso
il patibolo, verso tutto eccetto che verso la Libertà e l'Ideale.
E tutti salgono le stesse strade e le stesse scale che gli altri
scendono; poiché mai, da quando l'uomo ha iniziato a pensare come
vincere e sorpassare il simile, altre strade e altre scale sono state
trovate.
Scendono e salgono i timorosi passi degli uomini e
alcuni zoppicano, alcuni arrancano, alcuni si affrettano, alcuni
trottano, alcuni corrono
Sono calmi, lenti, rumorosi, vivaci, rapidi, agitati, pazzi e
la loro cadenza è più spaventosa per le orecchie di colui che sta
fermo ancora.
Ma di tutti i passi degli uomini che scendono e salgono, nessuno
di loro è così terribile quanto quelli che vanno sempre diritti
sul morto livello di un pavimento di prigione, da un giallo muro di
pietra ad un rosso cancello di ferro.

Lungo tutta la notte, cammina e pensa. E' piu' spaventoso
perché cammina e i suoi passi risuonano vuoti sopra la mia
testa, o perché pensa e non esprime i suoi pensieri?
Ma lui pensa? Perché dovrebbe pensare? E io penso? Io ascolto solo i
passi e li conto. Quattro passi ed il muro. Quattro
passi ed il cancello. Ma al di là? Al di là? dove va lui
al di là del cancello e del muro?

Egli non va al di là. Il suo pensiero si infrange là sul cancello di
ferro
forse si infrange come un'onda di collera, forse come un improvviso
fiume di speranza, ma ritorna sempre a colpire il muro come un
cavallone di impotenza e disperazione.
Cammina avanti e indietro dentro l'angusta cavità roteante di questo
pensiero sempre tempestoso e furioso. Solo un pensiero-costante,
fisso immobile, sinistro, senza forza e senza voce.
Un pensiero di pazzia, frenesia, agonia e disperazione, un pensiero
infuso di inferno, poiché è un pensiero naturale. Tutte le cose
naturali sono cose impossibili, mentre ci sono prigioni nel mondo -
pane, lavoro, felicità, pace, amore.
Ma lui non pensa a questo. Mentre cammina pensa alla cosa più
sovrumana,
più inaccessibile, più assurda del mondo:
Pensa ad una piccola chiave di ottone che gira attorno appena per
metà e apre il rosso cancello di ferro.

Questo è tutto ciò che l'Uomo che cammina pensa, mentre cammina per
tutta la notte.
E quello è ciò che duecento menti soffocate nell'oscurità e nel
silenzio della notte pensano, e quello è ciò che anche io penso.
Straordinaria è la suprema saggezza del carcere che fa fare a tutti
il medesimo pensiero. Meravigliosa è la provvidenza della legge
che rende tutti uguali anche nella mente e nel sentimento. Caduta è
l'ultima barriera del privilegio, l'aristocrazia dell'intelletto.
La democrazia della ragione ha uniformato tutte le duecento menti
alla comune apparenza dello stesso pensiero.
Io che non ho mai ucciso, penso come l'assassino;
Io che non ho mai rubato, ragiono come il ladro;
Io penso, ragiono, desidero, spero, dubito, aspetto come l'assassino
pagato,
come l'appropriatore indebito, il falsario, il contraffattore,
l'incestuoso,
lo stupratore, l'ubriacone, la prostituta, il ruffiano, io, io che
sono solito pensare all'amore, alla vita, ai fiori, alla poesia
e alla bellezza e all'ideale.
Una piccola chiave, una piccola chiave, piccola come il mio piccolo
dito, una piccola chiave di
scintillante ottone.
Tutte le mie idee, i miei pensieri, i miei sogni sono congelati in
una piccola chiave di scintillante ottone.
Tutto il mio ingegno, tutta la mia anima, tutta quella
improvvisamente fluttuante e latente forza
della mia vita più profonda sono nella tasca di un uomo dai capelli
bianchi vestito di blu.

E' grande, potente, formidabile, l'uomo dai capelli bianchi,
poiché egli ha nella sua tasca il potente talismano che fa
piangere un uomo, un uomo pregare, ed uno ridere e uno
tossire, e uno camminare e tutti restare svegli e ascoltare e pensare
lo stesso pensiero che fa impazzire.
Il più grande di tutti gli uomini, è l'uomo con i capelli bianchi e
la piccola
chiave d'ottone, poiché nessun altro uomo nel mondo potrebbe
costringere
duecento uomini a pensare così a lungo lo stesso pensiero.

Sicuramente
quando la luce si spegne, scriverò un inno in suo onore, che
lo proclamerà più grande Mohammed e Arbues e
Torquemada e Mesmer,e di tutti gli altri maestri degli altri
pensieri dell'uomo. Lo chiamerò Onnipotente, poiché tiene
ogni cosa di tutti e di me in una piccola chiave di ottone nella sua
tasca.
Tiene in pugno ogni cosa di me eccetto il ferro marchiante del
disprezzo e
il "claymore"di odio per il mostruoso complotto che può
far pensare allo stesso cancello, alla stessa chiave e alla stessa
uscita sulle differenti e assolate autostrade della vita,
l'apostolo, l'assassino, il poeta e il mezzano.
Fratello mio, non camminare più.
E' sbagliato camminare su una tomba, è un sacrilegio percorrere
quattro passi dalla lapide verso il fondo e quattro passi dal
fondo verso la lapide.
Se smetti di camminare fratello mio, non ancora per molto tempo
questa resterà una tomba,
poiché mi restituirai la mia mente, che è incatenata ai tuoi
piedi, e il giusto pensare ai miei propri pensieri.
Ti imploro, fratello mio, perché io sono stanco della lunga veglia,
stanco di contare i tuoi passi, appesantito dal sonno.
Fermati, riposati, dormi, fratello mio, poiché l'alba è davvero
vicina e non è
la chiave sola che può aprire il cancello.

di Arturo Giovannitti

mercoledì 25 febbraio 2009

Tempo!



Si chiama "Esperimento", ed è uno di quei tanti racconti brevissimi usciti dalla penna del geniale Frederic Brown. Scritto nel 1954, racconta, non senza ironia, cos'è un paradosso temporale.
La storia è la seguente:

Il professor Johnson mostra a due suoi colleghi come funziona il suo modello sperimentale di macchina del tempo. Si tratta di una sorta di innocua (in apparenza) di "bilancia pesa-lettere, con in più due quadranti da orologio fissati sotto il piattello". Il professore invia, come prima dimostrazione, un piccolo cubo di metallo cinque minuti avanti nelk futuro. Lo posa sul piattello, regola uno dei due orologi sul tempo prefissato e il cubo sparisce. Cinque minuti esatti più tardi, il cubo riappare sul quadrante. Semplice e spettacolare!
Il bello, però, si verifica allorché Johnson vuole inviare il cubo cinque minuti indietro nel passato. In che modo?

"Mancano sei minuti alle tre" - spiegò Johnson - "Alle tre in punto, posando il cubo sul piattello, azionerò il meccanismo. Di conseguenza, alle tre meno cinque il cubo dovrà sparire dalla mia mano e comparire sul piattello: cinque minuti prima di avercelo messo!"

"Ma" - chiede uno dei due colleghi - "se scompare come potrete poi mettercelo?"

"Alle tre, quando avvicinerò la mano, il cubo sparirà dal piattello, e apparirà nella mia mano per essere ridepositato sul piattello. Le tre meno cinque: attenzione, prego!"

La procedura è alquanto ... elaborata, ma logica. L'esperimento si avvia, come previsto, e alle tre in punto il cubo scompare dal piatello materializzandosi nella mano di Johnson, affinché questi ve lo riponga. Ma qui giunti, uno dei colleghi muove l'obiezione-chiave: e se Johnson non mettesse più il cubo sul piattello?

"Non si avrebbe in questo caso, una specie di paradosso causa-effetto?"

"Idea molto interessante ... " - disse il professor Johnson - "Non ci avevo pensato! Ma proveremo subito. Dunque ecco, sono le tre, e io NON ..."

Non ci fu nessuna specie di paradosso. Il cubo rimase.
Ma il resto dell'universo, professori e tutto, sparì.

martedì 24 febbraio 2009

Un libro rimasto non scritto



Sicuramente, era solo un'idea, una trama che gli girava in testa. Di scritto, non c'era praticamente niente, salvo una lettera all'editore, scritta non molto prima che, nel 1982, lo stroncasse l'infarto. Magari, quello di Philip Dick era solo un modo di "bussare a soldi", e il libro non lo avrebbe mai scritto, comunque. Oppure avrebbe scritto tutto un altro libro. Chissà!
E' vero che aveva l'abitudine, oramai radicata, di parlare a lungo delle sue idee prima di cominciare a metterle sulla carta. E forse, anche per "The Owl in the Daylight" sarebbe successa la stessa cosa.
Le intenzioni di Dick circa il romanzo, erano stato rivelato da Doris Sauter, amica dell'autore, nel suo libro di conversazioni con Dick. La trama avrebbe dovuto ruotare intorno a Ed Firmley, mediocre compositore di colonne sonore visitato da alieni privi di udito e dotati di una vista in grado di "vedere" i suoni. A conclusione, avrebbe dovuto esserci una visita del compositore al "paradiso alieno" fatto di luci, come nella migliore tradizione cattolica!
Assai diversa, sembra, invece, la trama che Dick propose all'editore: la creazione di un'enorme intelligenza virtuale che dovrebbe gestire una sorta di parco-giochi, nel futuro. Poi, il computer avrebbe preso coscienza di sé, si sarebbe ribellato e avrebbe intrappolato il suo inventore in una sorta di realtà altra dove avrebbe avuto luogo un viaggio simile, per molti versi, a quello che si svolge nella commedia dantesca. Spruzzata da un po' di Faust di Goethe!
Fin qui, la storia. Solo che è di pochi giorni fa la notizia dell'avvenuta pubblicazione di un romanzo, per i tipi di "CreateSpace", un editore on-demand di "Amazon". Il titolo?
"The owl in the daylight - Things are not as they appears".
L'autrice, Tessa Dick, ultima moglie di Philip, la quale si è rivolta invano a numerosi editori, senza riuscire a cavare un ragno dal proverbiale buco, tanto che alla fine ha fatto uscire il libro a sue proprie spese. La trama? Non c'entra nulla, né con le notizie riportate dalla Sauter, né con quanto contenuto nella lettera all'editore da parte del defunto marito (troppo poco credibile - ha
commentato la vedova - che uno scienziato, da solo, possa creare un sistema così complesso).
Tessa ha scritto il libro - dice lei - che il marito AVREBBE dovuto scrivere (e non quello che "avrebbe voluto")!
Pare sia liberamente ispirato alla vita stessa di Dick, e - guardacaso - dovrebbe uscire più o meno in concomitanza con il film in cui Paul Giamatte interpreta lo scrittore.
Si vocifera che del libro ne sia già previsto un seguito: "The Owl in thr Twilight".

lunedì 23 febbraio 2009

Leggi non scritte



"Il novanta per cento di ogni cosa è spazzatura". Al termine originale (crud, o crap, a seconda delle testimonianze) è lecito sostituire quello più adatto e che lo stato d'animo suggerisce, al momento.
L'autore di quella che oramai è assurta a dignità di legge, fino a ritrovarsi nell'Oxford Dictionary, è Theodore Sturgeon, e si lasciò andare all'affermazione di cui sopra nel 1951. Ci sarebbe ritornato, più volte, in seguito! La sua era la legittima reazione di un autore di fantascienza che si sentiva dire - affermazione diffusa - che la fantascienza era spazzatura.
"E' vero, nel novanta per cento dei casi, ma il dieci per cento è tutt'altra cosa" - fu l'obiezione.
Naturalmente la percentuale è arbitraria, tant'è che in alcune varianti cambia, fino a salire al 94 e al 98%. Ma la verità espressa è assoluta! Nella letteratura di genere ci sono molte opere di valore
assai scarso, ma anche alcune straordinariamente belle e interessanti.
Fu giocoforza che, dalla fantascienza, il concetto si allargasse alla letteratura in generale, prima, e ad ogni sorta di opera, poi. E così, Sturgeon poneva un problema, riferendosi a quali, e non quante, fossero le cose cui vale la pena di prestare attenzione. Anche se, per farlo, bisogna essere capaci di cercare nel pagliaio dell'inutile.
E' faticoso, ma ne vale la pena!

sabato 21 febbraio 2009

It's Only Rock'nRoll!



Ci sarebbe stato bene, Pete Ross, nei panni di Johnny Cash, nel film "Walk the Line"("Quando l'amore brucia l'anima"), al posto di Joaquin Phoenix!
Il look è deciamente quello del Man in Black. La voce è giusta, anche se regala suggestioni migliori quando si lascia andare ad intonare un repertorio meno country e più ... alla Neil Diamond. Australiano, ma con radici decisamente ben salde dentro la Sicilia del padre. "Ciani", il cognome, e la lingua per mezzo della quale l'altra sera abbiamo scambiato e comunicato, è fatta di slangs, inglesi e italiani. Un piacere, parlarci, e parlarla!
Una bella serata, quella di giovedì al solito Porto di Mare.
Il concerto è andato avanti fino a tardi e, alla fine, ci ha anche regalato perfino una versione siculo-australiana di "Sciuri Sciuri", ed anche qualche ballo ai piedi del palco.
Ci rivedremo!

giovedì 19 febbraio 2009

Texas magico!




Sembra che esista un vecchio libro, una specie di almanacco, cui molti abitanti del Texas sono soliti fare riferimento ogni qual volta devono chiarirsi le idee in merito alla grandezza dello stato in cui hanno avuto la fortuna di nascere.
Sembra vi siano contenute massime del tipo "l'immensità del Texas è tale che impedisce ai texani di dormire", nonché descrizioni quali "il Texas occupa l'intero continente dell'America del Nord, ad eccezione di una minima frazione lasciata a Messico, Stati Uniti e Canada. E' limitato ad est dall'Atlantico e da tutti gli altri oceani, ad eccezione del Pacifico. E' limitato ad ovest dal Pacifico e dalla Via Lattea".
Sembra inoltre che quando un texano sia in procinto di recarsi a New York, Chicago o qualunque altra città oltre i confini dello stato, dica: "Vado negli Stati Uniti". E sembra anche che nel maggio 1945 un giornale di Dallas annunciò ai propri lettori la notizia che le truppe del Texas avevano sconfitto la Germania con il concorso di alcuni alleati.
Sembra infine che nel bel mezzo di una conversazione - non importa quale sia l'argomento in ballo - un texano trovi sempre il pretesto di pronunciare la fatidica frase: "a questo proposito, lascia che ti dica qualche parola sul Texas".

mercoledì 18 febbraio 2009

Hobos




"Quando tutto è stato detto e fatto" - scriveva Kipling - "non restano che due tipi di uomini: quelli che se ne stanno a casa e quelli che preferiscono di no".

martedì 17 febbraio 2009

Fuori dalla grazia di dio

"Falling from Grace" ("Sulla strada del mito", l'orrendo titolo italiano) è il primo, e unico film, di John Mellencamp (regista e attore protagonista). La storia, firmata da Larry McMurtry (autore del romanzo da cui è tratto "L'ultimo spettacolo" di Bogdanovich, e padre del songwriter Larry McMurtry) si svolge nell'immaginaria Doak City, cui torna il protagonista, rockstar stanca di cantare e suonare. Bud Parks atterra lì con il suo aereo privato per presenziare alla festa per l'80° compleanno del nonno. Dovrebbe rimanere solo tre giorni, ma dopo due settimane è ancora lì e, per sovrammercto, annuncia alla moglie che ha intenzione di fermarsi ancora dell'altro.
Fra ricordi adolescenziali e distrazioni locali, viene pian piano risucchiato nell'ambiente originario, fino a ricadere nel letto dell'antica fidanzata che aveva abbandonato scappando via in autostop.
In sintesi, un film un po' sciupato da un quasi lieto-fine e impreziosito da una splendida colonna sonora.
Due canzoni qui, la prima cantata dai "Buzzin Cousins", supergruppo formato per l'occasione da John Mellencamp, Dwight Yoakam, John Prine, Larry McMurtry e Joe Ely.
La seconda dal solo Mellencamp:



Dolce Suzanne
di John Mellencamp

Ora, proprio ora, guardo al posto dove mi trovo
Quando penso alle cose che avrei potuto aver fatto
È impossibile per me fare finta

Ma vedo che ora come le luci diventano fioche
E il mondo comincia a chiudere gli occhi
Volevo solo dirti Buonanotte, Dolce Suzanne
Sento la musica, ma riesco più a capire le parole
Dietro l'angolo, lungo la strada
E' meglio di dove mi trovo

Volevo solo dire buonanotte
solo per vedere se tutto andava bene
Volevo solo dire Buonanotte, Dolce Suzanne
Il tempo passa, così tranquillamente
giorni confusi come in una nebbia e ricordi
e alla fine sono rimasto solo io
A volte mi chiedo se era quello che volevo
Ma ritrovo me stesso in questi versi
Felice per quello che avevo allora
Lo farei di nuovo?

Beh lo vedo adesso, mentre la luce si fa fioca
Volevo solo dire Buonanotte, DOlce Suzanne
Volevo solo dire buonanotte
Volevo solo vedere se tutto andava bene
Volevo solo dire Buonanotte, Dolce Suzanne




Niente è gratis
di John Mellencamp

Abbiamo incominciato
Con un peccato e una bugia
E poi siamo passati a 'cosa ci guadagno a continuare?'
E quando l'onda ci ha travolto, diamine, abbiamo lasciato che scorresse
E portasse via nel mare la nostra gentilezza

Dicono che Gesù sia morto
Su una vecchia robusta croce
Per salvare voi da persone come me
E papà si è fatto schiavizzare
da un padrone cui non importava niente di lui
Dal momento che niente vale la pena e niente è gratis

Ora i salvatori fanno
Un sacco di ore di lavoro straordinario,
E i peccatori cercano solo di guadagnare
E i perdenti, giocano
fino a quando non perdono l'ultimo centesimo
Con il conforto di sapere che ci hanno provato

Dicono che Gesù sia morto
Su una vecchia robusta croce
Per salvare voi da persone come me
E papà, ha lavorato
Per un padrone che se ne fotteva
Dal momento che niente vale la pena e niente è gratis

Beh, ho vissuto una buona vita
E ne ho vissuto una brutta,
Ed entrambe le ho vissute come una dolce libertà
E ho sentito la tempesta in arrivo
La mia salvezza a portata di mano
E tutto quel che ho avuto di buono era gratis

Dicono che Gesù sia morto
Su una vecchia robusta croce
Per salvare voi da persone come me
E papà si è fatto schiavizzare
da un padrone cui non importava niente di lui
Dal momento che niente vale la pena e niente è gratis

Dicono che Gesù sia morto
Su una vecchia robusta croce
Dal momento che niente vale la pena e niente è gratis.

lunedì 16 febbraio 2009

Sopravvivenza



El Coyote
di Kris Kristofferson

Lo chiamano bandito
E tu conosci le tacche
Che deve incidere sulla sua pistola
Ti guarda con occhi
Parzialmente accecati
Per aver fissato troppo a lungo il sole
Ma lui segue il suo codice
E non fa il gioco di nessuno
Ed è fortunato ad essere ancora vivo
Il branco di lupi è destinato a morire
Quando viene disperso dall'uomo
I coyotes solitari sopravvivono.
Egli ha sepolto i suoi sentimenti
E la vita è diventata una montagna
Che lui si è risolto a scalare
Poi ha catturato il profumo
Di una sorella in spirito
Che gli ha insegnato ad amarla in tempo
In un modo o nell'altro
Lei ha raccolto intorno a sé
I cuccioli che lui ha generato lungo la sua strada
Ed adesso corrono al suo fianco, dalla sua parte
Attraverso la fredda notte affamata
E dormono al suono delle sue dolci serenate
Una parte del suo cuore abita nel cielo
Ed un'altra parte sarà sempre selvaggia
E tutto quello che lui può lasciare loro è amore, e una ragione
Per continuare a correre per tutto il resto della loro vita
I coyotes solitari sopravvivono.
Una parte del suo cuore abita nel cielo
Ed un'altra parte sarà sempre selvaggia
E tutto quello che lui può lasciare loro è amore, e una ragione
Per continuare a correre per tutto il resto della loro vita
I coyotes solitari sopravvivono.






 





venerdì 13 febbraio 2009

Un film MAI visto!



Li chiamano "mockumentary". Si tratta di film biografici che raccontano la vita di personaggi ... inesistenti. E quello di cui sto leggendo adesso, anche se di qualche anno fa, ha tutta l'aria di essere un capolavoro nel suo genere. Quello che salta agli occhi è quella buona dose di divertimento che sottende alla messa in scena. Uno stuolo di personaggi veri, da Kris Kristofferson a Merle Haggard, sono stati chiamati ad interpretare sé stessi, mentre rilasciano commoventi interviste su un cantautore canadese che ha fatto la storia del rock e del country negli anni settanta e ... che non è mai esistito!
Matt Murphy si cura di dare autenticità al personaggio, fino al punto che una paludata giornalista del Corriere della Sera scrive una recensione del film, convinta che il personaggio sia realmente esisitito.
"The life and hard times of Guy Terrifico" di Michael Mabbott raggiunge così il suo obiettivo. Ci racconta di Guy Terrifico, morto, ucciso durante un concerto, senza avere inciso nulla di considerevole. Era uno dei cantanti country più importanti della scena canadese. Aveva tutto: una chitarra con la foglia d'acero, una fidanzata corista petomane, una guardia del corpo violenta, i soldi di una lotteria, un albergo-locale, e una bella manciata di dipendenze. Trent'anni dopo, una lettera misteriosa annuncia il suo ritorno: dunque non era morto?
Qualcuno lo distribuisca in Italia!

giovedì 12 febbraio 2009

Pensando a Claudio





Una canzone, e due film. Il primo, "Trouble in mind", è quello per cui la canzone era stata scritta. El Gavilan, il falco, la cantava Marianne Faithfull, e ti prendeva l'anima. Poi Kris Kristofferson l'ha messa dentro il suo disco, Repossessed. Il secondo film è "Welcome Home", quello da cui sono tratte le immagini che scorrono mentre si ascoltano le parole de "The Hawk", il falco. Suppongo che il falco sia un bambino, un ragazzo, il figlio. E una canzone così mi piacerebbe averla scritta per mio figlio; ma che importa, dal momento che l'ha scritta Kristofferson, e la canzone è qui? C'è sempre una canzone, per un falco, come una casa, cui tornare. Se si riesce a trovarla, dopo gli anni!

Il Falco
di Kris Kristofferson

Dovrai darti un tuo codice, figlio
Dovrai spezzare le tue catene
I sogni che ti possiedono
Possono fiorire e renderti felice
Oppure possono farti impazzire

L'attimo è tuo, adesso
Tieniti pronto
Il passato non conta
Il futuro non se ne cura

Siediti qui accanto a me
Mostrami un segno
Lasciami sentire il tuo spirito
Che corre insieme al mio

Non sono degno di te
Sono solo un uomo
Ma giuro che ti amerò
Con tutto me stesso

Tempesta sulla montagna
Stelle nel cielo
Cerchiamo la gloria
La libertà di volare

Ti ricorderai
Mentre cammini la tua strada
Che qualcuno ti ama
Più di quanto tu sappia

mercoledì 11 febbraio 2009

Voglia di caldo



"E se non lo capite al tramonto, quando l'aria è ferma, né calda né fresca, e vi si rizzano i peli delle braccia, e sembrano crepitare, se non badate ai rumori, che vi arrivano da più lontano, se non vi dice niente il colore viola delle montagne e l'oro che cola dalle pietre della Cattedrale, se ignorate le bordate rosso rubino che il sole vi spara da dietro le guglie di San Domenico, se proprio non lo capite che sta arrivando, allora vuol dire che siete forestieri. Non che sia grave. Voi non ne avete colpa. Ognuno vive dove può. Ma il giorno dopo, per voi, sarà l'inferno, il rogo, l'apocalisse. Lo Scirocco d'Africa vi colpirà duro. Non vi darà respiro."

Santo Piazzese - I delitti di Via Medina-Sidonia - Sellerio

martedì 10 febbraio 2009

Mitologie




A fare una ricerca su ibs, o su qualsiasi altra libreria on-line, di Paul Nizan, in italiano, si trovano solo due romanzi, di cui uno solo in remainder! "Aden Arabia" e "La cospirazione". Al macero, oramai da anni, i volumi che ne raccoglievano, per "La Nuova Italia", tutta la produzione critica e politica, nonché gli altri suoi due romanzi, "Antoine Bloyé" e "Il cavallo di Troia".
Ne scriveva la Rossanda, nell'introduzione ad "Antoine Bloyé", edito per bertani di Verona:
"Datata e collocata geograficamente, la natura della sua inquietudine giovanile,: è il fratello di sinistra di Breton, di Drieu de la Rochelle, perfino di Céline. (...) Eppure al di là di questa gabbia storica, i nodi sui quali si è urtata e si è formata la sua vita non sono affatto sciolti."
Quasi iroso, nello stile, sia che si trattasse di un libello che delle pagine di uno dei suoi romanzi, a Paul Nizan appartiene una collera insopprimibile per lo stato di cose presenti. Nei suoi lbri sanziona, senza scappatoie, che non esiste altrove, che non c'è felicità nel viaggio e che rimane solo il qui ed ora della società capitalistica. Senza vie d'uscita!
Il comunista Nizan si fa portatore di una sorta di umanesimo rinnovato alla luce del materialismo antico (non per niente fu un divulgatore originale di Epicuro e Lucrezio). Volentieri, di Marx citava il passaggio secondo cui "le armi della critica non sostituiscono la critica delle armi". La forza materiale va abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene forza materiale non appena la classe se ne impadronisce.
Per questo Nizan scriveva romanzi. Per restituire alla classe d'origine (da cui era transfuga) in termini di storia, tutto quello che essa amava allucinare in termini di destino; e per fornire alla classe antagonista un arma ed ... uno specchio ustorio.
Passaggi ideologici in grado di passare dal discorso della parola al discorso dell'azione. Alla ricerca di un'incisività politica del linguaggio letterario. Refrattario ed estremista, Nizan. Urticario, ebbe a definirlo Sartre (già suo compagno di banco alla Ecole Normale Superìeure) che lo tradì per tutta la vita e poi finì per omaggiarlo,
nella prefazione ad "Aden Arabia", consegnandolo alla generazione che di lì a poco avrebbe fatto il '68.
Difficilmente - credo - qualcuno ripubblicherà un romanzo, come "Antoine Bloyé", in cui è contenuta una riflessione come questa:
" Fino a quando gli uomini non saranno completi e liberi, sicuri sulle loro gambe e sulla terra che li porta, essi sogneranno la notte. Essi sazieranno tutte le loro fami, la loro fame reale - perché, nel mondo, ci sono tutti gli uomini che non mangiano a sazietà, che non bevono a sufficienza; ci sono tutti gli uomini della miseria - e sazieranno la loro fame di vendetta, riporteranno vittorie sugli oppressori del giorno, conquisteranno donne arrendevoli. E l'uomo della notte confiderà i suoi segreti alla sua ombra del giorno, a quell'ombra che non li ascolta".

lunedì 9 febbraio 2009

Attualità




Ad andare a spulciare nella storia del cinema, ne vengono fuori - come dire - delle belle!
I sonni turbati della borghesia americana, agli albori del cinema muto, si riversano in una serie di pellicole dove l'immigrato (italiano) è chiamato ad incarnare le peggiori paure per una conflittualità sociale che, grazie ad organizzazioni operaie come l'IWW, si fa sempre più dirompente. L'eco delle lotte e degli scioperi duri, come quello di Lawrence guidato da Arturo Giovannitti e Joseph Ettor, crea l'immagine dell'agitatore italiano, o del bombarolo, sempre italiano, da consegnare al cinema. Si comincia, nel 1912, con le commedie come "Bum and a Bomb" e "Mutt and Jeff and the Italian Strikers" e, soprattutto, con "The Strike" di Alice Guy Blaché, dove gli operai in sciopero decidono di far saltare in aria la fabbrica.
Nel 1913, in "The District Attorney's Conscience", l'anarchico italiano Tony Gazeco viene condannato a morte, senza prove certe. Sempre nel 1913, in "Giovanni's Gratitude" si raggiunge il massimo: il ragazzo italiano che vende i giornali viene recuperato dalla strada ad opera del buon industriale americano, e il ragazzo dimostra tutta la sua gratitudine facendo saltare in aria, con una bomba, i connazionali che la volevano usare contro il benefattore (anche se non è chiaro se si trattasse di anarcosindacalisti o di mafiosi, ma non importa).
L'intercambiabilità fra gangster e agitatori è all'ordine del giorno nel cinema di quegli anni!
Di solito, i film dedicati agli anarchici propongono agitatori russi, ma gli italiani arrivano buoni secondi nello stereotipo. Come una bomba pronta ad esplodere, il nichilista italiano è in agguato, sugli schermi!
In "Called Back" di Otis Turner, del 1914, due nichilisti italiani rubano un'eredità e seminano bombe fra Londra, Venezia e la Russia. Vengono entrambi acciuffati e puniti, finendo uno in Siberia e l'altro ucciso dalla polizia britannica.
In "The Bomb Throwers" del 1915, un suonatore di organetto viene arruolato dai "gangster" rivoluzionari per mettere una bomba negli uffici del "District Attorney" (il pubblico ministero dei telefilm di Perry Mason, per intendersi!), ma dal momento che sua figlia potrebbe essere coinvolta nell'esplosione lancia l'ordigno contro i suoi sobillatori.
In "The Perils of Secret Service!, del 1917, gli anarchici progettano addirittura la guerra batteriologica.
L'idea dell'italiano come trouble-maker impegnato nella partecipazione alle lotte sindacali pervade un film come "The Wop", del 1913, scritto da Gardner Sullivan: Luigi, in miseria a cuasa di uno sciopero cui non voleva partecipare, viene arrestato e condannato per aver rubato del carbone, mentre il ricco industriale, fuggito con i soldi degli operai, subisce una mite condanna. L'italiano vorrebbe vendicarsi uccidendo il giudice che l'ha condannato ma si ferma davanti alla propria figlia adottata dal magistrato. Così il proletario italiano viene privato perfino della ... prole.
Tutti questi film non trattano di giustizia sociale ma di "redenzione morale dell'individuo", costruendo "morality tales" intorno all'assimilazione e all'integrazione dell'immigrato, fregandosene allegramente delle sue condizioni di vita.
La comunità italo-americana costituisce un mistero per la società "wasp" che è incapace di comprenderne la mentalità e si risolve, nel cinema in questo caso, in soluzioni narrative semplicistiche e moralistiche: solo gli affetti familiari riescono ad allontanare dall'immagine dell'italiano criminale. Anche quando non è malavitoso, o rivoluzionario, l'italiano è preda delle passioni e facile alla violenza, geloso e/o vendicativo. D.W. Griffith, nel 1910, in "The Italian Barber" tratta di gelosia e racconta di un barbiere italiano "suscettibile di cardiacal-intoxication" che si innamora della ragazza dell'edicola (interpretata da Mary Pickford).
In questi anni, il cinema americano sta allargando considerevolmente la sua base di pubblico e deve barcamenarsi tra due "mercati", evitando di irritare gli immigrati, da una parte, e "rieducando", dall'altra, la media borghesia, in modo graduale, senza scontrarsi frontalmente con i suoi pregiudizi. Così, nei finali, non si rende giustizia, né si risarcisce l'immigrato, pur avendone messo in scena le traversie.
Il che è come dire che si dà per scontato che ci sono delle disgrazie o, forse, delle ingiustizie, ma è ancora troppo presto per prendere provvedimenti!

venerdì 6 febbraio 2009

nuovi corsi

Addii



Niente Rimpianti
di Tom Rush

So che il tuo addio è ormai scaduto ormai da troppo
E per troppo tempo non ho avuto niente di nuovo da mostrarti
Addio occhi-asciutti, ho visto tuo aereo
Sparire a ovest della luna
Ed è così strano camminare da solo

Nessun rimpianto, niente lacrime d'addio
Non ti rivoglio indietro, avevamo solo gridato, ancora una volta
Detto addio, ancora una volta

Le ore che erano tue, ora echeggiano come stanze vuote
I pensieri che eravamo soliti condividere, ora sono solo miei
La notte scorsa mi sono svegliato e ti ho parlato,
senza pensare che te ne eri andata
Era così strano trovarsi sveglio, da solo

Nessun rimpianto, niente lacrime d'addio
Non ti rivoglio indietro, avevamo solo gridato, ancora una volta
Detto addio, ancora una volta

I nostri amici hanno cercato di trasformare le mie notti in giorno
Strani volti al tuo posto non riescono a tenere lontano i fantasmi
Appena al di là delle ore più buie, appena dietro l'alba
Ancora mi sembra strano condurre la mia vita, da solo

Nessun rimpianto, niente lacrime d'addio
Non ti rivoglio indietro, avevamo solo gridato, ancora una volta
Detto addio, ancora una volta

giovedì 5 febbraio 2009

Tristi Tropici!



Pitcairn, è il nome di un'isola, anzi uno scoglio un po' più grosso, da qualche parte a sud di Tahiti, molto a sud di Tahiti. Un'isola disabitata, quando Fletcher Christian vi sbarcò insieme a nove marinai inglesi e diciotto tahitiani, sei uomini e dodici donne. Pitcairn, tre chilometri per meno di due e con un solo possibile approdo.
Sbarcandovi, quelli che erano i resti degli ammutinati del Bounty, per prima cosa bruciarono la nave. Bisognava tagliarsi i ponti alle spalle con l'Inghilterra. Ma non è facile, farlo del tutto, mai. Quando la "moglie" tahitiana di uno dei suoi marinai morì, questo si prese la moglie di un tahitiano, come rimpiazzo. Scoppiò la rivolta contro gli inglesi, una gigantesca rissa in cui morirono tutti, anche Fletcher Christian, sembra (altre versioni più leggendarie lo danno di ritorno in Inghilterra sotto mentite spoglie). E sembra anche che sia stata la fine del sogno di costruire uno dei tanti paradisi in terra.
Quando, nel 1818, un mercantile americano incrociò le acque intorno allo scoglio vi trovò solo un uomo, un marinaio inglese, John Adams, che viveva con un gruppo di donne e molti bambino che lo chiamavano papà. Sull'isolotto vigeva una sorta di monocrazia messianica basata sulla superiorità dei bianchi (uno solo, lui) e dei loro discendenti.
Come dire, era successo qualcosa!
Fletcher Christian (a scelta, Clark Gable, Marlon Brando o Mel Gibson) sconfigge la tirannìa nella persona di William Bligh (a scelta, Charles Laughton, Trevor Howard o Anthony Hopkins) e la cala in una scialuppa, insieme a diciannove marinai e un sestante scassato.
E' il 28 aprile del 1879 e lo spirito rivoluzionario trionfa.
Ma poi? Cosa fa? Si va a rinchiudere in una sorta d'isola incestuosa e va' a finire come per i socialisti nel 1914, che cominciarono a spararsi addosso. Dimentichi della spinta rivoluzionaria, occupati ad edificare lo staliniano "socialismo in un paese solo", finiranno per spegnersi lentamente. Nel frattempo, Bligh naviga su una barca scassata per 3.500 miglia e torna in Inghilterra, pronto a scatenare la caccia agli insorti per tutti i mari del Sud.
Solo che, un secolo dopo, l'Inghilterra abolirà lo schiavismo, mentre gli insorti introdurranno schiavismi anche peggiori.
Mai smettere di informarsi!
Ah, il primo film (sonoro, ché ce n'è uno del 1916) sul Bounty è un "quarto" film: australiano, del 1933, di Charles Chauvel, "IN THE WAKE OF THE BOUNTY". Fletcher Christian è interpretato da Erroll Flynn ed è Mayne Lynton ad indossare i panni di William Bligh.

mercoledì 4 febbraio 2009

Nemici e verità



"E' l'appartenenza ad un campo - la posizione decentrata - a permettere di decifrare la verità e di denunciare le illusioni e gli errori attraverso cui vien fatto credere - gli avversari fanno credere - che ci si trova in un mondo ordinato e pacificato.
Più mi decentro, più vedo la verità: più accentuo il rapporto di forza, più mi batto, e più la verità si dispiegherà effettivamente dinanzi a me, e all'interno di questa prospettiva della lotta, della sopravvivenza o della vittoria."

- Michel Foucault - "Bisogna difendere la società"

martedì 3 febbraio 2009

Un'altra canzone triste su di te



Si diceva - ma forse era solo una leggenda - che avesse mandato tutto e tutti al diavolo e si fosse ritirato a fare il benzinaio in una stazione di servizio di qualche stato centrale degli USA, una di quelle stazioni polverose perse nel niente fra il deserto e una strada dove ogni tanto passa qualche macchina.
Fatto sta che Sammy Walker era sparito, dopo un esordio fulminante, nel quale si era guadagnato l'immancabile titolo di "nuovo Bob Dylan".
Un esordio per la Folkways, voluto da Phil Ochs. "Song for Patty", sulla copertina Patricia Hearst che imbraccia un mitra e sullo sfondo il simbolo dell'Esercito simbionese di Liberazione. E' il 1975. Il successo e il contratto con la Warner Bros e due dischi, superbi, in due anni. Poi, nel 1979, un disco di cover di Woody Guthrie, ancora per la Folkways, cui seguirà per ventinove anni il silenzio, rotto solo da due dischi - un live e una raccolta- per la Brambus.
Ventinove anni di silenzio, e adesso il nuovo disco, "Misfits Scarecrow".
No, Sammy Walker, classe 1952, non è cambiato, per fortuna, e nel disco non c'è niente di nuovo. Solo sedici canzoni.Nuove vecchie storie, raccolte mentre ha camminato la sua strada, e raccontate avvolte da una musica senza tempo che non si finrebbe mai di rimanere ad ascoltare. Piano, armonica e banjo e, in più, il mandolino di Tony Williamson. Qua e là il suono sommesso di una batteria, quasi "domestico". La voce è maturata, ha perso molto della sua asprezza e ha raggiunto una sua liricità.
E' tutto quello che serve.

lunedì 2 febbraio 2009

Due Canzoni!



Blackie e il Re del Rodeo
di Willie P. Bennett

Blackie e il Re del Rodeo
Erano solo buoni amici
Avevano partecipato ad ogni rodeo
Ed avevano viaggiato su tutti i vecchi treni
Blackie viveva la sua vita ogni notte
Cercando di far quadrare le bugie che le avrebbero raccontato
E il Re del Rodeo era un indiano che aveva trovato nella bottiglia
un amico migliore di qualsiasi uomo bianco

Per vent'anni aveva lottato
con tori bramas e cavalli e donne
Blackie scelse lui una notte
Mentre giaceva a faccia in giù nel canale di scolo
E con il cuore nelle mani
La sua vita cucita sulla strada
Lei seppe che avrebbe potuto parlare con lui
E le storie che lui le raccontava bastavano
A lui per tenerla accanto a sé
E a lei per aggrapparsi a lui

Ci contiamo l'un l'altro le cicatrici
Mentre guardiamo scendere il livello della bottiglia
Blackie era una bellezza
Sebbene fosse difficile capire il perché
Ma le facce che il signore ci regala
Sono il risultato dell'amore che il cuore sa dare
E ora stanno vivendo cuore a cuore
Blackie e il re del rodeo



Per amore di un dollaro
di Willie P. Bennett

C'era una volta un minatore
che mantenne il suo posto di lavoro
finché un giorno non morì
per volere del suo Dio
Ora la moglie lo stava piangendo
finché non arrivarono gli esattori
e rubarono tutti i suoi beni
prima che lo seppellissero

Ora la moglie e il figlio
pagano l'affitto con le loro lacrime
Vivono da soli l'uno accanto all'altro
svegli fino a tarda notte con le loro paure

Perché il denaro non è nulla
per il ricco in città
ma per amore di un dollaro
hanno lasciato andare a fondo l'intera famiglia
Il vecchio aveva messo per iscritto
tutte le cose che egli aveva lasciato
Egli ha detto che aveva una miniera d'oro
ma era tutto solo nella sua testa
E solennemente anche il figlio
che era nato quell'anno
era stato riportato nel conto
dei sentimenti e delle paure

Ora la moglie e il figlio
pagano l'affitto con le loro lacrime
Vivono da soli l'uno accanto all'altro
svegli fino a tarda notte con le loro paure

Il barista scosse le spalle
mentre me ne versava ancora uno
E aggiunse che aveva sentito molte storie
e chiese se fossi nuovo in città
Beh ho pagato il mio dollaro
ed ho riso mentre pagavo
Ho detto che sono un membro della famiglia
anche se l'ho tenuto segreto a lungo

Ora sono più vecchio e più stanco
e sono stato in giro
Ho dormito in molte città scure
Sono stato in cella nelle piccole città
e mio padre avrebbe detto
se avesse vissuto fino ad oggi
che se la vita è un gioco d'azzardo
allora dev'essere il sangue la posta in gioco