mercoledì 30 aprile 2008

mi mancherai, mi mancherà la tua intelligenza ...



"Il futuro non è più quello di una volta.... Ed è difficile interpretarlo"

Sbancor

"primi maggi"



"la classe dei lavoratori e quella dei capitalisti non hanno nulla in comune. Non vi può essere pace finché la fame e l’indigenza sono il retaggio di milioni di lavoratori, finché lo scarso numero di persone che compongono la classe capitalistica gode di tutte le buone cose che valgono ad allietare l’esistenza. Fra queste due classi la lotta deve continuare finché i lavoratori di tutto il mondo non si organizzino e non diventino una unità che pigli possesso della terra e delle macchine produttrici, finché non venga abolito il lavoro salariato. Noi crediamo che il concentramento delle industrie nelle mani di persone che diventano sempre più esigue metta le unioni di mestiere nell’impossibilità di tener fronte alla sempre crescente potenza della classe dei padroni.Invece del motto reazionario ‘una paga equa, per una equa giornata di lavoro’ noi dobbiamo iscrivere sul nostro vessillo l’ammonimento rivoluzionario ‘Abolizione del sistema del salario’."

Big Bill Haywood - Congresso di Fondazione degli Industrial Workers of the World - Chicago 1905

martedì 29 aprile 2008

Aprile, il più crudele dei mesi



Chris Gaffney se n'è andato qualche giorno fa, a 57 anni, per un cancro di merda.
La sua musica continuerà a suonare e a risuonare, da San Pedro fino a chi vorrà continuare ad ascoltarla.

lunedì 28 aprile 2008

vecchi



Non amo particolarmente il teatro, e come forma d'espressione e come forma di rappresentazione. E, a dirla tutta, non saprei nemmeno esporre i motivi di questa mia "posizione", ma tant'è. Eppure, credo che se ieri pomeriggio non fossi andato al teatro "Colosseo", a Roma, a vedere "Le ragioni dell'altro", mi sarei perso qualcosa di importante! Come al solito è Erri De Luca, in una delle introduzioni al libretto, edito da colibrì, che riproduce la piece, in italiano e in francese, a mettere a fuoco il problema: l'incontro. L''incontro con il sé stesso di allora, con le sue ragioni, con le proprie ragioni di allora. In un gioco di rimando in cui le "ragioni dell'altro" sono le ragioni di allora. E ... non se ne esce vivi! Questo, al di là dei rimandi alla paranoia della malattia come conseguenza autodistruttiva di una disposizione. Che, eppure, è anche quello un modo di ... non rinnegare. Non si rinnega niente, perché non si rinnega sé stessi. E Roberto Silvi, l'autore, non rinnega. Fino alla fine, continua a guardare negli occhi del ragazzo che è stato. Del ragazzo che è rimasto.
Non ho mai conosciuto Roberto, come non conoscevo molte delle persone che, in gran numero, erano intervenute a teatro, ma lo voglio ringraziare per avermi dato modo di incontrare qualcuno che non vedevo da trentatre anni, e nei cui occhi ho potuto ritrovare lo sguardo del ragazzo che ero allora. Spero che sia stato lo stesso anche per lui!

giovedì 24 aprile 2008

il vento di una canzone



Warren Zevon era uno di quelli che sapeva "guidare" ubriaco. Con lucidità. Talmente lucido che quando, nel 2003, gli viene diagnosticato il cancro che lo avrebbe ucciso entro l'anno, decide di dedicare il tempo che rimane alla produzione di un disco, l'ultimo. Circondato da suoi amici, insieme a loro stila il suo testamento in musica. The wind.
E il vento ha sempre soffiato dentro le sue canzoni, fin dalle prime, come in questa, splendida, "Carmelita" che si muove e ti fa muovere al ritmo della disperazione triste dove il ricordo vuole essere speranza. Lentamente. Ti prende per mano e si fa seguire, sulle sue note, quasi ad occhi chiusi. Da Los Angeles ad Ensenada, da qualche parte. Prima o poi, il vento.


Carmelita
di Warren Zevon

La radio, fra le scariche, sta suonando una canzone mariachi
Ed i neon si arrossano nel buio
Ed io mi ritrovo con lei ad Ensenada
Mentre sono qui ad Echo Park

Carmelita tienimi stretto
Credo di star affondando
E mi sono fatto di eroina
alla periferia della città

Seduto qui mentre faccio un solitario
col rosario del mio mazzo di carte
Il comune non vuole più darmi il metadone
Hanno tagliato le spese per il welfare

Carmelita tienimi stretto
Credo di star affondando
E mi sono fatto di eroina
alla periferia della città

Così ho impegnato la mia Smith Corona
E vado ad incontrare il mio uomo
Lui gironzola dalle parti di Alvarado Street
Vicino al Pioneer chicken stand

Carmelita tienimi stretto
Credo di star affondando
E mi sono fatto di eroina
alla periferia della città

Carmelita tienimi stretto
Credo di star affondando
E mi sono fatto di eroina
alla periferia della città

mercoledì 23 aprile 2008

Un sorriso, lungo la strada che porta a Trento



Lo spettacolo sono andato a vederlo tempo fa. Mi sono lasciato convincere ed ho dovuto vincere la mia claustrofobia, per sedermi in un luogo angusto e scuro dove Giangilberto Monti rappresentava il suo "Un po' dopo il piombo". Si trattava di uno sguardo sull'Italia degli anni settanta, dalla lotta armata (vista anche attraverso la storia d'amore fra Renato Curcio e Mara Cagol) fra situazioni e canzoni. Le canzoni, ricordo, mi piacquero non poco. C'era come una sorta di inattualità, e solo dopo ho scoperto che, in buona parte, si trattava di canzoni già scritte, o quantomeno abbozzate, in quegli anni. Solo qualche giorno fa, sono riuscito a mettere le mani, e le orecchie, sul disco. Molto più ricco, musicalmente, rispetto all'esecuzione teatrale, affidata alla sola voce e chitarra dell'autore e, soprattutto, senza l'angoscia di quello spazio stretto, muffoso e buio.
Fra le undici canzoni, ce n'è una che mi ha colpito in modo particolare, per la sua naturale commistione fra una semplicità di parole e un'estrema suggestione musicale, una canzone che ha saputo restituire, alle mie orecchie e al mio cuore, un'immagine vera. Onestamente vera. La canzone, volendo, la si può ascoltare sul sito myspace di Giangilberto Monti.
Il testo lo metto qui sotto. Chi parla - anzi, chi scrive nella canzone - è Mara Cagol. Qui, volendo, c'è qualcosa che sa parlare con le stesse note della canzone, anche se non è una canzone. Andrebbe letto, magari ...

Cara Mamma, Milano
(Giangilberto Monti - Ubi Molinari)

Cara mamma, Milano è
una grande esperienza
questa grande città che all'inizio sorprende
luminosa e attraente
poi diventa feroce
e divora tutto quello che accade
e rimastica tutto
quel che è più naturale.
Cara mamma, Milano è
è la nuova barbarie
questo non si capisce perché
mi fa maturare.
Società che violenta ogni cosa
ogni nostro momento
ogni piccola gioia
ogni nostro tormento.

Ci reprime, ci spacca,
ci manipola il cuore,
poi la rabbia ci sale
si trasforma ed esplode.

Cara mamma, Milano è
una scritta, un corteo
gente senza una casa e un lavoro
più nero del nero
è un progetto ambizioso
un'idea luminosa è la tecnologia
ma cos'è criminale?
la città, chi ci vive o che sia quel che sia
Cara mamma, lo sai che io non ho
niente contro nessuno
ma qui m'intralciano, mi ruban le ore
qui non m'aiutano.
E io, mamma, smetto di scrivere
e di guardare
tu lo sai parlo troppo
non mi riesco a fermare.

La passione mi spacca
si rivolta nel cuore
poi la rabbia mi sale
si trasforma ed esplode.

Cara mamma, io tanti baci
ti voglio mandare
da Milano, da questa tua figlia
che non sa più che fare.

martedì 22 aprile 2008

Com'è bella l'avventura!



Tarzan. Tarzan delle scimmie (Tarzan of the Apes) viene pubblicato a puntate, dapprima sul pulp "All-Story Magazine", nel 1912 e, poi, nel 1914 appare in volume. E' il delirio. L'America che sente lontana la guerra mondiale, nel mentre che sta liquidando anarchici ed estremisti di ogni tipo, entra nel suo secolo delle meraviglie ed elegge Tarzan come suo deputato nel parlamento dell'immaginario. Tarzan è un pioniere che si riallaccia direttamente ai miti e alle tradizioni dell'America, la quale si prepara, proprio in quegli anni, a mettere in banca questo bagaglio. Ma è anche un Lord, di puro sangue inglese, come tutti gli americani veramente degni di questo nome. Si dice che, nel profondo, Tarzan sia ancora un animale, ma è vero piuttosto il contrario. Tarzan è un essere civile, tanto più che la sua cultura emerge sempre, innata. Un carattere forte e determinato che giudica invivibile la civiltà, solo perché sa che la civiltà autentica non è mai stata data. E' lui che se la porta dentro, e lui solo l'incarna, la vera civiltà. Coltiva idee di legge ed ordine che sono "rimemorazioni" di leggi soppresse e di un ordine antico. E' un trasgressore che ha rotto con il mondo delle convenzioni che si riproducono sulla scena di una storia che è storia venduta al nemico. Assai lontano dall'essere l'uomo naturale di Rousseau, non si lascia per niente ricondurre al sogno di regressione del progresso. Del progresso, non sa nulla! Non ne sa il bene, non ne sa il male. Più che rifiutarlo, lo ignora. Aristocraticamente. Non è un'opera di beneficenza e nemmeno un'organizzazione di soccorso, come saranno certi super-eroi a venire. Chi si deve liberare, che si liberi da sé solo! Lui lavora per sé stesso, per il proprio piacere, in nome dell'avventura e del diritto. Tarzan si aggira nell'area dell'immaginario come un fantasma inquieto, severo e irresistibile. La vita quotidiana assume connotazioni allarmanti: i quattro passi nel parco per portare il leone a far pipì, l'asilo dei bambini che è una capanna in cima ad un albero altissimo con una scimmia per tutrice, insomma il mondo rischiarato dalla filosofia, quasi l'originaria promessa della borghesia!
Il Tarzan cinematografico è una mistificazione di cui il "Io Tarzan tu Jane"ne esprime tutta l'insufficienza. Tarzan nella giungla propriamente detta, al più soggiorna, dimora. Prende il sole fra un'escursione e l'altra.
L'Africa di Tarzan, infatti, è la geografia di un mondo stravolto, dove converge tutto cià che la storia ha bandito, distrutto, soppresso, eliminato, calunniato e bruciato sul rogo delle ideologie. Dai quattro, ma forse sono anche di più , punti cardinali arriva di tutto, sull'Africa di Tarzan. C'è Opar, estrema propaggine dell'antica Atlantide, col suo ceppo genetico degenerato in cui i maschi sono scimmioni neanderthaliani e le femmine tutte stelline hollywoodiane. Ci sono antiche colonie greche, romane, egiziane, fenicie. Ormai perdute. Non mancano borghi medievali dimenticati, imperi di piccolo cabotaggio fondati da scimmie, popoli lillipuziani. C'è perfino una falsa Londra abitata da scimmie che sono state mutate da uno scienziato pazzo assai bizzoso! E c'è Pal-U-Don, ovviamente, una delle tante "terre dimenticate dal tempo" che hanno fatto la fortuna di Edgar Rice Burroughs, con la sua fauna primordiale di dinosauri e polli da combattimento. Tutto quanto, senza contare i popoli paraumani di esseri neri pelosi e con la coda, ma anche bianchi, glabri e sempre con la coda. Per accedere a Pal-U-Don si attraversa una strana palude che, presumibilmente, conduce in un altro tempo e in un'altra dimensione, oltre che in un altro luogo. Forse in un lontano passato. Non si sa e non importa. Ci sono anche "incroci" con altre saghe di Burroughs, come con "Pellucidar", un altro posto che ricorda molto da vicino Pal-U-Don: strane popolazioni, umane e non, animali preistorici e una vegetazione sconvolta. In tutti questi posti Tarzan impazza!
E' la geografia, questa geografia, la chiave per capire le storie di Tarzan.

lunedì 21 aprile 2008

Ce n'est qu' un début . . .



Domenica sera, sul divano, non è abbastanza tardi per brandire l'ora come scusa per non scrivere niente. E la voglia di dire rimane, sebbene sempre più spesso con la voglia di tirarsi una coperta addosso. Che dire? La distanza e la separazione, magari coniugata al ricordo? Questo rimane.
Pancho Pardi è stato eletto nelle liste di Di Pietro. Buon per lui. A me è tornata in mente quella volta in cui irrise Vincenzo Simoni, proponendo che un corteo di compagni, dopo aver preventivamente espropriato una partita di manette, si recasse, ammanettato, al palazzo di giustizia di Firenze, per costituirsi. Allora, lo fece per ridicolizzare l'eccessivo legalitarismo di una parte di movimento. Non aveva molto da spartire - credo - con la certezza della pena e con altri ammennicoli di cui oggi è convinto promotore. Nel bagaglio dei ricordi, mi vien da ripescare anche quella volta - era il 1971 e c'era la lotta degli sfrattati - in cui propose che si andassero ad occupare, non qualche brutta palazzina fatiscente e dismessa, ma gli alberghi dei lungarni.
Meno male che non lo si fece, perché oggi si manderebbe in galera da sé solo!
Già, ma poi perché meno male!!??
Intanto Toni Negri, all'Esc di Roma, va avanti tre ore a leggere passi di Spinoza, dopo averne denunciato capitolo e rigo, manco fosse .... vabbé lasciamo stare. Cosa diceva quel tizio di Treviri a proposito dei filosofi nell'undicesima tesi su Feuerbach!?
"Bastonare il cane che affoga", ha scritto Sergio Bologna con lucidità invidiabile, scrivendo di questi nostri stani tempi. Sì, ma perché strani, poi? I tempi sono tempi, e la stranezza risiede solo negli occhi di alcuni di noi, che non riescono a dismetterla. Insieme alla rabbia e all'odio. E, in fondo, aveva ragione Bob Dylan, assai più e meglio di Bifo, quando cantava che non abbiamo bisogno di un metereologo per sapere da che parte soffia il tempo!
Buona Notte.

venerdì 18 aprile 2008

figli di ...



Stavolta arrivo almeno secondo, a parlare del nuovo disco di Massimiliano, "La breve estate". Buon segno per lui, è segno che la "profezia" che avevo tentato, circa il fatto che "non venderà un cazzo", rischia di essere inverata. Ottimo. Ne ha fatta di strada, Massimiliano, dal disco precedente. Strada, in tutti i sensi. Ha volato in America più volte, e ha chiamato a raccolta le persone che hanno saputo aiutarlo nel dare al disco il suono giusto. Ha pagato il suo debito, diceva Andrea Parodi, in un passaggio del filmato realizzato da Adamo. Il debito, pagato nel primo disco ("Il ritorno delle passioni"), era quello nei confronti di Fabrizio De André, cui quelle sonorità spesso rimandavano. Un po' più leggero di debiti, adesso ha potuto dedicarsi a percorrere strade più "americane", fra il Texas e il Rio Grande. Andrew Hardin (già chitarrista di Tom Russell) e Joel Guzman (che in molti definiscono il miglior fisarmonicista del mondo) fanno da testimoni autorevoli, rendendo inestimabili almeno due canzoni, due ballate struggenti e senza tempo come "Maria delle montagne", dove si racconta una storia del secolo scorso fra miseria e speranza, e "Tristessa", ispirato al romanzo omonimo di Jack Kerouac. Ma cominciamo dall'inizio. Ed è sempre la fisarmonica di Guzman che, in modo sorprendente, dà una soluzione di continuità a "I ragazzi del vicolo", fra l'intro stradaiolo e sporco cantato da Luca Mirti dei Del Sangre e il duetto folk fra Massimiliano e Andrea Parodi: due canzoni in una, avvolte e legate dal valzer puntuale della fisa. "La breve estate", la canzone che dà il titolo al disco, ci riporta indietro, al primo lavoro, fra amarezze pasoliniane e nostalgie da cantautorato italiano. Allo stesso modo, "Anima Mundi", arricchita delle voci di Lino Straulino e Carlo Muratori, sa mischiare le carte e regalare una canzone nuova che sa di antico. Tocca poi a "La petite promenade du Poete", una riproposizione dal disco numero zero di Massimiliano, quel "canta Dino Campana" che si ostina a tenere nascosto e introvabile, ma cercando ... chissà...
Quasi jazz, i versi di Dino Campana messi in musica e un clarinetto che se la gioca. "Un uomo in rivolta", elettrica come già "L'uomo qualunque", quasi due facce della stessa medaglia. Poi ancora, "Dimmi tu fiore", una filastrocca che Massimiliano ha sempre scherzosamente definito "da Zecchino d'oro", qui trova una veste inedita fra folk e bluegrass, sempre grazie al lavoro di Guzman e Hardin, sorretti anche dal banjo di Max De Bernardi e dai fiati di Francesco Masi. Una canzone da cantare in coro, insieme a Claudia, Andrea, Gianfilippo e Luca. Poi, ancora, "Le ceneri di Pasolini", con Riccardo Tesi all'organetto e il finale elettrico e tirato de "Il nome delle cose", con tanto di Hammond e una base d'archi e la chitarra impagabile di Marco "Python" Fecchio.
La musica per amore, e dentro tutto il cuore e tutta la passione di una "banda di fratelli". Questo è il disco di Massimiliano. Non so se, questa genìa di cantautori che regala l'anima, sia figlia di Bubola, come ha scritto il Buscadero, oppure figli di De André, come sono più portato a sostenere io. So solo che la loro musica rende inutile tutte le parole scritte per girarci intorno. Sia quelle dei tromboni paludati, sia le mie. Ed è un bene.

giovedì 17 aprile 2008

Gratitudine



Un racconto di Joe Lansdale, una di quelle storie un po' truci, non senza un pizzico abbondante di ironia, giocata fra sangue e arti marziali. Un piccolo gioiello apre la serie tv di "Masters of Horror". "Panico sulla montagna" ("Incident On and Off A Mountain Road"). Il regista è Don Coscarelli, niente affatto nuovo a fruttuose collaborazioni con lo scrittore texano. Quella volta, per "Bubba Ho-Tep", la musica era intrinseca alla storia! Stavolta invece arriva sulla suggestione delle note e della voce dei "Gratitude". "If Ever", la canzone. Bella e struggente. Liquida, fino a farmi equivocare, a pensare che fosse la voce femminile di Dayna Kurtz, quella maschile di Jonah Matranga dei Gratitude!
In qualsiasi storia filmata, la musica fa la differenza.


Se mai
dei Gratitude

E' bello ascoltare la tua voce
E' bello sentire il tuo respiro
Tu stai perdendo tempo
Ed io divento pazzo

Ogni volta che mi guardo intorno vedo che non ci sei
Ma stanotte non lo dirò a nessuno

Dovrei chiamare la polizia
Oppure chiamare tuo padre
Ma tu stai dicendo che non te ne importa
Così forse non ti darò noia

Se ne sono accorti tutti quando te ne sei andata
Si sono chiesti tutti cosa fosse andato storto
Tutti noi ora ti stiamo aspettando, ciao

Ma stanotte non lo dirò a nessuno
No, stanotte non lo dirò a nessuno
No, stanotte non lo dirò

Perché stavolta è troppo tardi
Non voglio aspettare
Non voglio pormi domande
E' una perdita di tempo
Ora capisco tutto
Sono sobrio
Ero terrorizzato prima

Ogni volta che mi guardo intorno vedo che non ci sei
Alla fine hai capito cosa non andava
Per cui che tu mi senta o no
ciao

No, stanotte non lo dirò a nessuno
No, stanotte non lo dirò a nessuno
No, stanotte non lo dirò a nessuno

No, stanotte non lo dirò a nessuno

mercoledì 16 aprile 2008

fiammiferi



Un film, "Smoke". Di Wayne Wang, con Harvey Keitel e William Hurt. Un buon film, ma quello che mi ricordo è quel minifilm muto, la pellicolata virata al colore blu, lieve come una favola di Dickens. Il silenzio degli interpreti e la voce di Tom Waits. Una "canzone segreta", mi viene di definirla, accompagnata da un pianoforte ubriaco. Come la voce arrochita e fumosa. Come la memoria che ci sorprende perché

"Alcune esperienze tendono ad essere idealizzate dal ricordo, ma la maggior parte di esse viene deformata, rispetto a com'era nella realtà. La memoria è spesso fonte di dolore: non bisogna buttare i giorni brutti. Io li uso come fiammiferi, li tengo in una scatola e ogni tanto accendo un ricordo ..."

Innocente, quando sogni
di Tom Waits

I pipistrelli sono sul campanile
La rugiada bagna la brughiera
Dove sono le braccia che mi stringevano
E, prima, promettevano amore
E, prima, promettevano amore

E' come un vecchio e triste sentimento
I campi verdi d'erba soffice
Il ricordo che sto rubando
Ma tu sei innocente mentre sogni

Correvamo attraverso il cimitero
Ridevamo, amici miei, ed io
Giurammo che saremmo rimasti insieme
Fino al giorno in cui saremmo morti

Feci una solenne promessa
Che non ci saremmo mai separati
Donai un medaglione al mio amore
Eppoi spezzai il suo cuore

E' come un vecchio e triste sentimento
I campi verdi d'erba soffice
Il ricordo che sto rubando
Ma tu sei innocente mentre sogni

martedì 15 aprile 2008

vota manifesto?!



Quelli del manifesto, che di elezioni non hanno mai capito una sega, ci gratificano - come al solito - di un bel titolo di copertina.
Non so perché, ma ogni volta mi viene il sospetto che siano loro a portare un po' sculo ai vari ... candidati. Nel numero di domenica, accanto ad un panegirico sul macellaio Zapatero (quello che fa sparare sugli immigrati alle frontiere, però ha un governo di molte donne: che culo!) definito "socialista gentile"(sic!), troviamo l'ennesima mancanza di analisi del voto del ... 1972, quando il manifesto si presentò alle elezioni e, praticamente, nessuno se lo cacò. Altri tempi? Chissà! A ripensare ad allora, ed a guardare le facce sul numero odierno mi vien da pensare che ha proprio ragione Enzo Modugno, quando scrive che "Quindi aveva ragione il '68-'77, meglio zappare nell'orto pietroso dello scontro sociale."
Farebbe bene loro, e anche a quelli del manifesto, zappare l'orto pietroso!

venerdì 11 aprile 2008

with a little help to my friends



Martedì 15 aprile ore 21.30 presso:

SAN SALVI la città aperta
Luogo delle differenze
Centro Culturale Paolo Paoli
Chille de la Balanza - Centro Antonin Artaud
Via di San Salvi 12 - FIRENZE
info: chille@ats.it Tel e Fax +39 055 6236195

MASSIMILIANO LAROCCA presenta il suo nuovo album “LA BREVE ESTATE"!

speculando ...



Un mondo cavo, di cui solo la superficie interna è abitata. Arido e assolutamente invivibile. Qui sono stati riportati invita, come nel Mondo del Fiume (del resto, l'autore è sempre lui, Philip J. Farmer!), tutti gli esseri umani di ogni tempo e di ogni luogo. L'opinione generale dominante, fra i risorti, è quella di trovarsi nell'inferno cristiano. I diavoli, i maligni, per quanto in netta minoranza, ci sono! Solo che sono stati schiavizzati dagli umani. Per questo presunto inferno si aggira, predicando, un Gesù Cristo con gli occhiali scuri. Tutti pensano che sia un imbroglione, un falso Gesù. Oppure - essendo il flusso del tempo, qui, diverso da quello terrestre - siamo nei tre giorni che Cristo ha trascorso all'inferno. Una "lunga stagione", stando ai Vangeli. Fiodor, "lo slavo pazzo di Dio" (Dostoevskji, ovviamente), coltiva un'ipotesi assai più affascinante. Lui pensa, insomma, che in cielo, alla destra del Padre, ora sieda un impostore.

"Lei sa per certo che Cristo visitò l'inferno per tre giorni, mentre il SUo corpo era nella tomba. Tre giorni durante i quali predicò il Vero Dio e così liberò tutti i pagani virtuosi, e gli ebrei vissuti prima dell'avvento del Salvatore, che erano stati condannati a soffrire nell'Inferno fino alla Sua venuta. Ed Egli li liberò: la sua presenza e la Sua apparizione consentironno a quei giusti di salire in Paradiso. Così Abramo, Socrate, Mosé, Gautama, tutti costoro e molti altri che avevano cercato la Vera Luce ma non erano riusciti a scorgerla perché Egli non era ancora venuto ... tutti costoro Gli credettero e così poterono varcare le porte dell'Inferno."

"Ho sentito dire tutto questo" - disse Call - "ma non ho mai trovato una persona che potesse affermare di aver visto questi pre-cristiani lasciare l'Inferno. Pensandoci bene, nessuno ha mai visto un pre-crstiano nella Città. O, se anche qualcuno l'ha affermato, il suo racconto non ha potuto reggere ad una analisi scientifica. Tutti bugiardi. E, Dio lo sa, ho parlato con molta gente, ho percorso migliaia di miglia faticose, ho individuato e interrogato migliaia di uomini e di donne che erano qui quando Cristo ... o qualcuno che sosteneva di essere Lui ... venne qui."

"Ma se ne andò?" Se ne andò? Immagini che qui vi fosse un uomo che si era pentito dei suoi peccati. Ma troppo tardi. E aveva sentito dire dagli angeli caduti che Cristo sarebbe venuto e sarebbe rimasto qui per tre giorni. E così quell'uomo, premeditamente, astutamente, si rivolse al male, si distinse fra i "malvoleri" professionisti ... i maligni. Ricordi, a quei tempi, i maligni erano più numerosi degli uomini. E quell'uomo ebbe l'onore, o il disonore, di venir iniziato come demone, un evento che suscita grande gioia nell'Inferno. E così Cristo discese e fu catturato e imprigionato con metodi che noi non possiamo indovinare ma che possiamo considerare non al di fuori delle possibilità dei diavoli. E l'Uomo Malvagio, questi umano divenuto un maligno, fu scelto per rappresentare la persona che si sarebbe spacciata per Cristo Ritornato Alla Terra. Ma, una volta ritornato alla superficie, ritornato terrestre, l'uomo fece il doppio gioco. Questa volta tradì l'Inferno e rifiutò di portare a termine i piani infernali. E forse gli fu concesso, come ricompensa celeste, di ascendere al Paradiso? Mentre il Vero Cristo, per amore di un'anima santa, creduta per sempre perduta, accettò di rimanere nella sua prigione all'Inferno."

"Oh, se non nella prigione, per lo meno entro i confini infernali. E divenne X, il Messia delle Tenebre, il Salvatore Nero."

"E l'uomo che uscì dalla tomba e si mostrò nel giardino non lasciò che Maria lo toccasse ... Noli me tangere! ... perché era ancora nello stato di demone. La mano di Maria avrebbe tratto dalla sua tunica non una radiazione di virtù, ma un lampo folgorante di male. E Tommaso, il dubbioso, non venne distrutto perché le Autorità Celesti, o l'Autorità Celeste, avevano ormai deciso la sorte del falso Cristo.E aveva trasferito dal male al bene l'enorme potenziale di cui erano sature la sua tunica e la sua carne. Comunque, questo è un punto debole della mia ipotesi, poiché soltanto attraverso il libero arbitrio un uomo può passare dal bene al male. E naturalmente tutto ciò che ho detto è soltanto una speculazione, una supposizione. Probabilmente, il falso Cristo aveva commesso un errore quando aveva compiuto il male nell'Inferno per poter fare il bene in Terra e in Cielo. Forse scoprì che il fine non giustifica i mezzi, che compiere il male nell'Inferno, anche se contro peccatori perpetuamente condannati a soffrire, in ogni caso e pur sempre male. E gli fu consentito di evadere per qualche tempo per rendere la sua punizione più severa e desolante. Fu riportato all'Inferno dopo aver assaporato la Terra. E l'Ascensione fu un pio inganno - perché Cristo era ancora qui, cioè all'Inferno - durante il quale gli Apostoli credettero che Egli fosse salito in cielo mentre in realtà l'evaso ridiscendeva agli inferi.

Una specie di teoria della relatività celeste-terrestre-infernale, capisce?"

Philip José Farmer - L'inferno a rovescio (Inside-Outside) -

giovedì 10 aprile 2008

Ancora Pogues



A migliaia stanno salpando
by Philip Chevron

L'isola ora è silenziosa
Ma i fantasmi ancora abitano le onde
E la torcia illumina il viso di un uomo affamato
Che la fortuna non ha risparmiato

Avete lavorato sui binari della ferrovia
avete sbarazzato le vie dal crimine
Erano vostri i dollari dalla casa bianca
Erano in pezzi da cinque e dieci centesimi

Vi hanno schernito e vi hanno applaudito per le vecchie canzoni
E ancora vi fanno il verso
Avete contato i mesi e gli anni
Oppure le vostre lacrime si sono rapidamente seccate

Ah, no, dice lui, non è stato così
Sono arrivato qui su una nave-bara
E non ero mai arrivato tanto lontano
da poter sentire pronunciare il mio nome cambiato

A migliaia stanno salpando
Attraverso l'oceano occidentale
Verso la terra dell'opportunità
Che alcuni di loro non vedranno mai
Prevale la fortuna
Attraverso l'oceano occidentale
Le loro pance piene
I loro spiriti liberi
Spezzeranno le catene di povertà
E balleranno

Nel crepuscolo del deserto di manhattan
Nella morte del pomeriggio
Abbiamo marciato, mano nella mano, su broadway
Come il primo uomo sulla luna

Ed il merlo ha rotto il silenzio
Quando gli hai fischiato con dolcezza
E seguendo i passi di Brendan Behans
Ho ballato su e giù per la via

Allora abbiamo detto buona notte a broadway
Facendogli i nostri migliori auguri
Levandoci i nostri cappelli davanti al signor Cohan
Il nostro poeta preferito

Allora abbiamo alzato un calice a jfk
E poi ancora un'altra dozzina
Quando sono tornato di nuovo alla mia stanza vuota
Suppongo che devo aver pianto

A migliaia stanno salpando
Di nuovo attraverso l'oceano
Dove la mano della fortuna
Estrae i biglietti della lotteria
Le cartoline che stiamo spedendo
Recano cieli ed oceani blu
Dalle stanze la luce del giorno non si vede mai
Non ci sono luci sugli alberi di Natale
Ma noi balliamo alla musica
E balliamo

A migliaia stanno salpando
Attraverso l'oceano occidentale
Dove la mano della fortuna
Estrae i biglietti della lotteria
Dove noi andiamo, celebriamo
La terra che ci dà rifugio
Dalla paura dei preti con i piatti vuoti
Dal peccato e dalle effigi piangenti
E balliamo

mercoledì 9 aprile 2008

Fiabe



I Pogues di Shane "O'Hooligan" MacGowan!
Cosa dire di loro, che già la loro musica non è riuscita a dire mille volte meglio di quanto chiunque possa fare?
"Just Look Them Straight In The Eye and Say... POGUEMAHONE!!"
"Guardali solo dritti negli occhi e dì: Baciami il Culo!"

Favola di New York
MacGowan/Finer

Nella cella dove mettevano gli ubriachi
era la notte di natale
ed un vecchio prima disse che non sarebbe arrivato al prossimo natale
E poi cantò una canzone
"The Rare Old Mountain Dew"
Io girai la faccia dall'altra parte
E sognai di te

Un colpo di fortuna
Diciotto a uno
Ho come la sensazione
Che quest'anno è per me e per te
Perciò buon natale
Ti amo bambina
Prevedo tempi migliori
Quando tutti i nostri sogni si realizzeranno

Loro posseggono automobili grandi come bar
Loro hanno fiumi d'oro
Ma il vento ti passa attraverso
non è un paese per vecchi
Quando mi hai preso la mano per la prima volta
in una fredda sera di Natale
Mi hai promesso
che Brodway stava aspettando me

Eri bella
Eri graziosa
La regina di New York
Quando la banda smise di suonare
Chiesero il bis a gran voce
Sinatra si dondolava sul palco
Erano tutti ubriachi e cantavano
Ci baciammo in un angolo
E attraversammo, ballando, la notte

I ragazzi del coro della polizia di New York
cantavano "Galway Bay"
e le campane stavano suonando
per il Natale

Sei un barbone
sei una testa di cazzo
Sei una vecchia zoccola drogata
Là sdraiata mezza morta ubriaca fradicia in quel letto
Tu pezzo di merda, tu verme
Tu piccolo insignificante finocchio
Buon natale al tuo culo
Prego Dio che sia l'ultimo per noi

Avrei potuto essere qualcuno
Beh, come chiunque
Hai strappato via i miei sogni
Fin dalla prima volta che ti ho trovato
Li avevo tenuti con me, bambina
Li avevo conservati
Non ce la posso fare da solo
Ho costruito i miei sogni attorno a te

I ragazzi del coro della polizia di New York
cantavano "Galway Bay"
e le campane stavano suonando
per il Natale

martedì 8 aprile 2008

Sciopero!



Oggi sono a casa. Mi sono alzato dal letto ad un'ora giusta, poi un po' di colazione, un caffé e un succo d'arancia, e adesso qui, a scrivere due cose che - stavolta - valgono davvero la pena di essere scritte. Era stato proclamato uno sciopero, per oggi martedì 8 aprile 2008. Lo avevano proclamato le Rdb-Cub delle agenzie fiscali. Uno sciopero contro l'ipotesi di contratto che la triplice (cgil-cisl-uil) si prepara a firmare, e che prevede un notevole peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti, e contro cui si sono espresse tutte le assemblee sui posti di lavoro. I sindacati tirano dritto, importa una sega loro del parere dei lavoratori! Uno bello sciopero, il primo, da tempo, proclamato un martedì, e non un lunedì o un venerdì per raccattare il più possibile prolungando il fine-settimana! Poi, già venerdì scorso, la notizia: la commissione di garanzia ha vietato lo sciopero indetto dalle rdb-cub. Per vizi di procedura, sembrerebbe, e allora ... "a RdB P.I. per evitare sanzioni di qualsiasi tipo nei confronti dei lavoratori, revoca lo sciopero proclamato per l’8 Aprile prossimo". E fin qui.... Senonché, ieri lunedì arriva una notizia quantomeno inconsueta: lo stesso sciopero, indetto per gli stessi motivi dai COBAS è confermato! Certo, a uno vien da chiedersi, allora, ma perché non aderire e chiedere ai lavoratori di aderire allo sciopero "non vietato"!!?? E invece andare in giro a convocare delle stupide assemblee dalle undici a mezzogiorno? Certo che la risposta vien facile. E la risposta attiene al fatto che gli interessi dei "sindacalisti" stanno avanti a tutto. Credo che "disgustoso", possa essere l'aggettivo giusto.
Vabbé, io intanto ho scioperato. Ma solo perché sono uno scioperato, ché mandarli tutti in culo sarebbe la cosa migliore da fare, se non l'unica!

Cleopatra



Danny Schmidt, uno dei tanti. Uno dei tanti folk-singer misconosciuti, forse il migliore, o forse no. Che importa? Forse i migliori testi mai messi in musica, oppure no. Che importa? Ad ogni modo, la sua abilità nel distendere le parole sopra melodie senza tempo, è indiscutibile. Forse i suoi dischi sono davvero dei capolavori, oppure lo è solo qualche canzone sparuta. Ma che importa? Comunque sia, vale più di un ascolto. Vale la magia della sua musica.


Cleopatra
di Danny Schmidt

La prima volta che ci incontrammo, lei mi disse che si chiamava Cleopatra
E non mi preoccupai affatto che lei stesse mentendo, sebbene lo sospettassi
Io le dissi che erao l'imperatore di tutto quello che cadeva sotto il mio sguardo
"Puoi chiamarmi Alessandro" -- bene, lei disse che era eccellente
Ce ne andavamo a zonzo su questa vecchia automobile
Era facile come chiacchierare del più e del meno

Lei mi raccontò di un suo fidanzato di quand'era al liceo che la voleva sposare
E altre storie sulla sua famiglia, che vorrei poter dire che erano vere
Lei passava natale in montagna e pasqua al mare
E sua madre si era sposata per i soldi, e il padre per errore
Ce ne andavamo a zonzo su questa vecchia automobile
Era facile come chiacchierare del più e del meno

Le dissi di quella volta che mi avevano arrestato nel parco
Per essermi baciato con una ragazza dopo il coprifuoco e per turpiloquio
E di come mi avevano accompagnato a pugni e schiaffi alla stazione di polizia
E trovai una busta di marijuana infilata nel sedile
Ce ne andavamo a zonzo su questa vecchia automobile
Era facile come chiacchierare del più e del meno

Le raccontai del mio incidente con i fuochi d'artificio
Lei mi disse tutto del suo viaggio a Samoa e dei suoi amori esotici
Confrontavamo le noste liste della spesa fra Brownsville e Bombay
E ci scambiavamo le storie delle noste vite
Ce ne andavamo a zonzo su questa vecchia automobile
Era facile come chiacchierare del più e del meno

Ma quando le cose cominciavano ad andare bene, lei scappò via
Ed io riuscii a dare una fugace occhiata alla vera essenza di Cleopatra
A casa, accovacciata, alla luce di una candela
Le sue dita sapevano di sigaretta e mi aspettava un'altra notte solitaria

Arriva il momento nelle tue notti passate al bar in cui le luci cominciano a diventare strane
E le ombre e la luce cominciano a compenetrarsi e a cambiare
Nell'incavo dei suoi zigomi si celava la fantasia e il viaggio
Lei mi baciò sulle labbra e sparì nella notte
Ce ne andavamo a zonzo su questa vecchia automobile
Era facile come chiacchierare del più e del meno

lunedì 7 aprile 2008

Le armi del cinema



L'Infernale Quinlan e Sierra Charriba. Il tormento e l'Estasi e Il Pianeta delle Scimmie. 1975: Occhi Bianchi sul Pianeta Terra e 2022: I Sopravvissuti.

e una domanda, provocatoria quanto basta:

"Al mondo una persona su dieci è armata…il problema è: come armiamo le altre nove?"

venerdì 4 aprile 2008

Ultracorpi Ultranormali




"Lasciati andare. Sarai sostituito e conoscerai finalmente la pace."

E' così che parlano, ne "L'invasione degli ultracorpi" ("The invasion of the Body Snatchers") di Don Siegel (sceneggiatura di Sam Peckinpah), gli invasori, con tono ipnotico, rivolgendosi al protagonista del film!
Sono "copie", gli ultracorpi, anche troppo fedeli, degli umani, identici in ogni minimo particolare ai terrestri, di cui vorrebbero prendere il posto, proditoriamente. Brutta gente, gli ultracorpi. Ancora più malintenzionati, se possibile, degli umani. E più stolidi, più routinari, più sdolcinati. Terribili, perché non sono degli alieni, ma piuttosto degli umani al quadrato!
Crescono, si sviluppano, dentro grossi enormi baccelli vegetali (imperdibile la gustosa parodia che ne fa Steno, in "Totò sulla luna", con un bizzoso Ugo Tognazzi, nato nel film da un grembo vegetale, che viene chiamato direttamente "un fagiolone"). Ma cosa accidenti vogliono questi baccelloni? Niente meno che sostituirsi agli umani e viverne la vita senza mutarne nulla, continuarla dal punto preciso in cui hanno voluto interromperla. L'ultracorpo del farmacista continuerà a vendere aspirine, e l'ultracorpo del poliziotto insisterà a passeggiare per la strada con fare sommessamente poliziesco e pacioccone.
E' questa la cosa più agghiacciante della storia, scritta da Jack Finney!
Che tutto, a invasione riuscita, debba continuare come prima, come se niente fosse stato.
Don Siegel - si vocifera - sembra che volesse chiudere il film diversamente da come ha fatto, con gli ultracorpi vincitori, in uno stato di quiete spaventosa.
Fu la produzione che, astutamente, gli impose un lieto fine, con gli umani alla riscossa.
Meno male!
Che razza di gente, gli ultracorpi. Come sarebbe stato meglio, più rassicurante e gradevole, se avessero voluto trasformare la terra in un posto inabitabile. COme tutti gli alieni che si rispettano, come gli invasori de "I vampiri dello Spazio", la seconda avventura del Dottor Quatermass. Ma niente da fare, gli ultracorpi sono troppo malvagi: vogliono che tutto si conservi inalterato. Non solo all'apparenza, ma anche in profondità.
Un mondo identico a questo, piatto e conforme, sempre uguale.
Ultracorpi: nostri vicini di casa, e nostro prossimo.

giovedì 3 aprile 2008

Ieri a Bologna



Il comizio futurista di Giuliano Ferrara è stato contestato. Il giornalista, fatto oggetto di lanci di uova, pomodori e sassi, è stato colpito più volte.
Facile così, eh, compagni!?
E' come tirare su un pagliaio!

Amore e Giustizia



Il nuovo disco di Billy Bragg, dopo sei anni. “Mr. love and justice”. Chitarre, bouzoki e una sezione ritmica, più l'organo di Ian McLagan. Non ha perso la speranza, Billy Bragg. "I Keep Faith", appunto. E' la sintesi del disco. La prima canzone del disco, la più bella. Vale il disco, si potrebbe dire, se la cosa non puzzasse troppo di retorica. Ma perché no? Un po' di retorica non guasta, soprattutto se sorretta da una forza melodica senza pari.
Rock e politica. Amore e Giustizia. Billy Bragg!

Tengo fede alle mie idee
di Billy Bragg

Se vuoi agitare le acque
Devi anche assumertene la responsabilità
Se, a volte, una nuvolaglia scura riempie il cielo e comincia a piovere,
La gente si lamenta
E anche se tu detesti
Scappare e nasconderti
Ascolta il mio cuore e mi troverai
Proprio dalla tua parte
Perché

Tengo fede alle mie idee
Tengo fede alle mie idee
Tengo fede alle mie idee
Ho fiducia in te
Sì ce l'ho
Ho fiducia in te

Se pensi di avere la risposta
Non essere sorpreso
Che quello che dici susciti rabbia
E disprezzo e bugie
Non importa quanto tu vuoi essere duro
Solo vieni via
Andiamo, mi troverai lì accanto a te
Sempre
Perché

Tengo fede alle mie idee
Tengo fede alle mie idee
Tengo fede alle mie idee
Ho fiducia in te
Sì ce l'ho
Ho fiducia in te

Tutti i sogni che condividiamo
Non ho mai conosciuto qualcuno che avesse a cuore
Queste cose, quanto ce l'hai tu
Non importa se cadremo
Insieme possiamo farcela

So che ci vuole un bel po' di coraggio
Per andare contro il potere del denaro
Ci sono da fare grandi sacrifici per un misero guadagno
E così tanto dolore
E se i tuoi progetti falliscono,
Lavati dalla pioggia,
Lasciami riaccendere tutte le tue speranze ed
aiutarti a ricominciare
Perché

Ho fiducia in te
Sì, è così, ho fiducia in te
Ho fiducia in te

Ho fiducia in te
Sì, è così, ho fiducia in te
Ho fiducia in te

mercoledì 2 aprile 2008

È ragionevole, chiunque lo capisce ...



Perché il socialismo?
di Albert Einstein

E' prudente per chi non sia esperto in materia economica e sociale esprimere opinioni sul problema del socialismo? Per un complesso di ragioni penso di sì.
Consideriamo dapprima la questione dal punto di vista della conoscenza scientifica. Potrebbe sembrare che non vi siano essenziali differenze di metodo tra l'astronomia e l'economia: in entrambi i campi gli scienziati tentano di scoprire leggi generalmente accettabili per un gruppo circoscritto di fenomeni, allo scopo di rendere il più possibile comprensibili le connessioni tra questi stessi fenomeni. Ma in realtà tali differenze di metodo esistono. La scoperta di leggi generali nel campo economico è resa difficile dal fatto che i fenomeni economici risultano spesso influenzati da molti fattori difficilmente valutabili separatamente. Inoltre l'esperienza accumulata dal principio del cosiddetto periodo civile della storia umana è stata, come ben si sa, largamente influenzata e limitata da cause che non sono di natura esclusivamente economica. Molti dei maggiori Stati, per esempio, dovettero la loro esistenza a conquiste. I conquistatori si stabilirono, giuridicamente ed economicamente, come classe privilegiata nel Paese conquistato. Essi si presero il monopolio della proprietà terriera e formarono un sacerdozio con uomini della loro classe. I preti, avendo il controllo dell'educazione, trasformarono la divisione in classi della società in un'istituzione permanente e crearono un sistema di valori dal quale, da allora in poi, il popolo si lasciò in gran parte inconsciamente guidare nella sua condotta sociale.
Ma la tradizione storica è, per così dire, di ieri; oggi noi abbiamo realmente superato quella che Thorstein Veblen chiamò la "fase predatoria" dello sviluppo umano. I fatti economici osservabili appartengono a quella fase e anche le leggi che noi possiamo ricavare non sono applicabili alle altre fasi. Poiché il vero scopo del socialismo è precisamente di superare e andare al di là della fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica nelle sue attuali condizioni può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro.
In secondo luogo, il socialismo mira ad un fine etico-sociale. La scienza, viceversa, non può creare fini, e ancormeno imporli agli esseri umani; essa, al massimo, può fornire i mezzi con cui raggiungere certi fini. Questi sono concepiti da persone con alti ideali etici e se essi non sono sterili, ma vitali e forti, sono assunti e portati avanti da quella larga parte dell'umanità che, per metà inconsciamente, determina la lenta evoluzione della società.
Per queste ragioni, noi dovremmo guardarci dal sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo presumere che gli esperti siano i soli che hanno il diritto di esprimersi su questioni che concernono l'organizzazione della società.
Da un po' di tempo innumerevoli voci asseriscono che la società sta attraversando una crisi, che la sua stabilità è stata gravemente scossa. Caratteristica di questa situazione è che gli individui si sentano indifferenti e persino ostili al gruppo, sia esso grande o piccolo, cui appartengono. Per illuminare questo concetto, ricorderò un'esperienza personale. Recentemente discutevo con un uomo intelligente e di larghe vedute sulla minaccia di una nuova guerra che, a mio giudizio, porterebbe gravi danni all'esistenza del genere umano, e facevo notare che solo un'organizzazione internazionale potrebbe proteggerci da questo pericolo. Allora il mio interlocutore, con molta calma e freddezza mi disse: "Perché siete così profondamente contrario alla scomparsa della razza umana?". lo sono sicuro che solo un secolo fa nessuno avrebbe fatto con tanta leggerezza una dichiarazione di questo genere. E' la dichiarazione di un uomo che si è sforzato di raggiungere il suo equilibrio interno e ha più o meno perduto la speranza di riuscirvi. E' l'espressione di una penosa solitudine e di un isolamento di cui molti soffrono. Quale ne è il motivo? C'è una via d'uscita?
E' facile sollevare queste questioni, ma difficile rispondervi con un certo grado di sicurezza. Tenterò tuttavia, come meglio posso, sebbene sappia che i nostri sentimenti e i nostri sforzi siano spesso contradditori e oscuri e non possano essere espressi in formule semplici e chiare.
L'uomo è, nello stesso tempo, un essere solitario e sociale. Come essere solitario, egli tenta di proteggere la sua esistenza e quella di coloro che gli sono vicini, di soddisfare i suoi desideri personali e di sviluppare le sue innate capacità. Come essere sociale, egli cerca di guadagnarsi la stima e l'affetto degli altri esseri umani, di partecipare alle loro gioie, di confortarli nei loro dolori e di migliorare le loro condizioni di vita. Solo l'esistenza di questi vari e spesso contradditori sforzi dà ragione del particolare carattere di un uomo, e le loro speciali combinazioni determinano in quale grado un individuo possa raggiungere un equilibrio profondo e contribuire al benessere della società. E' possibile che la relativa forza di questi due indirizzi sia in gran parte determinata dall'eredità. Ma la personalità che emerge alla fine è largamente formata dall'ambiente nel quale accade che l'uomo si trovi durante il suo sviluppo, dalla struttura sociale in cui cresce, dalle tradizioni di quella società e dal suo giudizio sui particolari tipi di comportamento. L'astratto concetto di "società" significa per l'essere umano individuale la somma totale dei suoi rapporti diretti e indiretti con i suoi contemporanei e con tutti gli uomini delle precedenti generazioni.
L'individuo è in grado di pensare, sentire, lottare e lavorare da solo; ma è tale la sua dipendenza dalla società, nella sua esistenza fisica, intellettuale ed emotiva, che è impossibile pensare a lui o comprenderlo fuori dalla struttura della società. E' la "società" che provvede l'uomo del cibo, dei vestiti, della casa, degli strumenti di lavoro, della lingua, delle forme di pensiero e della maggior parte dei contenuti del pensiero; la sua vita è resa possibile dal lavoro e dalle realizzazioni dei molti milioni di uomini, passati e presenti, che si nascondono dietro la piccola parola "società".
E' evidente perciò che la dipendenza dell'individuo dalla società è un fatto di natura che non può essere abolito; proprio come nel caso delle formiche e delle api. Tuttavia, mentre l'intero processo della vita delle formiche e delle api è fissato fin nei più piccoli dettagli dai rigidi istinti ereditari, il modello sociale e le relazioni tra gli esseri sociali sono molto variabili e suscettibili di mutamenti. La memoria, la capacità di nuove combinazioni, il dono della comunicazione verbale hanno reso possibili tra gli essere umani sviluppi che non sono dettati da necessità fisiologiche. Tali sviluppi si manifestano in tradizioni, istituzioni e organizzazioni, nella letteratura, nel perfezionamento scientifico e costruttivo, in opere d'arte. Questo spiega come accade che, in un certo senso, l'uomo possa influenzare la propria vita con la sua condotta, e che in quel processo possano avere una parte il pensiero e la volontà consapevoli.
L'uomo acquista dalla nascita, per eredità, una costituzione biologica che dobbiamo considerare inalterabile e fissa, che contiene gli impulsi naturali caratteristici della specie umana. Inoltre, nel corso della sua vita, egli acquista un abito culturale che riceve dalla società per mezzo di un complesso di rapporti e di molte altre specie di influenze. Questo abito culturale, col passare del tempo, è soggetto a mutamento e determina in grado molto elevato le relazioni tra l'individuo e la società. Su questo possono poggiare le loro speranze coloro che lottano per migliorare il destino dell'uomo; gli esseri umani non sono condannati, a causa della loro costituzione biologica, ad annientarsi l'un l'altro o a essere alla mercé di un destino crudele.
Se ci domandiamo come la struttura della società e l'atteggiamento culturale dell'uomo dovrebbero essere modificati al fine di rendere la vita umana quanto più possibile soddisfacente, dobbiamo essere costantemente consci che vi sono certe condizioni che non possono essere modificate. Come ho già detto, la natura biologica dell'uomo non è soggetta a mutamenti, almeno praticamente. Inoltre, gli sviluppi tecnologici e demografici degli ultimi secoli hanno creato condizioni destinate a durare. In popolazioni stabili e di densità relativamente elevata, con i beni indispensabili alla loro esistenza, sono assolutamente necessari un'estrema divisione del lavoro e un sistema produttivo altamente centralizzato. Il tempo, ai nostri occhi così idillico, in cui gli individui o gruppi relativamente piccoli potevano essere completamente autosufficienti, è passato per sempre. E' appena una lieve esagerazione affermare che il genere umano costituisce fin d'ora una comunità planetaria di produzione e di consumo.
Eccomi giunto al punto in cui mi è possibile indicare brevemente che cosa per me costituisca l'essenza della crisi del nostro tempo. L'individuo è divenuto più che mai consapevole della sua dipendenza dalla società. Questa dipendenza però egli non la sente come positiva, come un legame organico, come un fatto produttivo, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali o anche alla sua esistenza economica. Inoltre, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi egoistici del suo carattere vanno costantemente aumentando, mentre i suoi impulsi sociali, che sono per natura più deboli, vengono di mano in mano deteriorandosi. Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, sono danneggiati da questo processo di deterioramento. Inconsciamente prigionieri del loro egoismo, essi si sentono malsicuri, soli e privi dell'ingenua, semplice e non sofisticata gioia della vita. L'uomo può trovare un significato alla vita, breve e pericolosa com'è, solo votandosi alla società.
L'anarchia economica della società capitalistica, quale esiste oggi, è secondo me la vera fonte del male. Vediamo di fronte a noi un'enorme comunità di produttori, i cui membri lottano incessantemente per privarsi reciprocamente dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza ma, complessivamente, in fedele complicità con gli ordinamenti legali. Sotto questo punto di vista è importante comprendere che i mezzi di produzione -vale a dire tutta la capacità produttiva che è necessaria sia per produrre beni di consumo quanto per produrre capitale addizionale- può essere legalmente, e per la maggior parte dei casi è, proprietà dei singoli individui.
Per semplicità, nella discussione che segue, io chiamerò "lavoratori" tutti coloro che non partecipano alla proprietà dei mezzi di produzione, sebbene ciò non corrisponda all'uso abituale del termine. Il proprietario dei mezzi di produzione è in grado di comperare il potere-lavoro del lavoratore. Usando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuove merci che divengono proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione tra ciò che il lavoratore produce e la misura in cui viene pagato, misurando entrambe le cose in termini di valore reale. Dal momento che il contratto di lavoro è "libero", ciò che il lavoratore percepisce è determinato non dal valore delle merci che produce, ma dalle sue esigenze minime e dalla richiesta capitalistica di potere-lavoro, in relazione al numero dei lavoratori che sono in concorrenza tra di loro per i posti di lavoro. E' importante comprendere che anche in teoria il pagamento del lavoratore non è determinato dal valore del suo prodotto.
Il capitale privato tende a essere concentrato nelle mani di una minoranza, in parte a causa della concorrenza tra i capitalisti e in parte per il fatto che lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro incoraggiano la formazione di più larghe unità di produzione a spese delle più piccole. Il risultato di questo sviluppo è un'oligarchia del capitale privato, il cui enorme potere non può essere effettivamente arrestato nemmeno da una società politica democraticamente organizzata. Ciò è vero dal momento che i membri dei corpi legislativi sono scelti dai partiti politici, largamente finanziati o altrimenti influenzati dai privati capitalisti che, a tutti gli effetti pratici, separano l'elettorato dalla legislatura. La conseguenza si è che di fatto i rappresentanti del popolo non proteggono sufficientemente gli interessi degli strati meno privilegiati della popolazione. Inoltre, nelle condizioni esistenti, i capitalisti privati controllano inevitabilmente, in modo diretto o indiretto, le principali fonti d'informazione (stampa, radio, insegnamento). E' così estremamente difficile, e in realtà nella maggior parte dei casi del tutto impossibile, che il cittadino privato giunga a oggettive conclusioni e a fare un uso intelligente dei suoi diritti politici.
La dominante in un'economia fondata sulla proprietà privata del capitale è caratterizzata da due principi basilari: primo i mezzi di produzione (il capitale) sono posseduti da privati e i proprietari ne dispongono come meglio credono; secondo, il contratto di lavoro è libero. Naturalmente una società capitalistica pura, in questo senso non esiste. In particolare si dovrebbe notare che i lavoratori, attraverso lunghe e dure lotte politiche, sono riusciti ad assicurare per certe loro categorie una forma alquanto migliorata di "libero contratto di lavoro". Ma, presa nell'insieme, l'economia odierna non differisce dal "puro" capitalismo.
Si produce per il profitto, non già per l'uso. Non esiste alcun provvedimento per garantire che tutti coloro che sono atti e desiderosi di lavorare siano sempre in condizioni di trovare un impiego; un "esercito di disoccupati" esiste quasi in permanenza. Il lavoratore vive nel costante timore di perdere il suo impiego. Poiché i disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano un mercato vantaggioso, la produzione delle merci per il consumo è limitata, con conseguente grave danno. Il progresso tecnico spesso si risolve in una maggiore disoccupazione, piuttosto che in un alleggerimento del lavoro per tutti. Il movente dell'utile, insieme con la concorrenza tra i capitalisti, è responsabile dell'instabilità nell'accumulazione e nell'utilizzazione del capitale, destinata a portare a crisi sempre più gravi. Una concorrenza illimitata porta a un enorme spreco di lavoro e a quel deterioramento della coscienza sociale degli individui cui ho prima accennato.
Questo avvilimento dell'individuo io lo considero il maggior male del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo ne è danneggiato. Un'attitudine competitiva esagerata viene inculcata allo studente, così condotto, come preparazione alla sua futura carriera, ad adorare il successo.
Sono convinto che vi sia un solo modo per eliminare questi gravi mali: la creazione di una economia socialista, accompagnata da un sistema educativo volto a fini sociali. In una tale economia i mezzi di produzione sono di proprietà della società e vengono utilizzati secondo un piano. Un'economia pianificata che adatti la produzione alle necessità della comunità, distribuirebbe il lavoro tra tutti gli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza a ogni uomo, donna e bambino. L'educazione dell'individuo, oltre che incoraggiare le sue innate qualità, dovrebbe proporsi di sviluppare il senso di responsabilità verso i suoi simili, invece dell'esaltazione del potere e del successo che è praticata dalla nostra attuale società.
E' tuttavia necessario ricordare che un'economia pianificata non è ancora socialismo. Un'economia pianificata come questa può essere accompagnata dal completo asservimento dell'individuo. Il raggiungimento del socialismo richiede la soluzione di alcuni problemi politico-sociali estremamente difficili: come è possibile in vista di una centralizzazione di vasta portata del potere politico ed economico, impedire che la burocrazia divenga potente e prepotente? Come possono essere protetti i diritti dell'individuo ed essere con ciò assicurato un contrappeso democratico alla potenza della burocrazia?

Albert Einstein (da Monthly Review, New York, maggio 1949)