lunedì 31 marzo 2008

Tutti parlano del tempo ...



Chissà mai perchè Alessandro Bertante ce l'ha così tanto "Contro il '68"?
Chissà mai perché, lo stesso Alessandro Bertante ha così tanto in considerazione Pietrangelo Buttafuoco, da scrivere su "Pulp" una recensione entusiasta dell'ultima fatica del Buttafuoco, noto uomo di potere, oltreché sodale di Giuliano Ferrara e nazifascista!?
Sarà quella voglia di "superamento delle ideologie"? La stessa voglia che porta, per l'appunto, una casa editrice come "Agenzia X", a pubblicare un libro come "Ernst Junger - terrore e libertà" in cui si dichiara che "colui" dovrebbe essere un "punto di riferimento imprescindibile per chiunque non voglia arrendersi alla normalizzazione globale del pensiero e dell'azione"? Brrrrrrrrr...Chissà!
Ma forse quello che, inconsapevolmente o meno, viene proposto è, piuttosto un livellamento delle ideologie.
Si pone, teoricamente, sullo stesso piano marxismo e fascismo. Ed è facile, basta sottrarli al contesto della lotta di classe (che sarà mai diventata, costei?). Cosìcché l'intellettuale borghese "illuminato" (e in quale altro modo potrebbero essere chiamati!?) potrà concedere i suoi favori all'una o all'altra ideologia, a seconda che, nel suo intimo, egli propenda verso "spada-onore-sepolcro" oppure verso "liberté-egalité-fraternité" (ma va bene anche "bandiere rosse al vento").
Sarà una scelta che affonda nell'"intimo spazio oscuro", e ci sarà spazio per tutte le soluzioni ambigue intermedie.
Do you remember nazi-maoisti?

venerdì 28 marzo 2008

de bello civili



"Una guerra civile non è stupida come una guerra tra nazioni, gli italiani in guerra contro gli inglesi o i tedeschi contro i russi, ed io zolfataro siciliano ammazzo il minatore inglese e il contadino russo spara sul contadino tedesco; una guerra civile è un fatto più logico, un uomo si mette a sparare per le persone e per le cose che ama, e per le cose che vuole, e contro le persone che odia: e nessuno sbaglia a scegliere da quale parte stare, solo quelli che si mettono a gridare "pace" sbagliano."
(...)
"Il popolo, per esempio, dice "sbirri" spregiando persone che per mestiere assicurano la pubblica tranquillità, che sono il braccio della legge: ingiusto dunque, e incivile, il disprezzo del popolo appare; e tanto più se si pensa che dal popolo lo sbirro proviene. Ma una guerra civile vi fa capire subito che cosa è uno sbirro e perchè il popolo lo disprezza. Mi sono domandato spesso quali ragioni le guardie civili avessero per stare dalla parte di Franco: tradivano il giuramento di fedeltà alla Repubblica e tradivano il popolo di cui erano figli; né si può pensare stessero con Franco per forza di circostanze, per paura dei loro ufficiali o soltanto per obbedienza; ché dalla Repubblica disertavano rischiando la vita, alla spicciolata e in gruppi. L'unica ragione non poteva essere che questa: erano sbirri, con tutta la prepotenza e malvagità che il popolo attribuisce agli sbirri, e sapevano che nella Spagna di Franco potevano continuare ad essere sbirri, ad incutere paura, da umana feccia che erano levarsi davanti al popolo in vibrante autorità. Gli spagnoli dicono "con rispetto parlando" quando gli capita di nominare la guardia civile: come i nostri contadini quando nominano certe parti del corpo o cose immonde; non tutti gli spagnoli, si capisce."
Leonardo Sciascia - L'antimonio -

giovedì 27 marzo 2008

Analogie



"Non c'è motivo per cui il bene non possa trionfare sul male,
se solo gli angeli si dessero un'organizzazione ispirata a quella della mafia."

Kurt Vonnegut - "Un uomo senza patria" - Minimum Fax

My Heroes Have Always Been Cowboys!



Richard Widmark
26 Dicembre 1914 - 24 Marzo 2008

mercoledì 26 marzo 2008

solitudini



Stanco, cattivo e incazzato. Come il "Gunny" di Clint Eastwood. E in più reietto. Come nessuno mai. Questo è Muller, il protagonista de "L'uomo nel labirinto" ("The Man in the Maze") di Robert Silverberg. Forse il primo fra tutti i personaggi inquietanti che poi, Silverberg, a partire dal 1969, continuerà a proporre.
Un esploratore spaziale, di quelli che la fantascienza classica, quella degli "anni d'oro", continuava a sfornare a ritmo serrato. L'ambito, quasi altrettanto classico, è quello di uno spazio conosciuto che pullula di colonie terrestri lasciate a sé stesse, fuori da ogni controllo centrale. Molte di queste colonie sono state praticamente dimenticate. La terra cerca di riallacciare i fili, e sarà proprio durante una missione di controllo su una pianeta della stella Beta Hydri che il destino di Muller verrà segnato per sempre. Ha fatto tante esperienze, Muller. "Esperienze indimenticabili" - secondo la sua espressione più consueta. Ammirato ed elogiato, si ritiene furbo. Troppo furbo.
Così, sarà lui, a diventare una sorta di esperienza, per gli altri. Per tutti gli altri che gli si avvicinano troppo!

"Nel calarmi fra le nuvole, per raggiungere gli Hydrani, mi sentivo invulnerabile come un dio. E lo ero anche sulla via del ritorno. Ma gli dei - quelli veri - hanno provveduto a ridimensionarmi a dovere. Decisero di ricordarmi l'esistenza della bestia viscida sotto l'involucro di plastica, del cervello animale insito nell'intelletto superiore. Quindi fecero sì che gli Hydrani si divertissero a truccarmi le meningi, che mettessero in atto uno dei giochi di prestigio in cui sono più esperti, probabilmente. Non so dire se lo abbiano inteso come una forma di dispetto, oppure se abbiano voluto porre rimedio a quella che, magari, era per loro un'imperfezione, ossia l'incapacità di rivelare, senza riserve, agli altri tutto quanto si addensa nella propria psiche individuale. Gente diversa - valli a capire! Comunque sia, sono riusciti nel loro intento. E così tornai sulla terra come un eroe, e come un lebbroso allo stesso tempo. Ora chi si avvicina a me soffre intensamente. Perché? Perché trovandomi immerso, senza scampo, nella mia natura animale, ognuno vive fino in fondo la propria animalità, le proprie bassezze; e questo è insopportabile. E' un giro vizioso - voi mi aborrite soprattutto in quanto, per mio tramite, vi sentite smascherati, trascinati a viva forza dinanzi alla realtà nuda e cruda della vostra anima. E, a mia volta, io vi odio perché voi mi respingete. Io sono il portatore di un morbo terribile che si chiama Verità. L'insegnamento che se ne può trarre è che l'uomo deve considerarsi fortunato a poter nascondere la sua essenza individuale nelle latebre della scatola cranica; poiché se noi avessimo un benché minimo potere telepatico - anche la semplice possibilità di trasmettere un messaggio impreciso, sconnesso, che non sia verbalmente formulabile, come è appunto il mio - ebbene, saremmo incapacidi sopportarci l'un l'altro. La convivenza sociale sarebbe inconcepibile. Agli Hydrani è dato naturalmente di conoscere la sostanza intima individuale del prossimo e sembrano esserne soddisfatti. A noi non è concesso. E proprio questo mi lascia supporre che l'uomo sia l'essere più spregevole di tutto l'universo, una creatura che non riesce a tollerare neanche l'odore genuino, primordiale, della sua stessa specie."

Per questo, Muller andrà a nascondersi nel luogo più impenetrabile dell'universo: il Labirinto di Lemnos. Una città inespugnabile su un pianeta oramai disabitato da milioni di anni. Silenzioso e vuoto, inerte tranne che per i movimenti automatici dei suoi meccanismi perfetti.
Sarà lì, quando verranno a cercare di convincerlo ad affrontare un'invasione extra-galattica che minaccia la razza umana. E lui si lascerà convincere. Gli alieni, terrorizzati dalle emozioni che la mente di Muller trasuda, abbandoneranno i loro progetti di conquista. Non senza prima aver ripulito Muller di tutto il suo lerciume inconscio.
Muller che, a questo punto, potrebbe anche tornare fra i suoi simili, ha ormai preso troppo gusto alla sua solitudine, e deciderà di tornare nel suo Labirinto.

martedì 25 marzo 2008

Un Posto Sicuro



Erano anni che non sentivo la voce di Marc Cohn. Ricordo ancora la sorpresa quando ascoltai, anni fa, il suo primo vinile. Poi, come succede troppo spesso, il tempo porta via. Ti allontana, ti fa dimenticare. Trascuri, tralasci, con la solita vecchia scusa - ed il fatto che sia vero non la rende meno banale, la scusa - che non si può star dietro a tutto. E perdi qualcosa, magari di prezioso, che ti potrebbe servire in certi momenti piuttosto che in altri.
Poi, per caso, di sera, dopo una giornata che un po' ti ha stancato, persa a rincorrere e a ri/conoscere amici nuovi e vecchi, in qualche posto che non avresti pensato mai. Una sera, ti lasci andare alla leggerezza di un episodio da televisione e ... rimani colpito. Dalla voce, dalla melodia, dal rintocco delle parole che si susseguono. Con violenza e dolcezza.
Così è facile, poi, oggi, trovarla la canzone - e chi la cantava - e metterla qui.
Ché magari a qualcuno può servire. . .

Un posto sicuro
di Marc Cohn

Quante strade hai viaggiato
Quanti sogni hai inseguito
Atraverso spiagge e cielo e strade sterrate
Cercando un posto sicuro
Un posto sicuro

Farai un atterraggio più morbido
Quando dopo aver perso la grazia di dio
cadrai fra le braccia della comprensione
Cercando un posto sicuro
Un posto sicuro

La vita è una prova del fuoco
E l'amore è il sapore più dolce
E prego che ci porti sempre più in alto
Verso un posto sicuro
Un posto sicuro

Quante strade hai viaggiato
Quanti sogni hai inseguito
Atraverso spiagge e cielo e strade sterrate
Cercando un posto sicuro
Un posto sicuro

Un posto sicuro
Questo è tutto. Questo è tutto Questo è tutto.

venerdì 21 marzo 2008

Ci sono poteri buoni?



"Dimmi, sei ancora sicuro che nessuno abbia dedotto la nostra ...uhm ... dinamica personale?" Con queste parole, Michaelmas si rivolge a Domino, il super-computer che egli ha costruito, nel corso di molti anni, a partire da un primito sistema elettronico escogitato per non farsi addebitare gli scatti telefonici.
"Perfettamente sicuro." ribatte Domino, con tono scandalizzato "Richiederebbe un ordine di integrazione in pratica impossibile. Ed io controllo continuamente. Nessuno sa che io e lei dominiamo il mondo!"

Michaelmas è il protagonista di un romanzo del 1977 di Algis J. Budrys, "Progetto Terra", che si rivela quasi una sorta di sereno esorcismo nei confronti di un mondo inquieto e ingovernabile. Budrys mette sulla carta l'utopia dei media, in una cornice da commedia, amara e leggera allo stesso tempo, quasi confortante.
Il mondo viene "cibernetizzato", senza dolore, e sottoposto al dominio delle tabelle e delle statistiche, alla ricerca di ogni traccia di alterità, di deviazione, da isolare. Michaelmas, e la sua estensione cosmica Domino, è la sentinella che vigila, scongiura le guerre, punisce i malvagi e sventa le invasioni aliene. Nessuno saprà mai a chi deve la propria salvezza, e a nessuno importa. d'altra parte.
Il calcolatore, Domino, virtualmente onnisciente dà del lei al suo signore. Un tempo le macchine si ribellavano ai loro creatori! Ma questo "Dottor Frankenstein" è troppo buono, troppo saggio, troppo altruista, troppo generoso. Un nonno saggio che si dondola seduto sulla veranda dell'universo. Viene il sospetto che la sua creatura sia un po' tonta! Ma forse qualcosa sfugge, qualcosa che non si lascia afferrare facilmente. Forse un qualche altro potere segreto, quello pubblico. Quasi incoffessabile. Ma, del resto, era ancora il 1977, e la storia è ambientata nel 1999. E Michaelmas è un importante cronista televisivo.

giovedì 20 marzo 2008

fratelli



In una cameretta per ragazzi, le tende tirate, buio, tranne che per la luce ambrata che emana da una radio, uno di quei modelli anni '50. Due ragazzi, due fratelli, uno di sei e l'altro di dodici anni, sdraiati sul letto, ascoltano una stazione che trasmette musica country dal Grand Ol' Opry, cantando.
Due anni dopo, il più giovane dei due suona "Desolation Row" con il suo ukulele. Ben presto abbandonerà quello strumento per imparare il flauto, il violino e la chitarra.
Nel giro di dieci anni, Garnet Rogers, sarà sulla strada, musicista a tempo pieno insieme a suo fratello Stan.
Questa canzone parla di due fratelli...

Frankie e Johnny
di Garnet Rogers

Io e Johnny eravamo fratelli
Sebbene non ci assomigliassimo molto
Non avevamo molto in comune
Condividevamo poco più che il cognome.

Lui era grande e vivace e bello
Io ero tranquillo, pallido e schivo
Parlava come un fulmine
Io spiccicavo parola a malapena
Laddove io incespicavo, lui avrebbe potuto volare.

Così, otteneva tutto facilmente
Mentre io dovevo darmi da fare
Dove io procedevo quasi strisciando
Johnny aveva il tocco di Mida
Era veloce ad arrabbiarsi, veloce a ridere, veloce a battersi
Veloce a perdonare
Viveva ogni giorno come se fosse l'ultimo
Io, semplicemente vivevo
Andò via di casa quando io avevo diciotto anni
Rammento ancora la sua faccia
Aspettammo invano una sua lettera
Via via che si spostava da una città all'altra
Io mi sistemai e mi sposai
Feci un mutuo e due figli
E gli invidiai la sua libertà
Ed imparai presto anche a nasconderlo.

Coro:
Se ami qualcuno
Puoi darlo a vedere?
Tienili vicini a te e dillo loro
Cosicché sappiano
Prima che sia troppo tardi
Da' loro tutto l'amore che hai, giorno per giorno.

Johnny morì quando io avevo trent'anni
Una morte senza senso, quasi per caso
Lo seppi, misi giù il telefono
Non riuscivo a respirare
I miei genitori la presero anche peggio
Perché io avevo perso un fratello
Ma loro avevano perduto il figliol prodigo
Ciascuno prese su di sé il dolore dell'altro
Provai a sostituire Johnny
Provai ad essere un figlio migliore
Per poco non mi uccise, provare a vivere per due
Potevo solo vivere una vita

Coro

Così mi ritrovai ad essere il solo
Ad andare a prendere i suoi effetti personali
Non ho parole per dire quanto fosse duro frugare i suoi cassetti
Mi sembrava così reale, così vicino
Quest'uomo che avevo conosciuto a malapena
Per la cui libertà ero così risentito
Con ogni cosa che mi girava intorno

E fu così che trovai il pacchetto
Era legato con uno spago
Tagliai il nodo, e lo aprii
E mi rivelò così tante cose
C'erano le lettere
Che non aveva mai spedito
Erano quasi tutte indirizzate a me
E ad ogni pagina, mi rivelarono il prigionero
L'uomo che io avevo immaginato libero
Aveva scritto "Frank
tu pensi che io abbia così tanto
E in realtà ci sono poche cose che non ho fatto
Ma tu sei amato e capace di restituire amore
Sei tu quello fortunato
Il solo fortunato, Frankie
Hai famiglia, amici ed una moglie
E tutto quello che diranno quando non ci sarò più
è che ho avuto una vita intrigante"
E ancora "Frank io non so proprio dire quelle parole
Siamo così diversi noi due
E se tu stai leggendo allora io sono morto
Così Frank, io ti voglio bene"

Coro

Il giorno dopo era tardi
Quando arrivai a casa
Mia moglie era già a letto
Si allungò, si stiracchiò e mi fece spazio
"Va tutto bene?" chiese
E io mi sdraiai sul letto e la tenni vicino
E le baciai i capelli
Poi prendendole la mano
"Ti voglio bene". Dissi.

Coro

mercoledì 19 marzo 2008

visioni



La storia raccontata nel fumetto "Y: L'ultimo uomo", sta per arrivare al suo termine, e la versione cinematografica - in pre-produzione dal 2006 - arriverà al cinema durante il prossimo anno. In America, l'evento ha già ridato fiato al cliche del "pianeta dominato dalle donne".
Baldi astronauti sono pronti, dovunque, ad avventurarsi in mondi dove gli uomini sono soggiogati dalle donne, o dove non ci sono per niente uomini. Ma la fantascienza ci ha anche fornito una serie di mondi dominati da culture lesbiche.

Ammonite di Nicola Griffith - Un misterioso virus ha ucciso tutti gli uomini, insieme a gran parte delle donne, sul pianeta Jeep, e quelle che sono sopravvissute sono cambiate, sviluppando una sorta di inconscio collettivo junghiano cui tutte hanno accesso.

Houston, Houston, Do you read? (Houston, Houston, ci sentite?) di James Tiptree Jr. - Un trio di astronauti viene lanciato per una missione intorno al sole, ma una tempesta solare li spedisce di qualche centinaio di anni avanti nel tempo, in un'epoca in cui un'epidemia ha sterminato tutti gli uomini e gran parte delle donne. Le sopravvissute si riproducono per mezzo della clonazione, ed un certo numero di bambine viene cresciuto con ormoni maschili, allo scopo di renderle più grandi e forti. I tre astronauti sono eccitati all'idea di essere gli unici uomini in un mondo di donne, ma le donne non hanno alcuna intenzione di lasciarli vivere.

Walk to the End of World e Motherlines di Suzy McKee Charnas - Un'orribile società maschile omosessuale domina il mondo e rinchiude le donne in fattorie, usandole come animali da allevamento, per la riproduzione. Ma "The Motherlines", un'organizzazione lesbica, lotta per liberare le donne. Nomadi, e a cavallo, hanno un modo "interessante di riprodursi: usano il seme dei cavalli maschi come catalizzatore.

The Marq'ssan Cycle di L. Timmel Duchamp - Nel 2076, in un futuro distopico, il mondo è governato da lesbiche, ed una organizzazione che vive nella Zona Libera delle Donne, che si oppone alla classe dirigente, è egualmente composta da lesbiche.
"Gli uomini che fanno parte della classe dirigente sono stati "riparati", il che significa che sono in grado di riprodursi ma sono del tutto disinteressati all'atto sessuale se non come mezzo per ottenere un fine. Essi non traggono alcun piacere fisico dall'atto sessuale, la qual cosa significa che si sentono liberi di perseguire i loro interessi e le loro vocazioni senza soffrire di alcun conflitto interno. Le donne sono quasi del tutto omosessuali, tranne quando è necessario compiere quello spiacevole atto per riprodursi."

Into Ocean di Joan Slonczewski - Il pianeta Valedon è dominato da una cultura materialista ed è strutturato in un rigido sistema di classi, ma la sua luna, Shora, è coperta da un oceano poco profondo in cui vivono donne lesbiche dotate di branchie. La loro società è priva di uomini e possiede una scienza biologica super avanzata. Si riproducono per partenogenesi e comunicano a grandi distanze usando gli insetti a tal scopo. Vivono in pace ... fino a quando arriva un eservito da Valedon per portare "sviluppo" a Shora.

The Wanderground di Sally Gearhart - Una collezione di storie a proposito di una futura utopia lesbica, in cui le donne possono comunicare telepaticamente, non solo fra di loro ma anche con gli animali e le piante. Possono parlare ai fiori! Crescono i figli in collettività e muiono quando lo decidono.

Virgin Planet di Poul Anderson - Potrebbe sembrare la storia tradizionale dell'astronauta che visita un pianeta tutto di donne, tranne che per il fatto che le donne sono tutte lesbiche. Simile a World without Men di Charles Maine, in cui una distopia lesbica viene salvata da un uomo creato mediante sperma congelato.

Solution Three di Naomi Mitchison - La classe dominante è formata esclusivamente da gay, tranne che per pochi "devianti". La clonazione ha rimpiazzato la riproduzione sessuale, ma alcune donne si ribellano e partoriscono i propri figli. L'eterosessualità è vista come disdicevole in quanto porta alla violenza e all'aggressività.

Shore of Women di Pamela Sargent - In una distopia post-nucleare, i sessi sono stati discriminati. Le lesbiche vivono in città, mentre gli uomini, allo stato selvaggio, si nascondono nei territori devastati. "Ogni tanto gli uomini vanno nei templi dove si uniscono alla signora", e con ciò si intende che fanno sesso virtuale con false dee. Durante queste simulazioni, gli uomini vengono "munti" del loro seme, che poi viene usato per l'inseminazione artificiale delle donne che vivono nelle città. Una donna che uccide un'altra donna viene esiliata, allontanata dalla città e condannata ad un orribile destino nel territorio selvaggio degli uomini. Ma c'è un risvolto scioccante: gli uomini sono così condizionati ad adorare le donne così che, quando le incontrano di persona, rimangono estasiati.

martedì 18 marzo 2008

se ...



"Benvenuti nel Distretto federale di Sitka, in Alaska, dove il governo degli Stati Uniti ha accolto i sopravvissuti dell'Olocausto e di un'altra catastrofe: il crollo, nel 1948, del neonato Israele sotto l'attacco dei paesi arabi. A Sitka si parla yiddish e inglese (ma anche tedesco, ungherese, polacco, russo ...), rabbini ultraortodossi governano veri e propri imperi criminali osservando scrupolosamente lo SShannat, e lo humour nero è una specie di antigelo indispensabile per affrontare le difficoltà dell'esistenza (perché "sono tempi strani per essere un ebreo"). A fare i conti con le macerie della propria vita è l'agente Meyer Landsman, che nel frattempo deve anche risolvere un caso di omicidio: è stato ucciso un campione di scacchi eroinomane, e forse dietro la sua morte c'è un'oscura cospirazione, o il nuovo esodo che incombe sugli ebrei di Sitka, o l'attesa del Messia."

Così,la quarta di copertina de "Il sindacato dei poliziotti Yiddish" (The Yiddish Policemen's Union) di Michael Chabon che immagina come Roosvelt, nel 1948, abbia permesso agli ebrei di fondare su un'isola dell'Alaska un proprio stato. A partire da quest'idea e da una raccolta di frasi in yiddish, "Say It in Yiddish", pubblicato nel 1958 e che descrive la parlata Yiddish moderna come se fosse la lingua ufficiale di un paese che non esiste più, Michael Chabon si è trovato ad immaginare, nei dettagli, un luogo ipotetico. E ha sentito il bisogno di scriverne. Lo spunto, daltro canto, è reale. La proposta di accogliere gli ebrei in Alaska venne presentata al Congresso nel 1940!
Il concetto "fanta-scientifico, "il cardine Jombar", è riferito a "La Legione del Tempo" di Jack Williamson, ed individua un avvenimento - cardine, per l'appunto - che, modificato, porta ad un futuro diverso. O meglio, ad un presente diverso.
Nel romanzo, la guerra mondiale è finita solo nel 1946 e la Germania ha conquistato l'Unione Sovietica nel 1942, poco prima che Berlino venisse ditrutta dalla bomba atomica. L'Olocausto si è fermato prima, causando "solo" due milioni di morti. Nel 1948, subito dopo essere stato fondato, Israele è stato annientato da una coalizione araba. Così, la più grande comunità ebraica al mondo si trova stanziata in Alaska.
Il protagonista, un detective alcolista della squadra omicidi di Sitka, si troverà ad affrontare un complotto che intende distruggere l'enclave ebraica.
Il successo del libro, sembra esser stato tale che la "Columbia Picture" ne ha acquisito i diritti per la trasposizione cinematografica, ed avrebbe messo in mano sceneggiatura e regia ai fratelli Coen.

Michael Chabon - Il sindacato dei poliziotti Yiddish - Rizzoli - 19 euri

venerdì 14 marzo 2008

"Preferirei indire una mattinata di supposizioni"!



Ecco, ritengo che il verso di Majakovskji sia oltremodo appropriato, a fronte del vento di celebrazioni che sta spazzando questo povero anno.
Sessantotto, Duemilaotto!
Con l'otto non ho mai avuto un bel rapporto: ricordo che quando ero troppo piccolo per riuscire a tracciarlo con la dovuta disinvoltura, mettevo in atto lo sporco trucco di costruire due piccoli tondi, uno sull'altro, Epperò, dal momento che questo vento ci soffia addosso, quasi schiaffeggiandoci la faccia, a volte, bisognerà pur registrarlo.
Libri, articoli su giornali e riviste, raduni di vario genere, e siamo appena all'inizio! Ed io? Io leggo, e vado, per quanto mi è possibile. Forse perché da lì provengo, e non mi dispiace verficare quanto diceva Camus a proposito del fatto che, dopo i cinquant'anni, ciascuno ha la faccia che si è meritato.
Le facce, accanto all'articolo, non ci sono di solito. Ragion per cui, ignoro la faccia che ora ha Fulvio Iannaco il quale, su Left (già Avvenimenti), scrive del 1968, e lo fa "uccidendo", a modo suo, i padri. Liberandosene. Solo che non lo vedo questo gran guadagno, a farsi adottare dal presidente uscente della camera, pagando il prezzo di definire "esule folle e intabarrato" chi, al contrario degli psicoterapeuti che ora gli illuminano la via (e anche il blog), non ha mai ... venduto la primogenitura per un piatto di lenticchie. Se ne coltiva, di rancore!
Certo che quarant'anni non son pochi, e sicuramente viene la tentazione di far quadrare in qualche modo il cerchio! Far quadrare quello che sei ora con quello che eri quarant'anni fa, oppure far quadrare quello che eri quarant'anni fa con quello che sei ora. E non è affatto la stessa cosa! Franco Piperno, nel suo libro, " '68 L'anno che ritorna", tenta la seconda operazione. Con fortuna alterna, a mio avviso. Forse si riesce ad evincerlo fin dalla prefazione, dove non si riesce a capire se i sei capitoli (come dice l'incipit) che compongono il libro dovessero essere sette (quando va a sommare quattro più due più l'ultimo capitolo). Non credo abbiano importanza, più di tanto, i refusi, come quando afferma che nel dopoguerra il tasso di nascita si sarebbe quintuplicato. E rispetto a quando? All'anteguerra? No, credo intendesse parlare del tasso di scolarizzazione. Oppure dell'abbattimento della mortalità infantile, grazie agli antibiotici. Ma non ritengo si possa affermare che le "nostre" famiglie composte da una media di due tre figli, fossero più numerose di quelle dei nostri padri e madri, composte da sei sette figli, in media.
Un particolare curioso, i personaggi femminili - anche quelli "famosi" - sono rammentati solo per nome, diversamente dall'altro genere.
La narrazione e il ricordo, via via, assumono dei connotati che sembrano parlare di "rivisitazione" di un "comunismo" che ricordo diverso da quello descritto nelle sue componenti. Prevale una considerazione del "rapporto amicale" che sembra tutto informare e tutto spiegare. Ed anche il ricordo degli scontri aspri con le componenti arretrate, come il sindacato e "i cattolici" (cui sono portato ad attribuire tutte le peggiori responsabilità) sfumano. Anche il movimento studentesco della statale, tristemente stalinista, viene assolto nelle sue componenti per "aver tenuto fede a ciò che, all'inizio e tra loro, li aveva resi amici". Convince la posizione sulla violenza e la critica della non-violenza e le pagine si animano di vita propria quando cominciano a parlare del meridione. Mentre non ritengo sufficiente l'analisi per cui "i nostri nemici hanno vinto perché hanno usato la violenza in modo assai più spregiudicato e sleale di quanto avessimo fatto noi". A meno che non si faccia rientrare nella violenza anche tutti quei fenomeni che, dalla droga all'ideologia del disimpegno (propagandata da certi guru), hanno scompaginato quello che del movimento rimaneva.
Ma sono punti di vista, addirittura quasi oziosi, forse inutili, come inutili mi sono parse le pagine che indugiavano su De André, Celentano e Battisti, forse messe lì a cercare di dare un quadro più completo di un periodo.
Non so se Franco abbia letto lo splendido saggio di Furio Jesi, "Spartakus. Simbologia della rivolta", ma le pagine del capitolo su "Il '68 contro il dio Progresso" mi hanno riportato alla mente quelle di Jesi sulla sospensione del tempo storico.
Sembra sfibrata, e senza forza, la conclusione che invoca un "potere studentesco" (che dovrebbe camminare sulle gambe di una "minoranza comunitaria" di studenti) in grado di riannodare i fili col '68.
Ma il libro, nel suo complesso, ha il coraggio di assumere la responsabilità di scommettere.
Come si dovrebbe fare sempre, e non solo in un clima di rievocazione!

giovedì 13 marzo 2008

200 metri che non finiscono mai



Il più grande gesto atletico 
16 ottobre 1968. La protesta dei due atleti alle Olimpiadi di Città del Messico si iscrive nella galleria degli atti memorabili. Tommie «Jet» Smith e John Carlos diventarono gli eroi di chi non ha visibilità e parola. Qualche giorno prima il presidente Gustavo Diaz aveva ordinato il massacro degli studenti 
 
Ecco la foto di Tommie «Jet» Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico, cerimonia di premiazione il 16 ottobre 1968 per i 200 metri dove erano risultati rispettivamente primo (con record di 19' e 83") e terzo. Si presentano scalzi in calzini neri (per solidarietà con i diseredati), abbassano la testa in segno di lutto e alzano il pugno chiuso guantato di nero in perfetto stile Black Power. Erano studenti della San José State University, che trentasette anni dopo dedicherà loro nel campus un monumento alto sette metri, in bronzo e fibra di vetro. La commemorazione della contestazione e del successivo boicottaggio dei due atleti diventa un'allegoria del respect dovuto all'impegno e alla razza.
Nella notte fra il 2 e il 3 ottobre il Presidente Gustavo Diaz Ordaz aveva fatto massacrare nella piazza delle Tre Culture (a Tlatelolco, Città del Messico, luogo già di massacri da parte dei colonizzatori spagnoli) un numero tuttora imprecisato di studenti, alcune centinaia di sicuro, ma il presidente del Cio, Avery Brundage aveva stabilito che il circo doveva andare avanti. La protesta dei due atleti ebbe un enorme rilievo mondiale, sputtanando l'establishment olimpico quanto quello messicano, e si iscrisse nella galleria dei memorabili gesti che tracciarono mediaticamente il 1968. Certo, non è una novità. Quante sequenze storiche le ricordiamo perché incastrate e riassunte in un'immagine simbolica o in una frase performativa - il dado è tratto di Cesare, la Libertà a seno nudo sulle barricate del 1848, la Guardia è stanca, il miliziano morente di Robert Capa sul fronte di Córdoba. Il 1968, però, moltiplicò il numero e il peso di tali atti, non li collegò obbligatoriamente a grandi figure storico-epocali ma li disseminò in una miriade di protagonisti, di prese di parola e irruzione nello spazio pubblico. Al podio olimpico si affiancarono i palcoscenici dei concerti (il denudamento di Jim Morrison, le chitarre spezzate di Jimi Hendrix), le presidenze della assemblee studentesche... La diffusione e l'innovazione dei mezzi di comunicazione di massa contribuì moltissimo, senza dubbio, e gettò subito un sospetto di banalizzazione, ma per l'essenziale si trattò di una democratizzazione radicale della soggettivazione in una dimensione del comune. In altri termini fu rimodulato in termini di massa e di sovversione quel concetto di onore che un tempo aveva contrassegnato i ceti aristocratici o l'etica del politico.
L'onore, infatti, nella sua sublime infondatezza condensa tutti i tratti virtuosistici dell'azione. Al potere di identificare il chi è di un soggetto corrisponde la facilità di lesione. La più lieve ombra può annientarlo, le ragioni di sostegno sono irrazionali, la dipendenza dalla convenzione e dal consenso schiacciante, come mostrano le disquisizioni barocche sulle precedenze o le complesse regole che improntano i rapporti fra bande metropolitane e altre tribù post-moderne. L'onore ama la spettacolarità dell'evento in cui si intrecciano labilità e generalità. La fotografia, nel nostro caso, ne tramanda permanentemente la contingenza, traccia di un originario venire alla luce. Riconosciamo quel gesto per nostro, dal punto di vista dello spettatore imparziale, con l'entusiasmo disinteressato che Kant provava davanti agli eventi inaugurali della Rivoluzione francese e che ne dimostrava il carattere progressivo ed epocale meglio di qualsiasi considerazione analitica.
Che cos'è oggi onore, onore di massa? Forse il riconoscimento dell'essere-sradicato del singolo e del suo voler-essere-in-comune. Non a caso il contenuto simbolico sfuma nella pura comunicabilità, evoca un diritto della singolarità e non marche di appartenenza. Paradossale e periferico, ben lungi dal fiero statuto classico ma tanto più significativo quanto più si fa incubo l'orgoglio di patria, di ceto o di partito e si dissolve l'equivoca reputazione di cui si facevano vanto i ceti borghesi. L'onore è attribuibile solo al venire alla luce di soggetti incoerenti discriminati, confinati nella penombra: il clandestino, il precario, il non garantito che rivendica visibilità e parola.
L'opposto dell'innocenza afona della vittima e del carnefice, del buon padre di famiglia apolitico e dello spettatore attonito dei videogiochi di guerra intercambiabili con i bombardamenti chirurgici e le ricostruzioni dei delitti a Porta a Porta. A pensarci bene, quegli anonimi che si danno un nome sono i legittimi successori dei personaggi cui Max Weber e Hannah Arendt attribuivano il momento carismatico dell'agire politico in contrapposto alla routine burocratica.
La loro chiamata (allora un solenne Beruf di origine teologica, oggi una più sbrigativa, sebbene ancora di origine religiosa, mission) si manifesta nel rischio della parzialità, nella scelta infondata, politeistica, fra valori e strategie incommensurabili, senza nascondersi dietro l'autorità vincolante di un superiore o della legge. Chi si assume la responsabilità delle proprie azioni in presenza degli altri è attivo nel senso nietzschiano della capacità di promettere e scommettere, di provare a conferire stabilità al caos facendosi carico del futuro. Se togliamo quell'aria di stato d'eccezione, tipica del clima politico-sociale del fordismo e dei regimi autoritari degli anni '20 e '30 e i cui ultimi bagliori conferiscono a volte un tono eccessivamente romantico a tante rappresentazioni del '68, potremmo dire che politica è rompere le regole, introdurre il nuovo, dar voce a chi non ha voce, al senza parte. Può essere anche un segno muto - i piedi scalzi del recordman della corsa, nel nostro caso. In foto viene benissimo. Anche la voice, presa di parola e protesta, ebbe il suo ruolo all'epoca, spesso più per l'audacia del dichiararsi che per il contenuto.
Nell'era di You Tube una certa residua monumentalità delle immagini del '68 sembra ormai fuori luogo. L'emergenza della soggettivazione politica è più diffusa e moltitudinaria. Lo smagliamento della rete del potere e la pratica di presenza alternativa non si incarnano più in un emblema riproducibile su carta o T-shirt. Guardando il video che la Rete per l'Autoformazione ha prodotto per le manifestazioni di metà gennaio 2008 contro la (mancata) inaugurazione dell'anno accademico alla Sapienza da parte di Ratzinger, viene da pensare che questa è la più legittima eredità dei gesti esemplari di protesta del '68 - non a caso accompagnata dalla deplorazione di tutta la stampa ufficiale e dell'imbarazzata opinione media di sinistra.
Ci troviamo in una situazione in cui il lavoro intellettuale, anzi le stesse attitudini relazionali e conoscitive sono scientificamente utilizzate e oscurate in un progetto di sfruttamento, gerarchizzazione e gestione governamentale delle risorse di cui la compartimentazione del sapere e dei livelli di riconoscimento e l'infausto meccanismo dei crediti sono gli aspetti salienti. L'invito ossequioso al papa di Fides et ratio era il grazioso complemento clericale di un dispositivo aridamente secolare per la produzione e appropriazione di valore.
Quale onore hanno difeso e testimoniato gli studenti di Uniriot? Non certo quello dell'Istituzione-Scienza o dello Stato laico, piuttosto hanno riaffermato il loro diritto a uno spazio pubblico, alla comunicabilità del comune contro ogni privatizzazione cerimoniale e blindatura poliziesca. Questo ha significato in concreto l'iniziativa, al di là delle circostanze contingenti e del ridicolo dibattito epistemologico su scritti di seconda mano. Per questo va ricordata. Signum prognosticum, nel secco latino kantiano.
Una modesta proposta. Ci sono voluti 37 anni per erigere una statua a Tommie e John. Se sostituissimo l'arcigno e menagramo bronzo minervesco che incombe sulla fontana centrale, dovremmo forse metterci il Pastore Tedesco che tira al guinzaglio Guarini, Veltroni e Mussi oppure i loro vittoriosi contestatori?
Augusto Illuminati, "il manifesto", 8 marzo 2008

A volte ritornano!



I resti di Andres Nin, dirigente del POUM catalano durante la guerra civile spagnola, sono stati ritrovati poche settimane fa ad Alcalà, località a circa 45 chilometri da Madrid. Il posto, un insediamento militare che durante la guerra civile fu teatro di episodi controversi, fra i quali con ogni probabilità anche il sequestro, da parte di agenti stalinisti, del leader catalano nel maggio del 1937.
Alcune settimane dopo il sequestro e la scomparsa di Nin, gli stalinisti riempirono i muri di Barcellona con questa scritta:

"Dove è Nin? A Roma o a Berlino?".

Da qualche parte a Barcellona, sulle ramblas, una targa segna il ricordo dell'ultimo posto in cui venne visto.

mercoledì 12 marzo 2008

Ci sono mondi peggiori, forse



Ubik. Ubik, più di tutti gli altri mondi di Phil Dick, è la testimonianza, la più atroce, che la fantascienza ha reso al mondo che l'aveva generata illudendosi che sarebbe stata un'altra, l'ennesima, creatura docile e paziente. Un mondo fra i tanti mondi. Mondi in sfacelo, mondi dubbii, mondi ammutoliti per lo spavento.
Cos'è Ubik? Ubik può essere "elettrico e silenzioso" e "venduto a prezzi stracciati". Può essere una birra (da chiedere ad alta voce), e può possedere "il fresco aroma del caffé appena tostato", oppure ancora "una lama da barba che nessun altro ha mai avuto".
"Ubik Risparmi e Prestiti", "Ubik da spalmare sui crostini".
Ubik è la merce, la merce senza più mediazione alcuna.

"Io sono Ubik. Prima che l'universo fosse, io sono. Ho creato i soli. Ho creato i pianeti. Ho creato gli esseri viventi e i luoghi in cui essi vivono; io li comando a mio giudizio. Io sono chiamato Ubik, ma questo non è il mio nome."

L'intuizione è data dal fatto che senza la mediazione della merce, e senza la sua feticizzazione nel denaro, i rapporti sociali si disolverebbero, insieme a tutto quello che ad essi è connesso: la sfera privata, quella inconscia, l'amore per il prossimo e la coscienza sociale.
Senza Ubik non esisterebbe nemmeno più la storia.
Così, nel romanzo, via via, tutto regredisce con un rumore di sfacelo, tutto viene come risucchiato. Televisori tridimensionali che mutano in apparecchi radiofonici degli anni '30, gli elicotteri individuali si trasformano nell'automobile di Nonna Papera. Gli oggetti smettono di obbedire all'uomo. Allora è l'uomo che deve obbedire ad Ubik che, in confezione spray, mantiene gli oggetti nella loro collocazione temporale. Bisogna continuare a spruzzarlo tutt'intorno, senza smettere. La vita è un incubo nel mondo del capitale, tutto si è ridotto ad una tecnica di sopravvivenza. Altro che la vita come arte!

martedì 11 marzo 2008

Custodi e Custoditi



Manca più o meno un anno al momento in cui si potrà scoprire se Zac Snyder (regista di 300) avrà avuto buon gioco nel realizzare la versione cinematografica di Watchmen. Già, i watchmen. Custodi, controllori, vigilantes. Come tradurre i "custodes" che già Alan Moore ha tradotto, da Giovenale, in watchmen?
Ma poi chi sono questi "custodi"? Alan Moore, assistito dai disegni di Dave Gibbons, ha saputo mostrarci cosa c'è dietro la maschera. Vedremo cosa saprà fare Zac Snyder!
Doc Manhattan e Rorschach, il superuomo dai poteri inimmaginabili e il barbone disadattato che vive di elemosina, ma che di notte riacquista tutta la sua dignità indossando una maschera che considera il suo vero volto. Due personaggi estremi.
La trama? Comincia con una morte, quella del "Comico", l'unico vigilante "legale" che è rimasto dopo che è stata varata la "legge Keene". Viene trovato morto, spinto giù da una finestra e la storia comincia come un tipico giallo. Così, ci sarà modo per tutti gli altri vigilantes, che temono l'operato di un "serial killer delle maschere", di incontrarsi di nuovo, di rievocare il passato e forse, nonostante la legge, di rimettersi in attività. Già, ma chi sono questi "eroi in costume"? e chi ha ucciso il comico? e perché?
La solita vecchia storia? No, non credo proprio!

lunedì 10 marzo 2008

California Bloodlines




"Oh I'm believing, believing
Believing, that even when I'm gone

Maybe some lonesome picker will

Find some healing in this song
"

JOHN STEWART ( 1939 - 2008)

venerdì 7 marzo 2008

Confessioni di un sobillatore


Un racconto breve, anzi brevissimo.
Stando a quanto scritto da Anne Dick, nella sua biografia di Philip Dick, il racconto venne spedito a Daniel Gilbert nel Settembre del 1978. Gilbert aveva mandato a Dick un manoscritto lungo sei pagine intitolato "Confessioni di un sobillatore". La storia era molto piaciuta a Dick, il quale, in una lettera a Gilbert, scrisse in risposta questo pezzo, senza titolo.

In fondo all'autobus, un vecchio alcolizzato, vestito di stracci, se ne stava appollaiato su un sedile con in mano una bottiglia di vino malamente nascosta in una busta di carta marrone. Avevo l'impressione che mi stesse fissando - in una qualche maniera disattenta e depressa allo stesso tempo - e mi sorpresi a fissarlo, a mia volta.
"Non mi riconosci?" proruppe bruscamente il vecchio.
"No." Risposi, sperando in questo modo di riuscire a sviare da me il suo limitato interesse.
Ma il vecchio si alzò, malfermo sui suoi piedi, e barcollando venne a sedere accanto a me.
"Sono Phil Dick."disse con voce roca."Alla fine dei mie giorni. Sono cambiato, non trovi?" Ridacchiò, ma senza allegria.

"E sarebbe questo il modo in cui un grande campione esce di scena?" Dissi, sbalordito e colmo d'angoscia.
"La mia vita è stata un fallimento infinito" rispose, ed io solo ora mi accorsi che era davvero Phil Dick: ne riconobbi gli occhi, lo sguardo pieno di dolore, eppure fiero, di una persona che ha conosciuto il tormento senza rassegnarvisi. "Matrimonio dopo matrimonio ho dissipato tutto ... i soldi sono finiti ... i miei figli e i miei amici mi hanno abbandonato ... tutte le mie speranze di avere una famiglia ed una stabilità, distrutte." Tracannò un sorso dalla bottiglia, di nascosto.

"Avrei potuto, avrei potuto avere successo come scrittore" continuò " ma avrebbe avuto davvero importanza? Vivevo da solo, anno dopo anno, in una stanza in affitto, pagando le tasse e il sostentamento infinito ai miei figli, aspettando invano la ragazza giusta, quando sarebbe apparsa, sorridente" Le lacrime gli riempirono gli occhi
"Essere un gigante della fantascienza non è poi questa gran cosa" rantolò.
"E come ha detto Goethe: il bifolco con il suo focolare domestico e la moglie e i figli è più felice del più grande dei filosofi."

Da dietro risuonò una risata improvvisa.
"Me la sto spassando" una voce pungente si intromise.
Girandomi, vidi che si trattava di Harlan Ellison, indossava un vestito alla moda e la sua faccia esprimeva soddisfazione. "Sculo, Phil, ma ciascuno di noi ottiene quello che si merita. C'è una logica nell'Universo."
"Okay, Harlan" mormorò Phil, stringendo la sua bottiglia di vino."Piantala."
"Tu sei finito sul marciapiede" continuava Harlan, sfrontatamente "ma io ho la mia grande casa a Sherman Oaks; ho una libreria piena di tutte le mie migliaia di ..."

"Ti ho conosciuto quando eri uno stupido fan" prorruppe Phil " Tanto tempo fa, nel 1954. Ti regalai una storia per la tua fanzine."
"Ed era una storia scadente" disse Harlan, sorridendo furbescamente.
Esitando, Phil mormorò "Ma mi avevi detto che ti era piaciuta."
"Mi era piaciuto il nome del protagonista" lo corresse Harlan. "Waldo. Ricordo esattamente cosa dissi; dissi che ho sempre ammirato le persone che si chiamano Waldo. La storia la buttai via."

Sopraffatto dal tormento, Phil tacque. L'autobus proseguì; ed io, ripensando alla faccia maligna e divertita di Harlan Ellison e alla persona infelice e sconfitta seduta accanto, mi domandavo cosa significasse tutto ciò e a cosa servisse. Per quale dei due provavo pietà? Crudeltà maligna e successo, oppure sventurata disperazione. Era difficile da decidere.

giovedì 6 marzo 2008

Luna da Lupi



Conosco bene le immagini del terribile, tremendo, esodo che si consumò alla fine della guerra civile spagnola. E' il gennaio del 1939 quando Robert Capa ferma per sempre, sulla lastra fotografica, i soldati repubblicani che attraversano il confine francese, da esiliati, per essere internati in veri e propri campi di concentramento. Sono le immagini della sconfitta, le più crude e disperate.
Ma, a quanto pare, non sono state le prime, per quella Spagna!
Nell'autunno del 1937, quando era crollato il fronte delle Asturie, era accaduto che centinaia di miliziani erano stati tagliati completamente fuori. Isolati dal resto della Spagna repubblicana e circondati dalle truppe franchiste, si rifugiarono sulla Cordigliera Cantabrica per sfuggire alla repressione, aspettando l'occasione propizia per ricominciare a combattere. Dopo la sconfitta definitiva, impossibilitati sia a fuggire via mare che a raggiungere la frontiera francese, rimarrano per sempre fra quelle montagne, uccisi via via dalle pallottole, dal freddo e dalla fame. Nascondendosi nelle miniere abbandonate, come lupi, feroci e affamati, raccolti in piccoli "branchi" di disperati, rifiutati perfino dai propri parenti.
Ora tutto questo è in un libro (non recente, ma tradotto solo adesso) di Julio Llamazares, un romanzo breve e tagliente come un rasoio. Una storia vera, ricostruita sulla memoria delle testimonianze orali raccolte dall'autore. Racconti, storie udite da bambino, come quella di Gregorio Garcia Diaz "Gorete", che visse per undici anni, tre mesi e cinque giorni su quelle montagne.
Come lui, i quattro personaggi che si muovono nelle pagine del libro cercano di sopravvivere, alla ricerca dello spiraglio per poter fuggire, pagando il prezzo della loro sopravvivenza, in termini di imbarbarimento e di ferinità. Fango e neve, oscurità, nascondigli, notti senza luna e niente spazio per l'amore o per l'amicizia fuori dal branco. Nemici a tutto.

Da quelle parti, a quei tempi, cacciavano ancora i lupi come gli uomini primitivi: «Quando li vedono suonano il corno e tutti, uomini donne e bambini, accorrono a partecipare alla battuta. Io l'ho visto una volta. Nessuno può portare armi, solo bastoni e barattoli. La strategia sta nell'accerchiare il lupo e spingerlo piano piano fino a un precipizio alla fine del quale c'è quello che chiamano chorco: una fossa profonda, nascosta dai rami. Quando il lupo si avvicina al precipizio, gli uomini cominciano a corrergli dietro gridando e agitando i bastoni e le donne e i bambini escono da dietro gli alberi facendo un gran frastuono con le latte. Il lupo, spaventato, scappa in avanti e cade nella trappola. Lo prendono vivo e, nei giorni seguenti, lo portano in giro per i villaggi perché la gente lo insulti e gli sputi addosso prima di ammazzarlo»

Julio Llamazares - Luna da lupi - Passigli Editore - 14 euri e 50


mercoledì 5 marzo 2008

The Bus Tour



Joe Lansdale non scrive "genere". Joe Lansdale è il genere, anzi tutti i generi. Fantascienza, horror, noir, western, pulp, e chi più ne ha più ne metta. E Joe Lansdale è tornato, ed è tornato a scrivere per porre di nuovo mano al ciclo che lo impose all'attenzione mondiale con il più folle oggetto mai apparso nell'universo della fantascienza (fantascienza?). E' tornato, cosicché anche noi possiamo tornare al suo drive-in. Sono passati quasi vent'anni da quando siamo stati all'Orbit l'ultima volta e le quattro tribù (una per ogni parcheggio dell'immenso complesso) sono regredite ad uno stadio che ammicca al sub-umano, fra istinti e una sorta di legge della jungla. Il tempo, praticamente non esiste più. Niente giorno e niente notte. Un crepuscolo elettrico che, a volte, viene interrotto da un black-out che permette di nascere al sole artificiale del proiettore che fa partire la maratona di film di serie B. "La notte dei morti viventi", "Non aprite quella porta", la sequenza dei titoli è la solita, non è cambiata. Poi, ogni tanto piove. Piove come una sorta di melma assassina. La diarrea di Dio, sospetta qualcuno. Ma è facile che sia qualcosa di peggio, di assai peggio. A questo punto, Jack - il protagonista che non sa se sia vivo o morto - decide di averne avuto ababstanza. Ha trovato un autobus, di quelli scolastici, appena fuori del drive-in, lungo la pista dei dinosauri. Le gomme erano andate ma si è messo in moto al primo colpo. Facile trovare gomme nuove, e facile mettere insieme una banda di matti decisa a provare ad andarsene da lì. Da qualche parte. Il suo amico Steve, Grace, la donna che in tutto qul baillame riesce ad avere dei capelli biondi, perfettamente lisci, buoni per farle girare uno spot televisivo. Poi c'è Homer un bifolco americano dei più puri, e ci sono due orfani dell'heavy metal, Cory e James. Si è aggregata anche Reba, vestita di una pelliccia di chissà quale animale, però la borsa si vede che è di cane! Si parte, quasi un tour. All'inferno, in autobus. Incontreranno di tutto, un ponte che sembra una scala al purgatorio e un pesce gatto in grado di fare un solo boccone perfino di Moby Dick, se mai la incontrasse! Ma è solo l'inizio. C'è anche una spiaggia che sembra avere a che fare con i "losties"; sembra perchè a ben vedere sono gli sceneggiatori di "Lost" ad avere a che fare con Lansdale.
Il libro finisce per riuscire ad illuminare di una luce (luce?) tutta nuova la storia raccontata nei primi due volumi della trilogia. E si beve in un fiato, la storia, incuranti di quello che ci aspetta nella stanza del proiettore cosmico. Ma del resto Dick ce l'avrebbe dovuto avere insegnato, e da lunga pezza, che esistono mondi ben peggiori di quello in cui CREDIAMO di vivere.

Joe Lansdale - La notte del drive-in 3 (la gita per turisti) - Einaudi - 11 euri e 80


martedì 4 marzo 2008

I Sognatori dell'Assoluto



All'inizio del novecento, un'ondata di violenza politica si abbatte sulla Russia zarista, e culmina, il 4 febbraio 1905, nell'attentato in cui perde la vita il granduca Sergio, governatore generale di Mosca. Il gruppo che ha condotto a termine l'azione terroristica è guidato da Boris Savinkov che fin dal 1903 si era unito alla "Organizzazione di Lotta dei Rivoluzionari Sociali".

"Un giorno d'agosto un uomo venne a trovarmi nella mia camera: sui trent'anni, era molto massiccio, con un viso largo, buono, come riempito di pietre, e con dei grandi occhi marroni. Era Yevghei Filipovitch Asev."
"Mi tese la mano, si sedette e, con una voce strascicata, mangiandosi la metà delle parole, cominciò: "Mi hanno detto che desidera collaborare al Terrore..." Gli ripetei quello che avevo già spiegato a Gotz. Gli dissi anche che consideravo l'assassinio del ministro dell'interno Plevhe il compito più importante del momento."

L'Organizzazione di Lotta era formalmente l'organo esecutivo del Partito Rivoluzionario Sociale, fondato nel 1900. Il loro programma non era marxista: credevano alla possibilità di un passaggio diretto dall'assolutismo al socialismo. La massa contadina doveva, sul modello della comunità tradizionale dei villaggi russi, socializzare le terre, direttamente. Nei ricordi di Savinkov (Boris Savinkov - Diario di un terrorista - Kami 2004) non c'è alcuna traccia del programma . Del resto, l'Organizzazione di Lotta rifiutava rigorosamente ogni forma di controllo da parte del partito! I suoi membri non nutrivano alcun interesse per le questioni ideologiche, non si dedicavano a nessun tipo di "agitazione", non leggevano opuscoli, vivevano in un isolamento rotto soltanto dalla detonazione delle loro bombe.
A Savinkov, si riferisce Albert Camus nel suo romanzo "Lo straniero", e sempre a Savinkov si riferisce quando scrive "Due razze di uomini. L'una uccide una sola volta e paga con la vita. L'altra giustifica migliaia di crimini e accetta di ricavarne onori".
La storia di Savinkov è quella di un rivoluzionario professionista che cambia d'identità come altri cambiano di camicia. Tiene testa all'Okhrana con la facilità e la disinvoltura di un campione di pugilato. In tre anni di viaggi - fra il 1903 e il 1906 - fa le seguenti tappe: Arkhangelsk, Vardo, Oslo, Anversa, Ginevra, Cracovia, Berlino, Pietroburgo, Ginevra, Nizza, Berlino, Mosca, Riga, Varsavia, Ginevra, Parigi, Pietroburgo, Ginevra, Karkhov, Wilna, Helsinki, Stoccolma, Ginevra, Varsavia, Mosca, Sebastopoli, Bucarest, Parigi. E' di nessun luogo ed è di casa dappertutto. In due anni di inattività, che trascorre fra la bohéme artistica di Montparnasse, è amico di Modigliani, Apollinaire e Picasso. Poi, tranquillamente, senza passaporto, fugge dall'esilio e attraversa la frontiera russo-norvegese presso il fiordo di Varanger, su un vaporetto di Mourmansk. Si reca dalla Polonia in Germania insieme ad un gruppo di emigranti sulla slitta di un contrabbandiere. Raggiunge la Romania attraverso la Crimea su un peschereccio, dopo una pericolosa crociera sul Mar Nero.
Ha vissuto fino a quarantacinque anni, e per un uomo che faceva quel mestiere è una bella età!
Dopo aver combattuto nell'Armata Bianca contro i Bolscevichi, nel luglio del 1924, attivo a Parigi e in Polonia nella politica anti-bolscevica, si risolve a tornare in Russia. Il 20 agosto del 1924, attraversa la Polonia ed entra nel territorio sovietico, dove viene prontamente arrestato non appena il suo treno arriva a Minsk. Il giorno dopo firma una deposizione in cui confessa i suoi errori ed ammette che i bolscevichi hanno il pieno supporto della popolazione russa. Subisce un processo lampo in cui viene riconosciuto colpevole della maggior parte delle accuse. La pena di morte, sentenziata dal tribunale militare, gli viene commutata, dal Comitato Centrale, in dieci anni di prigione. Pochi giorni dopo viene trovato morto nel cortile interno della prigione, precipitato dall'alto.
La prefazione dell'edizione russa delle sue memorie, scritta da un certo Felix Kon, è caratterizzata da epiteti del tipo: "isterico, schiuma alle labbra, calunniatore, piccolo borghese senza scrupoli, sognatore decadente". Certo, le obiezioni politiche contro le concezioni dei terroristi hanno un peso sicuramente maggiore. E' sorprendente constatare come i grandi avvenimenti del 1905 non fossero, per Savinkov, altro che fatti accessori: i disordini di Pietroburgo, la domenica di sangue, le dimostrazioni, l'enorme ondata di scioperi dell'autunno, tutto questo era fuori dal campo visivo del terrorista!
Lenin ha sempre avuto buon gioco ad attaccare e mettere a nudo la mancanza di senso politico dei terroristi, la loro incomprensione del ruolo del proletariato, ma .... ma, come ogni argomentazione meramente politica, sfiora appena la sostanza reale di quei fatti.
Lenin e i bolscevichi non riuscivano a comprendere cosa animasse quelli che Marx - che già cinquant'anni prima vedeva assai più lontano dei suoi successori - ebbe a definire, rendendo loro giustizia, "Sognatori dell'Assoluto". Non si trattava di una linea politica, di una ricetta, di una dottrina sociale. Si trattava della loro salvezza e di quella degli altri. Una salvezza che potevano raggiungere solo al prezzo della loro propria vita, nella solidarietà incondizionata che li univa. In quel secondo di verità in cui lanciavano la bomba, realizzavano la propria salvezza e anticipavano quella degli altri.
Un esempio insopportabile che evoca una grandezza ignota in grado di sottrarsi a qualsiasi calcolo. Nelle maledizioni di Lenin e dei suoi discepoli contro gli assassini dello zar, ci sono, mescolati agli argomenti razionali, un sentimento confuso dei limiti del potere, anche del loro, e una paura. Uno sconosciuto in mezzo alla folla, un sognatore, un uomo simile basta a precipitare nel terrore i potenti di questo mondo. Tutti!

lunedì 3 marzo 2008

Le scarpe strette di Oreste



Il ricordo più vivido, e anche più "lancinante", di quella giornata di quarant'anni fa esatti, il I marzo 1968 a Valle Giulia? Oreste Scalzone non ha dubbi in proposito: quei maledetti scarponcini, prestatigli la mattina dal compagno presso cui aveva dormito. Quel compagno oggi insegna nella stessa facoltà di Architettura che fu teatro della battaglia che, oramai, nell'immaginario sembra essere diventata la radice di tutto il bene e di tutto il male (compreso quello ai piedi di Oreste) che ebbe inizio in quell'anno destinato a durare un decennio.
"Già, le scarpe" - gli ripetè Oreste, guardandolo. Però, a ben vedere, i piedi dei due non sembrano essere poi così differenti , di misura. Un mezzo punto, mi vien da valutare. Ma forse quel mezzo punto ha bisogno di essere moltiplicato per questi quarant'anni trascorsi. Scarpe per anni, chissà cosa diavolo può venirne fuori dall'operazione!
Il bene e il male, dicevo. Un po' come le persone (invitate e non) che questa sera di sabato primo marzo stanno affollando l'Aula Magna, per "commemorare". Già, ma cosa? Lo sfoggio d'eleganza, dalla più parte di loro, stride ed è mal proporzionata al soggetto della serata - va detto! Ma c'era da aspettarselo. Hanno parlato. Quelli (assai pochi) che hanno ancora qualcosa da dire, e hanno parlato i molti che, forse, anche già allora non avevano niente da dire.
Alla fine - va sottolineato - l'apice del ridicolo viene raggiunto quando la docente, che ha organizzato la mostra fotografica contestuale alle "commemorazioni", letteralmente costringe a salire sul palco, per ... esprimersi, le tre allieve che hanno fatto tutto il lavoro (da "negri") di raccolta e organizzazione del materiale esposto.
Finisce così, mentre Portelli si trattiene con Oreste, per farsi raccontare qualche episodio antico, però svoltosi a Terni.
Finisce così come una sorta di grande convegno sul fumo e sulla più grande fumata degli ultimi cinquant'anni; un convegno in cui la maggioranza degli intervenuti ha smesso da tempo di .... fumare.
Cose che capitano!