venerdì 8 febbraio 2008

un talento selvaggio



Paul Breen è un predestinato. Il protagonista del romanzo di Wilson Tucker, "Wild Talent" (reso a suo tempo, in italiano, da "Urania", con il brutto titolo di "Tele-homo sapiens"), è uno dei primi esemplari della nuova specie umana, venuta a soppiantare quella vecchia, la nostra.
Ma non solo. In più, è destinato a realizzare - in una forma e in un modo diverso da quelle che sono le attese - i suoi sogni di ragazzo, A tredici anni, Paul Breen scappa di casa per andare a Chicago, dove si tiene la "Mostra del Secolo del Progresso".
Un filo si dipanerà da questa prima scena del romanzo, per tutto il libro, fino all'ultima, in cui si sbarazza di uno psicopatico che ha in odio tutti i mutanti di ogni genere, quando il "progresso" non gli apparirà più come una pacifica evoluzione, di meraviglia in meraviglia, ma come un salto, brusco e improvviso, in grado di tagliare ogni ponte alle spalle, dove il nuovo è in grado di utilizzare tutte le tecniche della distruzione necessarie a togliere di mezzo, definitivamente, il vecchio. Perché Paul Breen è un asociale: non riconosce motivazione in alcuna regola del gioco. Ogni appello più o meno sentimentale lo trova sordo ed annoiato. I "buoni", fra gli umani, che vorrebbero disciplanare, per sfruttare al meglio il suo "talento selvaggio" (il suo potere telepatico) non riescono ad apparirgli migliori dei "cattivi" che vorrebbero eliminare lui e tutti quelli come lui.
Paul Breen, più che con i superuomi che incarnavano l'io ideale degli appassionati di fantascienza, con le loro ambizioni e le loro frustrazioni, sembra sintonizzato su quel disagio diffuso che negli Stati Uniti degli anni '50 si sfogherà dentro ai miti del Marlon Brando de "Il selvaggio" e di James Dean .
Paul Breen corrisponde alla descrizione che Walter Benjamin dà, del "carattere distruttivo":

"Il carattere distruttivo non vede nulla di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Dove altri urtano contro muri e montagne, anche là egli vede una via. Ma poiché vede dappertutto una via, deve anche dappertutto sgombrare la strada. Non sempre con cruda violenza, talvolta anche con violenza raffinata. Poiché dappertutto vede vie, egli stesso sta sempre ad un incrocio. Nessun attimo può sapere ciò che il prossimo reca con sé. L'esistente, egli lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso".

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