giovedì 9 agosto 2007

La Parola Amica



Una vecchia e buona amica. Tale l'ho considerata Carla, per tutti questi anni. Grazie alla condivisione di molte cose, e fuori e dentro il luogo di lavoro. Ma evidentemente non è mai abbastanza. Non basta aver viaggiato insieme, aver parlato, essersi arrabbiati o aver pianto insieme. Non basta quando interviene un gesto, una parola che cancella tutto, come un colpo di pistola. E ti lascia a ricordare solo quello che serve a spiegare lo sparo.
Non ce n'era alcun motivo. bastava che mi chiamasse per telefono e mi chiedesse di cambiarle il toner per la stampante. Invece di farmi telefonare da altri ed intimare, la seconda volta, di farlo. Perché no, perché lei, diversamente dagli altri, non poteva andare a prenderlo da sé: ché non poteva lasciare la postazione! Quella stessa postazione che ho trovato deserta quando sono andato a fare quanto richiestomi, senza nemmeno sapere da chi doveva essere occupata quella postazione. Non c'era alcun bisogno di cambiare il toner, fra l'altro. Ho chiesto e mi hanno detto chi era l'interessato. Sono andato a cercarla, e l'ho trovata che conversava amabilmente con la dirigente autrice della seconda telefonata. Come chiarimento ho ricevuto - "io mi faccio un culo così!". Ho risposto uno scarno "ne prendo atto" e sono andato via senza aggiungere altro. Né allora né mai più. Ridendo amaramente, dentro di me, al suo ruolo di sindacalista delle "rdb"! Allontanandomi, via dalle sue piccole contraddizioni e dalle sue contraddittorie piccolezze. Libero.
"L'amicizia confonde". Era l'incipit di un vecchio film. "Corbari", con un improbabile Giuliano Gemma nel ruolo del partigiano "re di Faenza" (come l'ha incoronato Luca Mirti nella sua bellissima canzone "Iris e Silvio"). E l'amicizia confonde, è vero. Sovente ti chiude gli occhi, o ti spinge a guardare da un'altra parte. La frase, nel film, era riferita ad un "amico" che cercava di impedire al protagonista di intervenire per salvare un ebreo dai fascisti, e so benissimo che la cosa non è comparabile con gli avvenimenti che hanno suscitato in me il riaffiorare del ricordo di quella frase, ma l'amicizia confonde! E i nodi vengono al pettine. Sempre.
E sono venuti al pettine, giorni fa, quando in un solo attimo mi sono reso conto che chi consideravo mia amica da qualcosa come venticinque anni era solo una piccola squallida stronza. Basta poco, un atteggiamento che si ripete più volte, come in un crescendo - e prima hai sempre cercato di distogliere l'attenzione, chissà perché? - e una frase infelice, detta al momento sbagliato, col tono di voce sbagliato, con la luce sbagliata negli occhi. No, non sono "questioni di lavoro"! E' la vita, quella con cui bisogna misurarsi, giorno dopo giorno. Giorno per giorno. E le amicizie finiscono, come tutte le cose. E meglio se finiscono così. Male, così come finiscono male i "grandi amori". Ed è bene che finiscano male anche le amicizie che hai ritenuto essere vere. Solo le piccole vicende durano in eterno, e in eterno si ripetono, sempre uguali a sé stesse. E forse quest'enunciato (che riprendo da Tronti, scritto a proposito del libro della Rossanda) è una sorta di condanna. Una condanna all'infelicità, o ad una felicità sempre e comunque sporadica, precaria, da cogliere per quanto possibile nel tempo e nello spazio che ti consente, che ti regala. Si può essere d'accordo o non d'accordo, circa l'ineluttabilità della fine, ma continuo a ritenere che sia meglio decretare la fine di qualcosa, anche la sua "mala fine", piuttosto che trovarsi a commisurarlo a quel che era, e non è più. O che forse non è mai stato, anche se questo non importa.

4 commenti:

Riccardo Venturi ha detto...

E' una cosa che mi turba questa tua che hai scritto, sai. Profondamente, non te lo voglio negare. Perché vi si leggono delle cose terribili, e lascio questo aggettivo senza ulteriori specificazioni: non importa se terribilmente vere. Non c'è soltanto l'ineluttabilità della mala fine (di un'amicizia, di un'amore) ma anche l'opportunità di mettervi fine, anzi di decretarla. Mi è stata decretata a volte, questa mala fine, ora che ci penso. Sia di un'amicizia, sia di un amore. E leggendo le tue parole penso a coloro che mi devono aver considerato un piccolo squallido stronzo. Penso a Gabriele, penso ad altri ed altre, penso persino al prossimo o alla prossima che lo farà. O al prossimo o alla prossima cui lo farò io. Sembra che vada sempre così, no? "Basta poco, un atteggiamento che si ripete più volte, come in un crescendo - e prima hai sempre cercato di distogliere l'attenzione, chissà perché? - e una frase infelice, detta al momento sbagliato, col tono di voce sbagliato, con la luce sbagliata negli occhi."

E così ecco definite in un sol colpo, e con parole lucidissime, non solo l'ineluttabilità della fine, non solo l'opportunità di decretarla, ma anche la precarietà di tutti i rapporti umani. Sempre appesi a un filo sottilissimo; e tu pensi (il "tu" è generico qui) che invece non possa spezzarsi mai. Si spezza invece un giorno qualsiasi, per una cosa qualsiasi, un toner, un gesto, un atteggiamento. Ma non c'è soltanto questo: c'è anche la dichiarazione forse più tremenda di tutte, quella del chiedersi perché fino ad allora si era sempre cercato di distogliere l'attenzione. Finché arriva un giorno in cui anche un toner ti fa decidere di non distoglierla più; e si "prende atto".

Ora, io non la conosco codesta Carla, né la conoscerò mai. Si è intrufolata per un attimo nella mia vita grazie alle tue parole. Non so cosa abbiate vissuto insieme, non so perché abbiate pianto insieme (ammesso che la cosa si riferisca specificamente a lei), non so niente di niente e non posso saperlo. C'è un numero, quei venticinque anni, una vita o quasi. E non traggo nessuna conclusione. Doveva essere? Così doveva (muss es sein? es muss sein). Se dici che è meglio così, allora è meglio così. Non ho letto quel che ha scritto Tronti e non ho letto nemmeno il libro della Rossanda. Ma sicuramente è vero che sono soltanto le piccole vicende che si ripetono e durano in eterno. Aggiungo che queste piccole vicende eterne riguardano sempre...noi stessi. Quella che si ripete in eterno, quella che dura per sempre, in definitiva è soltanto la solitudine.

Nel frattempo? Chissà, anche tu, domani, fra un anno, fra venticinque, potresti decretare che riccardoventuri era soltanto un piccolo squallido stronzo. Così come lo potrebbe decretare riccardoventuri di te. Sembra che sia ineluttabile. Nel frattempo, ne approfitto per dirti che ti voglio un bene dell'anima; "scripta manent". Oggi, nove agosto duemilasette. Quando uno dei due avrà decretato la piccolosquallidostronzaggine dell'altro, oppure ce la saremo dichiarati a vicenda, almeno resterà una data, un momento fissato, un riferimento a uno sporadico, precario momento. Mi dirai forse che non conta una sega; ma per me sì. Questo e non altro ti volevo dire, con un abbraccio.

Anonimo ha detto...

Caro Franco,
dato che risulta duro dover perdonare, direi che gioco forza
si deve "prendere atto"... in un
momento così di merda, uno dei
tanti in cui ti piacerebbe dav
vero essere diventato grande ed
invece non ci riesci mai, voglio
testimoniare che ho avuto un ami
co con cui ho diviso mille cose
per venti anni e solo la morte
(purtroppo sua) ha posto fine
alla nostra amicizia che ha co
nosciuto i giusti scazzi ma mai
simili meschinità toneresche
(che chi vive come me in un uf
ficio sa ben comprendere).
E detto questo, voglio dirti che
leggo sempre i tuoi scritti con
grande passione ed ammirazione
e soprattutto che ti voglio be
ne. fanculo maggioranza e toner.
franco da frosinone

BlackBlog francosenia ha detto...

Perdonare, Franco, non risulta né duro né ... morbido. Semplicemente succede. Credo che non lo abbiamo il potere di perdonare. Né il potere di smettere di essere indulgenti - usando di un brutto termine, un po' "processuale". Sono cose che avvengono, indipendentemente dalla nostra volontà. Recriminare non serve. Come non serve il dolore. Anche se facciamo scialo di entrambe le cose. E crediamo, in cuor nostro, che non deve per forza essere così. Che poteva anche non essere così.
Ti abbraccio, in attesa di poterlo fare stasera di persona.

maila ha detto...

la cosa più dura di ciò che racconti è l'immagine a commento, la faccia schifita della prostituta incarnata nell'eroina traditrice, il taglio netto della spada.
come gli occhi rovesciati di oloferne, mi arrovellerei, notte dopo notte, nei perché...
maila