martedì 31 luglio 2007

Raccordi Anulari



Un'altra canzone essenziale. E' di Guy Clark. Personalmente la preferisco nella versione di Jerry Jeff Walker. Ne esiste anche una cover, in italiano, fatta da Luigi Grechi e intitolata "Foglio di Via".

Il Raccordo di Los Angeles
di Guy Clark

Impacchetta tutte le tue cose
Butta giù una nota con tutti i buoni propositi
Saluta il padrone per me
Non l'ho mai potuto sopportare, quel figlio di puttana
Butta via tutti quei giornali di Los Angeles
E quella scatola di wafers alla vaniglia ormai ammuffiti
Adios a tutto questo cemento
Portami su qualche strada sterrata

Se solo riesco ad uscire dal raccordo di Los Angeles
Senza essere ammazzato o arrestato
Percorrerò quello sterrato in una nuvola di fumo
In cerca di una terra che non è stata comprata

Un pensiero per te, mio vecchio Dennis
Penso che mi mancherà solo una cosa
Riesco a sentirlo da qui, il suono della tua chitarra
Dolce e profonda come un dono da portare
Suonala per me ancora una volta, adesso
Crederò a tutto quello che dici
Però continua, continua a suonare

Se solo riesco ad uscire dal raccordo di Los Angeles
Senza essere ammazzato o arrestato
Percorrerò quello sterrato in una nuvola di fumo
In cerca di una terra che non è stata comprata

E tu infila la cartolina rosa nella cassetta delle lettere
Lascia la chiave infilata nella serratura
Loro la troveranno, oppure no
Sono sicuro che c'è qualcosa che ho dimenticato
Oh Susanna, non piangere, bambina
L'amore è un regalo che si fa con le mani
Noi abbiamo qualcosa in cui credere
Non pensare che adesso è tempo di lasciarci

Se solo riesco ad uscire dal raccordo di Los Angeles
Senza essere ammazzato o arrestato
Percorrerò quello sterrato in una nuvola di fumo
In cerca di una terra che non è stata comprata

lunedì 30 luglio 2007

Ammazza Un Bastardo!



Ovunque siate, chiunque siate,
c'è un bastardo che vi rende la vita impossibile.
Politico, ecclesiastico, militare, sbirro, padrone, promotore,
funzionario, doganiere, caporeparto, capetto, usciere,
controllore, burocrate, bancario, etc. (lista non esaustiva).

Ammazzatelo.
Attuerete un atto di salubrità pubblica.
Al contempo realizzerete un'opera d'arte di altissimo livello.
La campagna AMMAZZA UN BASTARDO!vi offre anche la possibilità di soddisfare
il vostro altruismo.
Uccidendo chi vi dà fastidio, uccidete pure chi infastidisce gli altri.

Siate moderni. AMMAZZATE UN BASTARDO!
Siate alla moda. AMMAZZATE UN BASTARDO!
La vita è breve. AMMAZZATE UN BASTARDO!
Pensate agli altri. AMMAZZATE UN BASTARDO!
Divertitevi. AMMAZZATE UN BASTARDO!

N.B.: Se le vostre intime convinzioni vi vietano di togliere la vita a qualche animale, per quanto nocivo, vi invitiamo a compiere lo stesso gesto in modo simbolico, ad esempio distruggendo un monumento alla gloria di uno o più noti bastardi, o ancora un'opera d'arte disgustosa a vostra scelta.

Per evitare ogni confusione con comuni fatti di cronaca, fate una croce qui sotto per ogni bastardo abbattuto.

Da Ammazza un bastardo! di Colonel Durruti (Edizioni Spartaco, 2007)


Parigi si sveglia tappezzata di manifesti inneggianti alla rivolta. Manifesti color malva che consigliano: “Ammazzate un bastardo”. Sembra una delle tante trovate pubblicitarie, invece l’insurrezione scoppia davvero e si estende a macchia d’olio, in un susseguirsi di azioni spontanee. Il gruppo che la scatena si ispira apertamente all’atto surrealista più semplice evocato da André Breton: “Scendere in strada con il revolver in pugno e sparare a caso nella folla”.


Colonel Durruti è lo pseudonimo con il quale Emmanuel Jouanne e Yves Frémion, hanno firmato alcuni loro romanzi. Jouanne, traduttore di Philip K. Dick, è un prolifico autore di fantascienza ed è considerato tra i maggiori scrittori “neo-formalisti”. Frémion è scrittore e critico di fumetti.

venerdì 27 luglio 2007

La Ballata di Marì



Quando hanno suonato alla porta...
...ho aperto ed ho visto un secondino. Mi ha guardato senza parlare, ha teso il braccio verso di me. Reggeva una busta nella mano. Io l'ho presa. Lui ha accennato un piccolo inchino, poi ha girato sui tacchi e se n'è andato via. Sono rimasta un attimo, la porta spalancata, con la busta in mano, fra le dita.
L'ho guardato mentre finiva di scendere le scale, il secondino. Fino a quando è uscito in strada, chiudendosi il portone alla spalle. Solo allora ho guardato la busta, rigirandomela in mano.
Mi sono seduta al tavolo della cucina e l'ho aperta, quella busta. E ho cominciato a leggere.

"era già tardi perché con una corda sul collo freddo pendeva Michè"

Com'è fatta una lacrima asciutta? Me lo sto chiedendo in questo momento! Non riesco a piangere per lui. Non ci riesco. Cazzo! Mi ha fatto già piangere tutte le lacrime che avevo. Ed ora è tardi. E' tardi per tutto. Anche per perdonare.

"s'è impiccato ad un chiodo perché non voleva restare vent'anni in prigione lontano da te"

Non credo che mi sarebbero bastati vent'anni. Saperlo lontano da me per SOLO vent'anni! Questo non impediva che mi svegliassi, con la paura di vederlo tornare. Magari di notte, magari di soppiatto. Mi avrebbe rimesso sulla strada. A battere. Dicendo che gli altri uomini non contavano, non potevano sporcarmi, in fondo. Io ero solo sua. E solo lui poteva amarmi. Nessun altro!

"nel buio Michè se n'è andato sapendo che a te non poteva mai dire che aveva ammazzato soltanto per te"

E poi, un bel giorno (o dovrei dire un brutto giorno), arrivò lui. Lui, voleva solo portarmi via. Ed io volevo solo essere portata via. Un illuso! Miché disse che era solo un illuso. E gli brillava una strana luce negli occhi, mentre lo diceva. "Quello è solo un idiota che non ha capito niente di te!"
- continuava a ripetere, a ripetermi, a ripetersi.
Forse avrei fatto meglio a credergli. Sarebbe stato meglio per tutti.
Forse....

"io so che Michè ha voluto morire perché ti restasse il ricordo del bene profondo
che aveva per te"

Il bene! Già! Strane cose si fanno in nome del bene. Ti prendono e ti svuotano dentro, fino a non lasciarti più niente. Lo fanno in nome del bene. Del tuo bene e del loro bene per te. Non ti rimane niente alla fine. Niente! Nemmeno la speranza. Solo quel loro bene. E non riesci nemmeno più a vomitare.

"vent'anni gli avevano dato la corte decise cosìperché un giorno aveva ammazzato chi voleva rubargli Marì"

Vent'anni! Vent'anni per aver difeso la sua proprietà. Era così che si spiegava la sua condanna. E non pensava, non ha mai pensato, alla mia, di condanne: vederlo mentre faceva a pezzi la mia unica speranza, con venti coltellate. Guardare quegli occhi morenti che mi chiedevano "perchè, perchè mi hai fatto questo?". Non ha mai pensato alle mie notti a venire!?

"se pure Michè non ti ha scritto spiegando perché se n'è andato dal mondo tu sai che l'ha fatto soltanto per te"

E cosa avrebbe dovuto scrivermi?
Era questa l'unica lettera che aspettavo. Questa!

"domani Michè nella terra bagnata sarà e qualcuno una croce col nome la data su lui pianterà"

E adesso che marcisca pure all'inferno!

giovedì 26 luglio 2007

Franco Leggio



L'ho saputo solo qualche tempo dopo, della sua morte avvenuta il 15 dicembre dello scorso anno. Spero che non sia stato troppo freddo nella sua Ragusa, quel giorno.
Strano, aveva poco meno di 86 anni, ma non mi riesce pensarlo come "vecchio". E non perché siano passati oramai diversi anni dall'ultima volta in cui l'ho visto per l'ultima volta. No, non per questo. No, per non averlo visto "invecchiare".
Già da subito, quando lo conobbi, all'inizio degli anni settanta - ed era più giovane di mio padre solo di poco più di un anno - lo percepii come un quasi-coeateno. La sensazione era destinata a rafforzarsi, nel 1974, quando passammo una buona "mesata" a Vallo della Lucania, praticamente stando insieme giorno e notte, al processo contro Giovanni Marini. O certo, ne sapeva "qualcuna" in più di me, come quando mi rimbrottò perchè stavo lasciandomi scappar detto, al commissario Juliano, che l'immobile che avevamo forzato, in piazza a Vallo della Lucania, era stato, per l'appunto, forzato. Ne aveva di esperienza di poliziotti e magistrati!
Fummo gli unici, io e lui, a "farcelo" tutto, il processo. Arrivammo qualche giorno prima che cominciasse, per preparare un po' il terreno per le decine di compagni che via via si sarebbero succeduti, in quel buco di culo del mondo. L'impatto fu dei peggiori, all'inizio. Il segretario della locale federazione comunista ci venne ad esprimere tutta la solidarietà e tutto il dispiacere, per non poterci mettere a disposizione la sede, sebbene i militanti di base del paese avessero cercato di premere in tal senso. Ordini dall'alto! E questo, nonostante Terracini fosse nel collegio di difesa. Ma già Terracini non ci stava troppo con la testa. E, ad onor del vero, anche quando ci stava aveva da tempo accettato di far da gagliardetto ad un partito comunista che aveva assai poco (sì, è un eufemismo!) a che fare con quello da lui fondato insieme a Bordiga e Gramsci. Ma tant'è, anzi tanto fu.
Ho passato fra le più belle giornate, e nottate, della mia vita, a Vallo della Lucania, nel 1974, insieme a Franco Leggio. A fare, a organizzare, a chiacchierare. Ricordo sempre il pianto del gestore della trattoria dove mangiavamo tutti i giorni, quando lo salutammo dicendogli che andavamo via, la mattina dopo la notte della sentenza. Un omone enorme che piangeva come un bambino, mentre abbracciava e baciava Franco, cercando di strappargli la promessa di un ritorno. Ne ricordo, di Franco, la modestia e le battute. Lo spirito siciliano che traboccava da quei suoi occhi dallo strano taglio quasi orientale. Ne ricordo la tranquillità, persino quella volta che, lui (che non aveva, e non avrebbe mai preso la patente) seduto dietro nella macchina dalle gomme liscie che ci aveva prestato il vecchio Fantazzini, persi il controllo e riuscii a fermarmi solo dopo un chilometro di sbandate e qualche testa-coda. Non fece una piega, la sua bocca impreziosita da quei baffi spioventi che lo avevano fatto scambiare per un fascista, alla Occhipinti, la prima volta che lo vide!
Già, Vallo della Lucania. Come ricordare tutto e tutti? I compagni che arrivavano da tutte le parti d'Italia. Quelli che andavano via poco dopo e quelli che si fermavano un po' più a lungo. Gli slogan urlati sotto il carcere, di sera, e quella volta che cominciarono a sparare e Luca Villoresi aveva una storta alla caviglia, ed era alto (lo è ancora, credo) più di un metro e novanta e si appoggiava a me e a Franco mentre si cercava di scappare stando chinati. E la gente del luogo che si ubriacava e ci raccontava la sua vita, storie di resistenza umana e politica. E Dario Fo che arriva e fa lo spettacolo in paese, e noi gli si monta e poi gli si smonta il palco. E Franco che mi guarda e sorride ammiccando, come a dire che è meglio essere fra quelli che lo montano e poi lo rismontano il palco, piuttosto che fra quelli che si limitano a salirci sopra per poi tornare in albergo senza nemmeno fermarsi a parlare, non dico a ringraziare.
Ma forse ci si nasce, come Franco Leggio. Minatore in una miniera di zolfo, probabilmente fu lì che tutto incominciò. Poi in Marina, per sfuggire alla sorveglianza che a Ragusa si faceva sempre più stretta. Nel 1944 contrae la tubercolosi e viene ricoverato in un sanatorio, a Ragusa, da cui scappa nel gennaio del 1945 per mettersi a capo della rivolta contro la coscrizione. Il movimento "Non Si Parte" si scontra, armato, con la polizia sotto il controllo degli alleati e viene represso con centinaia di arresti. Gli costa un anno e mezzo di prigione, a Franco! Torna a lavorare in miniera nel 1949 e partecipa al grande sciopero di due mesi, e all'occupazione delle miniere, durante il quale i minatori e le loro famiglie si battono contro la polizia. Come spesso avviene, la lotta è svenduta dai sindacati ed alcuni, fra cui Franco, sono costretti a lasciare Ragusa. Fra il 1949 ed il 1969 lavora a Napoli, a Bari, a Genova e a Milano, e infine in Francia. In questo periodo si lascia coinvolgere nel lavoro clandestino che gli spagnoli hanno messo in piedi contro il franchismo. E' uno degli italiani della "banda" di Jose Luis Facerias e riesce a sfuggire all'agguato della polizia spagnola in cui lo stesso Facerias perde la vita, nel 1957. Nel 1960 fonda la casa editrice"La Fiaccola" ed i costi di "produzione" sono alti e comportano perquisizioni e arresti. Continuerà a pagarli per anni, questi costi, senza mai cedere di un passo. Anche quando, nel 1986, i magistrati chiederanno una perizia psichiatrica, dichiarerà pubblicamente che, se lo vogliono, dovranno venire a prelevarlo a casa! Sarà un vasto movimento di opinione internazionale a scongiurare l'ennesima brutalità ai suoi danni.
Ora è morto, nello stesso ospedale da cui era evaso nel 1945!
Io mi tengo il suo tranquillo coraggio che non ho mai avuto e non avrò mai, insieme al ricordo dei suoi occhi brillanti e del suo sorriso. Come nella foto che sono riuscito a salvare dai "miei archivi polverosi".
Aveva un anno meno dei miei anni di oggi, allora. Sì, è sempre stato un mio coetaneo, e lo è ancora.
Lo sarà sempre!

mercoledì 25 luglio 2007

canzoni come coltelli



Maledetto ingorgo!
Anche stasera piove. E anche stasera mi ritrovo bloccato in mezzo a questa fiumana di macchine.
Possibile che, in questa città, bastino due gocce d'acqua dal cielo per paralizzare tutto?
Io qui a battere i pugni sul volante, e a fumare una sigaretta dopo l'altra, e lei....cosa farà lei? Cosa cristo starà facendo in questo momento?
Magari è già arrivata, in quel buco d'albergo. Certo che è arrivata!
Tanto lo so: ha preso l'autobus. E quando l'autobus è rimasto bloccato nell'ingorgo, è scesa ed ha continuato a piedi.
Ha sempre paura di far tardi... ed arriva sempre in anticipo.
Adesso magari è su quel letto, su quel materasso da quattro soldi, nella nostra solita stanza, a domandarsi, a dirsi mille cose. Sdraiata sopra un un letto singolo!
"Costa meno" - non perde occasione per sottolinearlo, il prezzo delle cose.
Come se il costo della vita, le rinuncie, le delusioni, i rimpianti si pagassero in soldi!
E invece il conto è molto più salato.
Lo paghi col tuo. Con qualcosa che non potrai riguadagnare mai più.
Chiusi. Siamo sempre chiusi, rinchiusi, da qualche parte.
Un amore rinchiuso. Rinchiuso dentro un telefono, rinchiuso dentro una stanza d'albergo. E anche ad essere rinchiusi in due non c'è nessun sollievo.
Io, qui, dentro questa macchina, con la musica che fuoriesce dallo stereo a farmi compagnia (fosse almeno la dyane dei miei vent'anni!); lei rinchiusa dentro a quella stanza d'albergo, talmente rinchiusa che perfino il cortile, in agguato fuori dalla finestra, è un cortile chiuso, senza luce.

"Un amore blues, il nostro" - lo ripete sorridendo.
Ed io che avrei voluto un amore-valzer fatto di sole e di cielo caldo, di sabbia e di vino ghiacciato.
Avrei esagerato. Perdio se lo avrei fatto!
Ero disposto a correre il rischio.
Ma lei, no!
Ed io non voglio perderla, non la posso pensare sola in quella stanza.
Non ci riesco.
Ora apro lo sportello e scendo da questa macchina.
Che m'importa se la strada si è trasformata in un torrente?
A piedi, vado a piedi fino a quell'albergo senza ascensore!
Ci arrivo a piedi al terzo piano. Anche al trentesimo, se occorre.
E la porto via, me la porto via. Certo che lo faccio!

"Altro da trascinare
non ne ha non ne ha


e la moglie di Anselmo sente l'acqua che scende
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle
nel suo tram scollegato da ogni distanza
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza
così fu quell'amore dal mancato finale
così splendido e vero da potervi ingannare"

martedì 24 luglio 2007

Tequila, Sheila



La canzone è di quel pazzo scatenato di Shel Silverstein (ne ha fatte di cose memorabili, l'autore di "The Great Conch Train Robber", fra cui anche la colonna sonora de "I fratelli Kelly"(Ned Kelly), di Tony Richardson). Dicevo la canzone è di Silverstein, ma è stata resa famosa da Bobby Bare.


Tequila, Sheila
(Davis - Silverstein)

Non mi sono mai fidato di una donna
Ma stanotte, Sheila, confiderò in te.

Versami un'altra tequila, Sheila
E togliti quel vestito di raso rosso
Ho attraversato il confine
E ho messo le mani su un bel po' d'oro a Juarez
Perciò mi sento proprio come il vecchio Pancho Villa
Ed ho un bel po' di pesos da spendere
Allora portami un'altra tequila, Sheila
E vieni a letto ed amami ancora una volta.

No, non posso dirti niente
Non preoccuparti per la pistola sotto il mio cuscino
Ma mi mi sento come se fossi nudo, senza
E poi riesce a calmare la mia ansia
Non mi sono mai fidato di una donna
Ma stanotte, Sheila, confiderò in te.
Perciò passami il sale e il limone,
Stenditi sul letto e spegni la luce.

Ascolto il battito del tuo cuore, Sheila
Ma sento anche un rumore di passi fuori dalla porta
Il cortile brulica di Federali
E, Sheila, non c'è nessun posto dove nascondersi
Ignoro chi sia stato a far loro la soffiata
Io qui non conosco nessuno, tranne te
Ma fino ad ora non mi ero mai fidato delle donne
Sheila, questo è quello che sto per tornare a fare. Sì.

Versami un'altra tequila,
Sto per indossare il tuo vestito di raso rosso
E tu metterai i miei abiti
Poi andrai fuori e ti farai vedere
E ti aguguro tutto il bene possibile, Sheila.
Non mi sono mai fidato delle donne
E mi ero fidato di te stanotte
Perciò versami un'altra tequila, Sheila
E poi me ne andrò verso il confine.

Sì. Un'altra tequila, Sheila,
per attraversare il confine, stanotte.

lunedì 23 luglio 2007

Gli Uguali!



"Libertà e Paura". Era il titolo italiano di "Easy Rider"; anche se "Paura della Libertà" avrebbe reso assai di più e meglio, in sintesi, quella sorta di conferenza che il giovane avvocato un po' fuori di testa, impersonato da Jack Nicholson, tiene davanti al fuoco del bivacco notturno, subito prima di essere assassinato proprio a causa, e per mano, di quella paura.
La paura della libertà. allora come oggi, continua a chiamarsi "ricerca della sicurezza"!
E se, da un lato, se ne infischia del fatto che laddove c'è "sicurezza" non può esservi più libertà, dall'altro non bada a spese pur di assicurarsi la ... sicurezza.
La sicurezza di chi? O di che cosa?
E, semplificando, si può senz'altro affermare che le telecamere, proliferanti nelle nostre città come tanti "uccelli da guardia" degni di un racconto di Sheckley, come in un romanzo distopico degli anni cinquanta, non servono e non serviranno di certo al prefetto Serra per individuare i fascistelli responsabili delle continue aggressioni che prendono sempre più piede, in città come Roma. Ma che importa? La moglie del ministro Amato le trova così rassicuranti!
Il ministro Amato, già! Proprio quello che, a suo tempo e per primo, ha falcidiato in un sol colpo scala mobile e pensioni. Adesso no. Adesso non è più tempo per quelli come lui. Ora non c'è più gusto. E' fin troppo facile!
E così, come non apprezzare la carica di humour nero che si dipana dalle iniziative dei sedicenti comunisti che rendono a pois questo bel governo, così moderato (moderati la Bonino e Dini!!??!!) e così democratico. Come non apprezzare la capacità comica di chi, nella foga di abolire il vituperato scalone di maroniana memoria, riesce a conquistare una riforma delle pensioni ancora più peggiorativa? Da standing ovation! Ma anche la spalla non è niente male. Da una destra (a destra di chi?) che continua a farfugliare il tormentone delle pensioni ai giovani (che risate!). E cosa c'è di meglio che continuare a far lavorare i vecchi, per spalancare le porte del lavoro garantito - e conseguente pensione - ai giovani!???
Certo che sono davvero briosi! Ma anche il sindacato (uno e trino) non vuole essere da meno, in questa kermesse cabarettistica. Così ci canta delle aspettative di vita (di merda) in aumento e non ci racconta (lo fa per non intristirci) che i cinquantenni vengono estromessi in mille modi dal mercato del lavoro, per far posto ai ... giovani (che cominciano a non essere più tanto giovani, nemmeno loro!): un centinaio di contratti l'anno, non-pensionabili, per ciascun giovane! Credo sia questo il ... cosiddetto patto. Naturalmente senza tralasciare la miglior barzelletta che raccontano da anni, e che tuttavia non perde il suo effetto esilarante: quella che le pensioni le pagherebbero i non-pensionati, ai pensionati!
E poi c'è chi dice che destra, sinistra e sindacati sono tutti uguali!
Ma nemmeno per sogno. C'è sempre chi è più uguale - e più comico - degli altri!

mercoledì 11 luglio 2007

dal 12 al 22 di Luglio: Maybe Sicily



« Sicanio praetenta sinu iacet insula contra
Plemyrium undosum; nomen dixere priores
Ortygiam. Alpheum fama est huc Elidis amnem
occultas egisse vias subter mare, qui nunc
ore, Arethusa, tuo Siculis confunditur undis.»

«Un'isola giace nel golfo di Sicania,
davanti all'ondoso Plemmirio;
Ortygia è il suo nome antico.
Qui Alfeo - è noto - fin dall'Elide,
si spinge per vie invisibili
fino a confondersi con le onde sicule,
sulla tua bocca, Arethusa.»

(Virgilio, Eneide, libro III)

martedì 10 luglio 2007

Superstiti e sopravvissuti


C'è un libro, fra i tanti che ho, disperatamente sottolineato (con tratti di matita, ai tempi non c'erano gli evidenziatori), letto e riletto. Le pagine sono oramai ingiallite, però hanno tenuto e la rilegatura non si è disfatta. Il libro è un libro per così dire "sfortunato". Rifiutato dalle due case editrici di riferimento di Danilo Montaldi, che con Einaudi e Feltrinelli aveva pubblicato quelli che sono considerati due classici della cosiddetta "inchiesta militante", "Le Autobiografie della leggera" e "Milano Corea", rispettivamente.

Alla fine "Saggio sulla politica comunista in Italia (1919 - 1970)" venne edito per "Quaderni Piacentini". Non mi erano simpatici "quelli" di "Quaderni Piacentini". Ricordo che da subito, nel 1970, appena sbarcato alla Casa dello Studente di Piazza Indipendenza, avevo conosciuto come inquilino della "casa" stessa uno che con quella rivista ci collaborava. Bruno Accarino. Anche oggi collabora con varie riviste e giornali, fra cui "Il Manifesto" ed ha una cattedra di filosofia da qualche parte. Credo fosse questo, già da allora, il suo scopo, e credo che sia stato proprio per questo che non mi risultò simpatico di primo acchito. Ad ogni modo, a rischio di scivolare nell'aneddotica, ricordo che era amico di un altro napoletano, un pazzo scatenato che si definiva "il barone situazionista" e che, di notte, lasciava cadere il contenuto dei pacchi di pasta dall'ultimo piano della "casa", giù per la tromba delle scale, uno ad uno. Ricordo anche che dovetti faticare non poco per far rimuovere l'Accarino dalle liste nere dei compagni di mezza Italia che lo avevano classificato come "fascista fiorentino". Era successo che, durante l'assalto alla casa dello studente da parte dei simpatici ragazzi che frequentavano la prospiciente sede del "movimento sociale" (c'era in corso una riunione regionale, credo, e si erano sentiti disturbati dalle note delle canzoni che provenivano dall'ultimo piano della palazzina universitaria). Fatto sta che, insieme ai più esuberanti dei ragazzi in camicia nera, anche l'Accarino era finito al commissariato per aver chiesto ad un maresciallo di salutargli ... la signora! Ad ogni modo - a prescindere dalla digressione - il libro venne pubblicato .... e ignorato pressoché da tutti. Pubblicato nel 1976, quando il pci era al massimo della sua fortuna, il libro enuncia la previsione, agghiacciante per la puntualità con cui si è verificata, secondo cui il partito egemone della sinistra, una volta abbandonato del tutto il "sogno rivoluzionario", si avvia mestamente verso il nulla.
Verso i Fassino, i Veltroni, i Mussi......
Non è andata a genio a molti, se non a punti, la tesi che approccia da un altro punto di vista la cosiddetta "autonomia del politico" trontiana, per dichiarare che "la storia della classe operaia italiana è totalmente autonoma dalla struttura istituzionale del movimento operaio".
E questa autonomia della classe, dentro il libro, giace sotto ogni parola, e la sua sottolineatura, che di tanto in tanto mi vado a rileggere. Quasi a mo' di conforto! Quasi sperando che venga un altro Montaldi che sappia trovare il punto di sutura fra i superstiti, i sopravvissuti di oggi e un nuovo ciclo di lotte.

lunedì 9 luglio 2007

Polverosi scaffali della memoria



Che brutti scherzi gioca la memoria! Che brutto scherzo è la memoria.
Somiglia sempre più agli scaffali della mia libreria, ingombra di volumi, dove i vecchi tomi ormai detengono un posto inamovibile, ed i nuovi fanno sempre più fatica a conquistarsene uno, anche precario. Si accampano, più timidamente, su un tavolino, su un comodino, e lì vivacchiano. Aspettano educatamente una sistemazione migliore.
Somiglia a quella libreria, soprattutto quando cerchi un libro, un ricordo di cui hai disperatamente bisogno, in un dato momento; e non riesci a trovarlo, a metterlo a fuoco. Ti manca, nella mente, la posizione cui poterlo riferire, il nome cui collegarlo, l'immagine. Uno, qualcuno o tutti questi dati.
Poi, a volte, come il balenare d'un lampo, ecco davanti agli occhi quello che cerchi. Parole, facce, nomi, profumi, musica. Si intrecciano, in maniera ineludibile. Si richiamano l'un l'altro. Ciascun ricordo ha senso solo all'interno della sequenza. Ciascun libro ha senso solo all'interno del suo scaffale. Ciascuno scaffale all'interno della libreria.
Le immagini sono inscindibili dalla colonna sonora. Un pò come il film "Giù la testa" ed il motivetto "scion scion"!
A quale rinunciare? Quale ricordo estirpare? Quale libro rimuovere dallo scaffale? Quale faccia cancellare? Quale nome dimenticare? Quale sequenza sovrascrivere? Quale canzone smettere di cantare? A quale sogno rinunciare?
E perchè?
Forse perchè la memoria ha una dimensione data, finita. Ed una volta oltrepassato il limite, comincia a traboccare, a colare, a scorrere via.
Oppure perchè è un fardello troppo pesante da portare. Sempre più pesante.
E' un interlocutrice che ti soppesa con occhio impietoso, talora arrossato da tracce di rimprovero.
Timorosa di essere diventata uno specchio in cui potresti non riconoscerti più.
Gelosa. Possessiva. Mal si sopporta, col passar del tempo, una così!
Pretende di conoscere e vagliare le tue nuove amicizie. Mette bocca in ogni cosa.
Invadente. Giovane. Di quella gioventù un pò arrogante.
Consapevole della propria bellezza. Troppo consapevole!
Una così è capace di farti fare qualsiasi cosa! Lasciandoti poco tempo a disposizione per pensare se ne valesse davvero la pena.
Ma quando sei stanco, deluso, a pezzi, chi altri ti può consolare? Chi meglio di lei conosce quel che sei, quel che sei stato, quel che senti, quel che vuoi?
Ti sa sussurrare le parole che ti servivano, ti guarda con gli occhi del colore giusto, ti chiama con il tuo nome, sa anche cullarti con le strofe di quella vecchia canzone che temevi di aver dimenticato.
E allora ti soffermi a contemplarla, mentre le tue rughe si distendono, senza scomparire; ti suggerisci che sì, ne è valsa la pena, metti quel vecchio disco di vinile sul piatto, accendi una sigaretta, ti versi da bere e ti godi il tuo proprio sorriso.

Firenze, 1999, da qualche parte!

venerdì 6 luglio 2007

stelle in bianco e nero



Solo sotto le stelle. Un film. O meglio, il titolo italiano (ma anche francese) di "Lonely Are the Brave", a sua volta l'adattamento di un libro. Un romanzo di Edward Abbey, "The Brave Cowboy". Abbey, quello di "Fuoco sulla montagna" e de "I sabotatori" (The Monkey Wrench Gang), quest'ultimo una sorta di testo ispiratore per i cosiddetti "ecoterroristi". E le cose pian piano cominciano a tornare. Solo sotto le stelle, un film visto da ragazzo, dato in televisione quando facevano -allora usava - i cosiddetti "cicli". Questo, mi pare si chiamasse qualcosa tipo "il crespuscolo del west". Il regista, David Miller, non propriamente uno sconosciuto. Uno che ha cominciato la sua carriera con "Terra selvaggia", nel 1941, uno dei tanti film su Billy the Kid, e l'ha egregiamente continuata con piccoli capolavori come "Merletto di mezzanotte", nel 1960, e "Capitan Newman", del 1973; quest'ultimo un film delizioso e tragico su un ospedale psichiatrico militare con un grande Gregory Peck e un gigantesco (nonostante la statura) Tony Curtis che si esibiva in un ruolo clownesco, allo scopo di alleviare le sofferenze dei pazienti. Film e cinema d'altri tempi. Fa in tempo a girare "Azione esecutiva" nel 1979, sull'assassinio di John Kennedy. Un film che ha al suo attivo diversi "ultimi". L'ultima apparizione sullo schermo di Robert Ryan, e l'ultima sceneggiatura (postuma)di Dalton Trumbo. Già, Dalton Trumbo, condannato per attività anti-americane e inserito nella lista nera. Maccartismo, in una parola! Poi, costretto a scrivere dal Messico, dove si era trasferito, sotto falso nome. Fino a vincere un oscar, col nome di Robert Rich. America! Dalton Trumbo (che amava scrivere nella vasca da bagno!), sceneggiatore di quello che forse è il più grande film antimilitarista di tutti i tempi, "E Johnny prese il fucile", è anche l'autore della sceneggiatura di "Solo sotto le stelle".
Un cast di tutto rispetto: Kirk Douglas, Gena Rowlands, Walter Matthau e, immancabile, George Kennedy.
Kirk Douglas è Jack Burns, che cerca di vivere, nell'america degli anni sessanta, come vivevano i cowboys, da lavoratore stagionale a cavallo. Rifiuta qualsiasi identificazione col mondo moderno! Dalla patente di guida alla tessera della previdenza. Quando un suo amico (una sorta di filosofo anarchico) viene messo in prigione, Burns deliberatamente si fa arrestare per farlo evadere. L'amico rifiuta, a causa della condanna lieve, e Burns scappa da solo. A cavallo verso il messico, in sella ad una puledrina, contro ogni logica. Fino al tragico epilogo.
Kirk Douglas ha affermato che questo, fra tutti, è il film che ama di più. E anch'io. E non solo fra quelli di Kirk Douglas! Vale ricordare Walter Matthau nel ruolo dello sceriffo riluttante che simpatizza per Burns, ma che deve fare comunque il suo lavoro. E Bill Raisch, solo una parte, con il suo unico braccio (nel film come nella vita) è protagonista di una memorabile scazzottata con Douglas (nella foto). L'anno successivo sarà l'uomo con un braccio solo (l'assassino della moglie) che David Janssen, nella stupenda e indimenticabile serie TV "Il fuggiasco" (The Fugitive), cercherà per tutti gli Stati Uniti, e per tutta l'america.
Era un mondo...in bianco e nero!

giovedì 5 luglio 2007

sottogeneri ...



HIXPLOITATION

Da "hick" (bifolco) + il solito suffisso SPLOITATION*. Sottogenere anni Settanta attraverso il quale Hollywood dedicò un'attenzione totalmente sproporzionata al sud agricolo, gretto e zoticone. Sul grande schermo si ebbe una pletora di inseguimenti in pick-up, vigilantes che amministravano la giustizia e atrocità rurali varie. Dopo i montanari da incubo in "Un tranquillo weekend di paura"(1972) di John Boorman, arrivarono lo sceriffo del Tennessee Joe Don Baker di "Un duro per la legge"(1973) e lo sceriffo dell'Alabama Lee Marvin di "L'uomo del Klan"(1974); poi i camionisti col baracchino di "Chroma Angel chiama Mandrake"(1977) di Jonathan Demme e "Convoy - Trincea d'asfalto"(1978) di Sam Peckinpah e i camionisti con babbuino (ma non era un orango?) di "Filo da torcere"(1978) e "Fai come ti pare"(1980), due grandi successi di Clint Eastwood. L'apoteosi dell'hixplotation giunse nel 1977 con "Il bandito e la madama", esordio alla regia dello stuntman veterano Hal Needham, un sudista purosangue che volle affidare ruoli seri al cantante balbuziente Mel Tillis, all'ubriaco per antonomasia Foster Brooks e alla zitellona "Gladys" Ruth Buzzi.

* SPLOITATION. Atrimenti "xploitation". Utile suffisso che attribuisce un senso di sporcizia a qualsiasi semantema cui venga attaccato. In questo modo si possono coniare ammiccanti sottogeneri a volontà. Tutto cominciò nei primi anni settanta con il termine "blaxploitation", che combinava le parole "black"(nero) ed "esploitation" (sfruttamento) per etichettare il flusso copioso e ininterrotto di pellicole con protagonisti afroamericani a base di spaccio di droga, lotta al crimine, nudità e stravaganze varie.
"Secondo me "Il pranzo di Babette" è ancora più food-sploitation di Tampopo".

da David Kamp Lawrence Levi - Dizionario Snob del Cinema - Sellerio

mercoledì 4 luglio 2007

Soprattutto per una ragazza ...



C'è qualcosa nelle violiniste! Almeno in un paio che ho conosciuto, e Chip Taylor dev'essere della stessa idea, almeno a giudicare dal fatto che, dopo Carrie Rodriguez, ha deciso di produrre il disco d'esordio di un'altra violinista. Kendel Carson. L'etichetta, nuova di zecca, è la "Train Wreck" e dopo l'ultimo disco di John Platania, di cui ho già parlato, serve da trampolino di lancio per questo disco. "Rearview Mirror Tears"". Ma non ci sono solo lacrime a riflettersi nello specchietto. C'è anche la voglia, e la capacità, di fare musica. La voce è giovane, ma è anche ricca e riesce a comunicare malinconia e allegria, anche se per la più parte del disco cammina sul "lato assolato della strada".
Le canzoni, in gran parte scritte dallo stesso Chip Taylor, sono rese al meglio da una "posse" di musicisti, da John Platania alle chitarre a Tony Mercadante al basso a Seth Farber alle tastiere, allo stesso Taylor ai cori, che riescono a buttare sul piatto tutta la loro esperienza a fare da controcanto ai ventidue anni di Kendel Carson.
Alle canzoni come "Ribbons & Bows", che racconta una di quelle storie strappalacrime che si spera siano solo un parto della fantasia, fanno da contraltare i versi di "I like trucks", cantata in una cantina, fra applausi e cori ubriachi:

"I like trucks, big trucks
I like cars that go fast
I like boys that talk trash
And take it as it comes

I like the sun when it goes down
And six bartenders in this cool town
And if sometimes all that sucks
I still like trucks, big trucks."

Ma "Rearview Mirror Tears" è un disco che cattura fin dalle prime note, e si rifiuta di lasciarti andare. Mischia folk, country e canzone d'autore. La riproposizione di "There's no angel on my shoulder", scritta da Taylor quarant'anni fa, avviene in un'esecuzione da antologia. E la musica scorre in uno stato di grazia fino alla bellezza cristallina di una canzone come "Ain't that a sun", giocata fra graffi e carezze che ti lascia in bocca l'amaro e la delusione per un disco che sembra finire presto. Troppo presto......

martedì 3 luglio 2007

soldati



Mi riesce difficile parlare di un disco appena uscito (anzi, quasi uscito!) e che, in realtà, ho già cominciato ad ascoltare da più di tre anni fa. Per cui, proverò a parlarne parlando d'altro. Il disco è "Soldati", l'autore è il mio amico Andrea Parodi da Cantù, e la quasi-recensione potrebbe sembrare viziata dal fatto che mi onoro di reputarmi suo amico e, soprattutto dal fatto che, fra i "ringraziati", compare anche il mio nome e cognome. Ma così non è, oppure forse sì. Ma che importa?
Dicevo che il primo master del disco mi capitò di ascoltarlo nel dicembre del 2003. Mentre andavamo alle rampe di san Niccolò per suonare all'aperto, dopo un pranzo che chiamiamo "piola". In quella situazione, ricordo, Vittorio Merlo (milanese trapiantato nel Lussemburgo) fece un tuffo fuori stagione dentro l'acqua che dal piazzale Michelangelo scende verso l'Arno. Cose che capitano. Il disco è uscito, quando oramai nessuno ci credeva quasi più. La "lifegate" sembra abbia preteso di "addolcirlo" un po'. Il colore della copertina, da rosso, è scolorito in un verde marcio. E anche la stella, sul basco di Tania la guerrigliera (che è anche il titolo di una delle sedici canzoni), è sbiancata. Credo che non sia un piccolo prezzo per avere su un supporto "ufficiale" molte canzoni che hanno fatto spesso da colonna sonora a spostamenti in macchina e a serate fra amici. Ed è stato bello che anche il disco abbia potuto viaggiare, fino ad arrivare fra le mie mani, proprio grazie ad una sorta di staffetta fra amici. Ne sono arrivati sette, da Cantù a Parma, grazie ad Alberto che - in seguito ad una telefonata ad Andrea, in vacanza in Sardegna - si è fatto consegnare il "malloppo" dalla mamma del Parodi! Così il disco è arrivato in una situazione "particolare" (proprio una di quelle "piole"), a Torrechiara, vicino Parma. Dove abbiamo avuto modo di ascoltarlo, e di commentarlo.
Il disco è bello. A parte le battute sulla "batteria campionata" e la cover di Jackie Leven, "Ragazzo Padre", che nella versione italiana richiama pericolosamente "Bandiera gialla" di Gianni Pettenati. Ma, a parte gli scherzi, le suggestioni ci sono tutte. Da "Pane arance e fortuna" che apre il disco alla cover da Bocephus King, "Scavando la mia fossa", fino alla bellezza unica di "Rosa"; senz'altro la più bella del mazzo.
Il disco era bello, a Torrechiara nella splendida ospitalità - squisita e perfetta - di Alle e Sara (in ordine alfabetico), fra amici. Quelli veri. Quelli per il cui bene si riesce anche a passar sopra a molte cose. Forse a poche. Ma, davvero, ci sei mancato Andrea.

Qui la recensione fatta dal mio amico Federico

lunedì 2 luglio 2007

un finale diverso!



Tempo fa - era il Dicembre 2000 - mi capitò di leggere sul sito di "Repubblica" un pezzo di Gabriele Romagnoli. Scritto nell'ambito della sua Rubrica, Navi in Bottiglia, parlava di un ex-cantautore e ... della fine che aveva fatto!


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Se scegli Sabrina

Il professor Fiorenzo Bandi è stato un cantautore fino a dieci anni fa. Di quelli arrabbiati. Ora insegna italiano alle magistrali. Alcune sue canzoni sono stati inni della rivolta studentesca: "Animali di vita" e, soprattutto, "Società malata". Con quel ritornello: "Società malata, guarisci o muori, sulla tua tomba non porterò fiori". Adesso passa un'ora intera a esaminare un canto del "Paradiso" cercando di attirare l'attenzione di allievi distratti. Come Sabrina Mariani, primo banco, lunghe gambe, scarpe senza tacco. Ha scelto lui di cambiare vita, di dire basta a un mondo in cui non si riconosceva più. Per restare avrebbe dovuto accettare compromessi, cantare magari di nuovi eroi cresciuti sulle ceneri della rivoluzione mancata. Un taglio netto e via, la chitarra nell'armadio, fuori i libri. È più contento così, più sereno. Di nuovo padrone di se stesso.
È arrivato a scuola tardi stamattina. Vede i manifesti sul portone. I bidelli e i professori agitati. Segue la corrente degli sguardi e arriva alla palestra. Ci sono almeno trecento studenti, radunati in assemblea, in un goffo tentativo di occupazione. Scandiscono nuovi slogan, sollevano nuovi problemi. Li guarda con un sorriso di nostalgia. Resta aggrappato allo stipite ad ascoltarli. Poi dal gruppo si alza una ragazza dalle gambe lunghe, scarpe senza tacco. Gli passa accanto. "Torno in classe, professore", dice "questi raccontano scemenze vecchie come il cucco". Il professor Bandi la segue con lo sguardo, poi anche con il corpo. È sulle scale, a pochi gradini da lei, quando dalla palestra si alza il coro:
"Società malata, guarisci o muori, sulla tua tomba non porterò fiori".
La
canta fra sé fino alla cattedra. Poi apre la Divina Commedia.

di G. Romagnoli, dal sito della Repubblica
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Ora, la foto di Travis Bickle/Robert de Niro, messa qua sopra, ha un suo senso. Forse perché ritengo che in tutti ci possa essere un Travis Bickle che preme per uscire, ogni tanto. Oppure anche perché mi piace pensare a Travis Bickle come il personaggio di una canzone. Chissà ....
Forse come il "finale diverso" che mi è piaciuto immaginare.
Perché c'è sempre un finale diverso!

Bandolo Fiorenzi si svegliò presto, quella mattina. Ci si sveglia presto, la mattina, quando si è maturata la convinzione che è giunto il momento di mettere in atto un piano per troppo lungo tempo meditato.
Ripensò al fatto che avrebbe dovuto svegliarsi presto anche quella mattina, trent'anni prima, e mettere in atto la sua decisione; e invece aveva rinunciato alla sua scelta, con troppa eccessiva facilità. Era stato molto più comodo dare retta alle parole di sua madre, dettate dal buon senso! Continuare gli studi e rinunciare a cantare. E così, quasi senza accorgersene, aveva rinunciato a molte altre cose. Aveva rinunciato alle sue proprie parole, più che altro!
E alla sua generazione, ed alla sconfitta di quella generazione.
In cambio aveva ricevuto quella tranquillità che gli derivava da altre parole, non sue, che andava ripetendo, ogni mattina, ora dopo ora, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Parole senza forza. Ombre pallide e fantasmi inconsistenti delle parole che avrebbe messo, con rabbia, dentro le sue canzoni mai scritte.
Viveva da trent'anni con un piede piantato sulla sua propria gola!
Si era adeguato a quel mondo, esangue, ricevendone in cambio la tranquillità di una vita spesa senza mai alzare la voce.
Mentre le prime luci del giorno cominciavano a strisciare dentro la cucina, attraverso i vetri della finestra, accese il gas sotto la "moka", prudentemente riempita la sera prima.
Le piccole abitudini che scandivano la sua vita! Prepararsi il caffé, sedersi al tavolo della cucina con la tazza fumante davanti e gli appunti sparsi, a rimettere insieme la lezione da tenere a quelle persone di cui non aveva incontrato mai gli occhi.
Scacciare via l'idea, la certezza, che non aveva loro niente da dire. Niente da insegnare a quelle povere marionette con le loro facce usate dal buon senso.
Incapaci di giocarsi un qualsiasi sogno che non fosse un futuro di lavoro e di guadagno.
Infilò la mano nella borsa di cuoio, scansò la piccola risma di fogli e strinse l'impugnatura della P38! Un piccolo cambiamento nel programma didattico. Avrebbe tenuto una lezione non prevista, quel giorno; avvalendosi di uno strumento d'insegnamento inconsueto, sebbene non inedito.
Sentì il sorriso forzargli i muscoli della faccia, e se ne sorprese.
Piacevolmente.