lunedì 11 settembre 2006

teste


Era il luglio del 1984 e, a Livorno, la signora Vera Durbé spendeva tutte le sue energie per allestire una mostra nel centenario della nascita di Amedeo Modigliani. Il più illustre livornese del novecento, schernito e praticamente cacciato dalla sua città, doveva tornare a Livorno con tutti gli onori. La mostra, dal titolo “Modigliani e la scultura”, a dire il vero si era aperta fra cauti omaggi di rito e perplessità della critica. Delle ventisei sculture di Modigliani esistenti nel mondo, ne erano arrivate solo quattro. Ma Vera Durbé aveva l'asso nella manica: bastava cercare nel fosso mediceo, dove l'artista, prima di lasciare la città in reazione ai giudizi dei suoi concittadini, aveva deciso di gettare le sue opere. L'operazione venne assecondata dal comune di Livorno (giunta PCI), che non risparmiò sui mezzi, sperando in un ritorno economico per una città che non aveva turismo. E, dopo otto giorni, la scavatrice tirò su una testa in granito, seguita a poche ore da una seconda in pietra serena. Chi altri, se non Modigliani, poteva aver scolpito quelle teste? Le linee dure, i tratti barbarici...Non applaudirono solo gli uomini del comune. Applaudirono, non obbligati, tanto quanto poco informati, i grandi maestri della critica d'arte del tempo: Argan, Brandi, Ragghianti... E le due teste, ripulite, certificate e catalogate, entrarono con tutti i rispetti nella mostra. Ma il fosso, assai generoso, ne vomitò una terza, assai più grande. I visitatori accorrevano da ogni parte d'Italia. Giornalisti e troupes televisive. Fin dal Giappone. Un comunicato Ansa annunciò che tre studenti livornesi (Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Guarducci) avevano dichiarato a Panorama di essere loro gli autori, con un Black & Decker, dell'ultima testa. E, per dimostrarlo, ripeterono in televisione il loro esperimento, dal vivo.
Persa una testa, ci si trincerò dietro le altre due che – sostennero alcuni critici impenitenti – quei ragazzi non avrebbero mai potuto fare.
La trincea tenne, ancora per una decina di giorni, fino a quando venne allo scoperto l'autore delle altre due teste. Si chiamava Angelo Froglia. Era un lavoratore portuale, militante dell'estrema sinistra, con animo di artista e mano abile allo scalpello.
“Volevo far sapere come nel mondo dell'arte l'effetto dei mass-media e dei cosiddetti esperti possa portare a prendere dei grossissimi granchi”.
Era stata una risata a seppellirli, esperti e non.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Franco, le cose sono un po' più complicate - Angelo, compagno anarco-trozkista, che poco dopo sarebbe scomparso malamente per overdose, si legò ad un affarista locale, un gallerista, poi candidato sindaco per AN, oggi convinto di essere abramo o mosé redivivo, un certo Guastalla.
Questo rapporto oscuro si inserì nel tentativo demistificatorio di Angelo, in realtà utile all'altro individuo, in rotta col critico d'arte Dario Durbé (fratello di Vera, una povera signora anche lei usata per l'occasione) proprio per vicende collegabili alle expertise di opere modiglianesche o pseudotali (hai idea di quanto valga un modì, specie se autenticato?)

BlackBlog francosenia ha detto...

Non saprei...Quello che so è che
Angelo Froglia fu compagno di cella di Horst Fantazzini per un certo periodo. Insieme, condividevano l'amore per l'arte e un certo gusto sbeffeggiatore contro intellettuali e critici prezzolati. Horst, saputa la notizia della sua morte, aveva espresso il desiderio che fosse ricordato: ragazzo del popolo, compagno meraviglioso, ironico, creativo e pieno di fantasia, nonché suo grande amico.
Preferisco ricordarlo così.

salud