mercoledì 23 agosto 2006

E. G. de la S. (1928-1967)


Ci fu un tempo quand'erano in diecimila a portare in capo il suo berretto,
in centomila a portare per le strade, del suo ritratto
grandi ritratti, a gridare il suo nome a perdifiato.
Irreali sembrano ora quei cortei attraverso la città, quasi
quanto la terra e la classe in cui egli era nato.

Lontana dai mattatoi e dalle baracche e dai bordelli
si sgretolava sul fiume la villla del padre. Il denaro era svanito,
ma la piscina fu tenuta. Un bambino timido, allergico,
spesso sul punto di soffocare. Lottò col proprio corpo,
fumò sigari, divenne (per ciò che vuol dire) un uomo.

Sotto il cuscino teneva Jules Verne. La sua prima sortita,
la sua prima fuga nella realtà: Tristi Tropici.
Ma i lebbrosi sotto la decrepita veranda lungo il Rio delle Amazzoni
non capivano ciò che diceva, e continuavano a morire. Fu solo allora
che trovò il nemico che gli rimase fedele fino alla fine,
e il nemico del nemico. Poche vittorie trascorsero, e a lui
l'Uomo Nuovo, una vecchia idea, parve una novità. Eppure l'economia
non ascoltava i suoi discorsi. Mancavano sempre gli spaghetti.
Inoltre non c'era più dentifricio, e di che cosa è fatto il dentifricio?
Le banconote ch'egli firmava non valevano nulla.

Lo zucchero sulla camicia era vischioso.
Le macchine, pagate con valuta pregiata,
arrugginivano sul molo. Un ronzìo di si dice sommergeva La Rampa.
Inchini a Mosca, nuovi crediti. Il popolo aspettava in fila,
era irresponsabile, faceva battute fameliche. Ovunque delatori,
intrighi ch'egli non afferrò mai. Un eterno forestiero.

Voleva moralizzare i Russi. Il filantropo invocava
"l'odio inesorabile che avrebbe trasformato gli uomini
in una violenta, efficace, fredda macchina omicida". In realtà
era una mimosa: preferiva leggere poesie. (Baudelaire
lo conosceva a memoria). Un delicato infingardo, pane per i servizi segreti.

E allora corse alle armi e rimase lì, dove tutto era chiaro
e distinto: nemico il nemico e tradimento il tradimento, nella giungla.
Solo lui stesso pareva spento. "Gonfio, senza barba, con le tempie grigie,
occhiali dalle lenti spesse, come un salesman, in montgomery", così
camuffato si avviò a Ñanccahuazú al suo ultimo lavoro.

Non parlava in quechua né il guaraní. "Il silenzio degli indios
era assoluto, come se venissimo da mondi diversi". Insetti,
liane, boscaglia. "I contadini come pietre". Coliche, attacchi di tosse,
edemi. Dosi eccessive di cortisone. Adrenalina.
Anelante l'ultima iniezione: "Ave María purísima!"

Già "la leggenda si diffondeva come una schiuma. Siamo tutti
Supermen, invincibili". (Sempre questa micidiale ironia,
inavvertita dai compagni). "Un relitto umano", un idolo.
"Lo avremmo impiegato", annunciarono tra i suoi nemici mortali
i più progressisti. Invece spiegarono il suo cadavere
con le mani mozzate. "Un'avventura mistica", anzi,
"una Passione che irresistibilmente ricorda l'immagine di Cristo":
così scrissero i seguaci. Lui: "Les honneurs, ça m'emmerde".
E' stato non molto tempo fa, ed è stato dimenticato. Solo gli storici
si annidano come tarme nella stoffa della sua uniforme.

Buchi nella guerra del popolo. Ormai nella metropoli di lui parla
soltanto una boutique, che gli ha rubato il nome.
In Kesington High Street ardono i bastoncini d'incenso;
accanto alla cassa siedono gli ultimi hippies, fiaccati,
irreali, come fossili, e senza quesiti, e quasi immortali.

Il testo si tronca, e quiete continuano a marcire le risposte.

- Hans Magnus Enzensberger -

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