venerdì 30 giugno 2006

Il cavaliere elettrico



C'è un film, fra quelli che amo in modo particolare, il quale mette in atto,
riuscendoci alla perfezione, un connubio perfetto fra immagini e suoni. Il film
di cui ti sto parlando è "il cavaliere elettrico" di Sidney Pollack . Una sorta
di western dei nostri tempi che racconta la storia di Sonny (Robert Redford),
ex-campione di rodeo dalla vita "scassata", perennemente ubriaco di tequila, che
sbarca il lunario vendendo la sua immagine per la pubblicità di una marca di
corn-flakes. Il cavaliere elettrico del titolo sarebbe lui che dovrebbe entrare
in scena, sul palco di un teatro, addobbato come un albero di natale avvolto in
un reticolo di lampadine accese, a cavallo di un purosangue, ex-campione anche
lui e addobbato di lampadine anche lui. Solo che il cavallo è stato drogato fino
al midollo, per "combattere" alcuni sintomi che ne potrebbero pregiudicare
l'esibizione. Il cowboy ha un empito di lucidità, e di pietà, e decide di
portarselo via, con lo scopo di ridargli la libertà in un uno degli ultimi
posti selvaggi d'america (esisterà davvero, un posto così?) dove vivono ancora
cavalli in libertà.
Ragion per cui si allontana a cavallo dell'animale, cui ha deciso di restituire
il destino di "stallone" che gli hanno rubato e, approfittando della confusione
stupefatta che si è venuta a creare, riesce a imbarcare il cavallo sul suo
camper e ad allontanarsi indisturbato. Non starò a raccontare tutta la trama
del film, comprensiva di giornalista un po' fedifraga (Jane Fonda) che gli si
mette alle calcagna, delle fughe dalla polizia, dell'inevitabile storia d'amore
(ogni tanto qualche banalità ci sta bene ) fino al lieto fine della liberazione
con doppio salto mortale carpiato. E qui, che alla fine, entra in ballo il
capolavoro della musica - che già si era comportata benissimo per tutto il resto
del film - con sonny che si allontana nel tramonto mentre risuonano le note di
"Hands on the wheel" ("mani sul volante"). La canzone di un autore
misconosciuto, certo Bill Callery, viene resa col cuore dalla voce nasale di
Willie Nelson.



Hands on the wheel

Mani sul volante

Quando tutto il mondo sembra girare disperatamente e fuori da ogni controllo
Dappertutto ingannatori e credenti, e tutti quei vecchi arnesi che sono una via di mezzo
E sembra che non ci sia più un posto dove andare
Niente, è la stessa vecchia canzone, è giusta ed è sbagliata
E vivere è diventato soltanto una cosa da fare, come tante altre
E senza più un posto dove potermi nascondere, ho guardato nei tuoi occhi
E mi sono ritrovato in te.

Ho guardato le stelle, sono entrato in tutti i bar
E sono arrivato ad un passo dall'andare in fumo
Ora la mia mano è sul volante, posseggo qualcosa che è reale
E mi sento come se stessi andando a casa.

E all'ombra di una quercia, lungo il fiume,
Sedevano un vecchio e un ragazzo
Cucendo vele e intrecciando storie di caccia alle balene
Ed una signora che gioiva per entrambi
Niente, è la stessa dannata melodia, è la faccia che vedi sulla luna.
E' il modo in cui mi sento pensando a te
E senza più un posto dove potermi nascondere, ho guardato dentro i tuoi occhi
E ci ho ritrovato me stesso.
Ho guardato le stelle, sono entrato in tutti i bar
E sono arrivato ad un passo dall'andare in fumo

Ora la mia mano è ferma sul volante, ho qualcosa di vero
E mi sento come se stessi andando a casa.

mercoledì 28 giugno 2006

Against the Wind


Ci sono canzoni come se fossero la tua vita!
Una di queste è "Against the wind", scritta da Bob Seger nel 1980, e pubblicata sull'album omonimo. Ne esiste una versione degli highwaymen (che poi sarebbero Johnny Cash, Waylon Jennings, Kris Kristofferson e Willie Nelson) semplicemente inarrivabile.

Questa è una ballata, cantata a più voci. Le storie sono le solite, piene di cuori infranti e di corse pazze e senza senso per strade che non sono nostre. Forse. Strade d'america. Come quelle dei film. Dritte e polverose, con niente all'orizzonte, e niente ai lati. Ci stanno bene, certe canzoni su certe strade, dove le automobili tornano, in qualche strano modo, ad essere.. cavalli! Chissà perché mai si vanno a percorrere, certe strade, con l'autoradio che sputa fuori certe canzoni. Chissà perché? E a cercare cosa? Forse quella “felicità” che hanno avuto il fegato, “gli americani”, di infilare il diritto a perseguirla, il diritto ad essere felici (testualmente), perfino dentro a quella costituzione scritta dai quattro parrucconi che si erano ritrovati intorno a un tavolo!?
Una “cerca” che sembra sottendere perfino la loro musica.
Ci soffia dentro,la felicità.Da afferrare, da desiderare, da volere, da pretendere. Ci soffia dentro, per l'appunto, come un vento caldo. Sembra di sentirlo il vento che fischia, mentre l'ascolti.
Un vento caldo.
Ci sono nato al soffio di un vento caldo. Chiudo gli occhi, e lo sento ancora sulla pelle.
Credo che ogni tanto ci voglia, un po' di vento caldo. Scirocco è un vento che conosco bene.
Lo conosco. Come lo conosce la mia ortygia, che lo sopporta per molti mesi l'anno quel vento caldo e umido, proveniente da sudest, dalla siria da cui prende il nome.
Lo si porta dietro e dentro, con sé, un vento come quello; che benché non soffi propriamente impetuoso, ha alitato tanto, e abbastanza a lungo, da essere entrato nel linguaggio.
Sinonimo di un'indolenza, sempre in agguato, che ondeggia fra la noia di cui parla barthes e la saudade che imperversa ad altre latitudini.
Fa cose strane, lo scirocco. Alle persone e al mare.
Tanto che, nel dialetto locale, è divenuto un modo, più o meno aggettivato, per descrivere un mare che, calmo al largo, esprime tutta la sua violenza sulla linea della costa.
Dev'essere stato, nel passato, ma a volte anche oggi, un vento col suo senso dell'umorismo, per chi navigava quei mari: ti riportava sì a casa, ma ti sfracellava contro gli scogli!
Così, probabilmente, se lo sono portati dietro e dentro, lo scirocco, quei pirati siracusani che, sfuggendo ad una guerra, si narra, arrivarono fin sulle coste dell'irlanda.
Portando musica e scirocco.
Anch'io, nel mio piccolo, me lo sono portato dietro e dentro, quel vento. Che fa male, sicuro!
Ma che se, un giorno o l'altro,dovesse smettere di soffiare, o fuori o dentro, ti lascerebbe un senso come di perdita e di vuoto.

Questa prova ad essere la traduzione di Against the Wind (questo è solo il link al testo originale, la canzone comunque si trova. Si trova)

Contro il vento (di Bob Seger)

Sembra quasi ieri, ma ne è passato di tempo
Lei era adorabile, era la regina delle mie notti
Là, nel buio, con la radio accesa che suonava piano
I segreti che abbiamo condiviso,
le montagne che abbiamo smosso
Bruciando come un incendio incontrollabile
Non rimase niente da bruciare e niente da provare

E ricordo quello che mi disse
Di come mi giurò che non sarebbe mai finita
Ricordo come mi stringeva, saldamente
Vorrei non aver saputo mai quello che allora non sapevo.

Contro il vento
Noi correvamo contro il vento
Eravamo giovani e forti
Ma stavamo solo correndo contro il vento.

E gli anni mi rotolarono lentamente alle spalle, e mi trovai da solo
Circondato da estranei che avevo ritenuto miei amici
Mi ritrovai sempre più lontano da casa mia
Avevo perso la strada, in mezzo a tutte quelle strade
Stavo vivendo per correre e correvo per vivere
Senza preoccuparmi del prezzo e di quanto possedevo
Viaggiando per mesi, senza sosta, a otto miglia al minuto
Rompendo tutte le regole che avrei potuto piegare
Mi scoprii d'un tratto che cercavo
Cercavo un rifugio, ancora e ancora.

Contro il vento
Noi stavamo correndo contro il vento
Mi ritrovai a cercare
Un rifugio contro il vento.

Tutti quei giorni senza fare niente sono alle mie spalle, adesso
Ho molte più cose, ora, cui pensare
Scadenze e impegni
Cosa rispettare e cosa ignorare

Contro il vento
Noi stavamo correndo contro il vento
Ora sono più vecchio e ancora
Corro contro il vento
Contro il vento.

Costituzione: considerazioni “inattuali”!


(...)
In effetti il costituzionalismo, nel nesso che lo lega al parlamentarismo, viene ormai da più di un secolo criticato per la sua incapacità di stringere effettivamente garanzie di rappresentanza ed efficacia di governo.
Dalla polemica contro la cosiddetta “dittatura del parlamento”, verificatasi in periodi di egemonia borghese e di suffragio limitato, manifestatasi nell'incapacità di permettere, al di là dei giochi trasformistici dei gruppi, un'efficace processo di formazione e di articolazione della volontà politica, alla polemica sui regimi che, esaltando la funzione esecutiva, abbassano il parlamento a puro ricettacolo di dibattiti ideologici o a centro di pressione di interessi – tra questi due poli corre la discussione sulla riforma del parlamentarismo costituzionale, senza che risultati definitivi possano dirsi raggiunti.
(...)

Antonio Negri – “Costituzionalismo e parlamentarismo“ in Enciclopedia Feltrinelli Fischer – Scienze Politiche 1 (Stato e politica) – Novembre 1970

martedì 27 giugno 2006

Fuga per la Vittoria!


È una storia diversa, nel mondo sfavillante del calcio. Una storia di calcio,
di un altro tipo di calcio però, dove i protagonisti, fra i personaggi del film
citato, somigliano più che altro a quelli che, nel film stesso, provenivano
dall'Europa dell'est.
La faccenda va avanti da diversi mesi, ma è trapelata solo in questi giorni di mondiali.
È l'ottobre del 2005, quando i ventidue giocatori della nazionale giovanile del Gambia,
passati per l'Egitto e l'Ungheria, giungono a Rogia, in Slovenia per il ritiro, decisi a non
fare ritorno inpatria. Finiscono nel cpt di Otok, vicino Postumia, e ci rimangono per
sette mesi. Del resto, anche la Slovenia adesso è in Europa!!
Stanno scappando. Scappano dal Gambia, dove la polizia, nel 2000, a Birkama, ha
aperto il fuoco contro gli studenti che manifestavano per protestare a causa
dell'uccisione di uno di loro, ammazzandone altri 14, e ferendone molti altri.
La richiesta di asilo, presentata presso la polizia slovena, è stata bloccata e a
quindici di loro è stato rifiutato lo status di rifugiato.
Sei di loro hanno continuato a correre. Adesso due fra questi stanno giocando
nella squadra del Domzale che milita nella serie b slovena. Gli altri quattro
aspettano dietro le sbarre del cpt. Aspettano di poter giocare il prossimo 2 luglio.
Aspettano di poter continuare a correre.
Correte, ragazzi, correte! Il vecchio mondo vi insegue.

lunedì 26 giugno 2006

Costituzioni!

Il 22 Dicembre 1947 l'Assemblea Costituente aveva solennemente approvato, con 453 voti favorevoli e 62 contrari, la Carta costituzionale della Repubblica Italiana. Lo stesso giorno, in Sicilia, quattro lavoratori cadevano sotto il piombo della polizia.
                                - Danilo Montaldi - Saggio sulla politica comunista in Italia (1919-1970)-

venerdì 23 giugno 2006

Dublino, 1922

Ira 1922 Dublino

Credo - anzi, ne sono convinto - che per le fotografie valga lo stesso principio che Van Gogh sosteneva dovesse valere per la pittura, quando affermava che c'era più mondo dentro un solo ritratto che in tutti i paesaggi e le nature morte messe insieme.
Così, per le foto, come per i dipinti, sembra comandare la regola per cui non appena si popolano di esseri umani, di volti, di posture, acquistano una valenza del tutto altra. Diventano vivi.
Questa foto è fra quelle che, in assoluto, amo. Il fotografo è riuscito a fermare, nel suo scatto, alcuni militanti dell'ira (irish repubblican army) mentre pattugliano le strade di dublino, nel 1922.
Lo sguardo, allora, tende a soffermarsi sui particolari. Avrà qualcosa nella mano nascosta dentro l'impermeabile bianco, l'uomo col fucile all'estrema sinistra? E cosa ci sarà mai dentro quell'involucro - sembrerebbe di carta di giornale - che fuoriesce in parte dalla tasca sinistra dell'uomo al centro dellla foto?
Diventa paradossale considerare la naturalezza con cui si inseriscono nel “paesaggio”.
I passanti, le donne in bicicletta, non appaiono soffrire affatto della loro presenza. Non sono un corpo estraneo. Sono dublino, e sono dublinesi insieme a tutti gli altri dublinesi. Non sono mai stato a dublino!
Non ancora!

giovedì 22 giugno 2006

In nome del popolo italiano



A proposito di calcio, e di mondiali, c'era un bel film, "In nome del popolo italiano",
dove un Ugo Tognazzi, magistato, indagava su un Vittorio Gassmann costruttore
tangentaro e speculatore, a proposito della mortedi una ragazza.
Via via che andava avanti con le indagini, venivano fuori tutte le
"magagne" del costruttore e, in second'ordine, la sua estraneità ai fatti.
Impossibilitato a mettere sotto accusa l'estroso personaggio
(tangentopoli era ancora molto ma molto di là da venire!), il
magistrato distruggeva le prove che scagionavano il malcapitato costruttore.

Si convinceva a fare ciò quando assisteva alle manifestazioni di tifo
per una vittoria riportata, dall'italia sull'inghilterra, in un incontro di calcio.

Una folla di tifosi beceri e urlanti dava alle fiamme le automobili
dalla targa inglese, e, nella fantasia di Tognazzi, ogni tifoso aveva
le sembianze di gassman: vere e proprie scimmie urlanti che
sventolovano il tricolore e si accanivano, picchiandoli, sui turisti
inglesi che capitavano loro sottomano.

Dopo un breve attimo di indecisione, il fascicolo che avrebbe
scagionato il costruttore (un referto medico) finisce nelle fiamme di
un'autovettura dalla targa inglese.

Sì, era proprio un bel film, quello di Dino Risi, del 1971!


mercoledì 21 giugno 2006

Una canzone per Curbara

Una canzone ... tanto dolce e tanto bella, come un bacio che ti sfiora.

Ha fatto bene Luca a scrivere una canzone su Silvio Corbari! E ha fatto bene a scriverla come una canzone d'amore. E mi fa bene all'anima sentirgliela cantare ogni volta che posso. Questa è stata la seconda volta, per me. Anche se l'aspettavo da tanto tempo, una canzone così. Già una canzone su Corbari, un altro di quei partigiani, come “il comandante Faccio” cantato da Davide Giromini, presumibilmente tradito e consegnato ai fascisti dai comunisti”!
Una storia d'amore, dicevo. Una storia d'amore consumata sul letto sontuoso di una rivoluzione. Finita male. La storia d'amore, e la rivoluzione. Tutte le grandi storie d'amore finiscono male, chiosava tronti a proposito del libro di memorie della Rossanda, solo le piccole vicende durano per sempre, trascinandosi.
I due amanti partigiani appesi ad un lampione, in una piazza. Iris già morta: si era ammazzata per far sì che Corbari non si attardasse a cercare di soccorrere lei ferita. Inutilmente. Era arrivato in fondo alla sua strada, quel Corbari che, da ragazzo, aveva segato e portato via il ciliegio di un contadino che aveva picchiato dei ragazzini del borgo, colpevoli di aver preso delle ciliegie da quell'albero.

Corbari, bollato come “anarcoide”, politicamente inaffidabile, non accettò mai il commissario politico nella sua banda. “Curbara” meritava una canzone come questa. Una canzone come una ballata western. Una canzone come fosse una canzone per Billy the kid, per Butch Cassidy. Una canzone d'amore. Per amore. Una canzone alla salute di Iris e di Silvio. Sarebbe piaciuta anche a Tonino Spazzoli e ad Adriano Casadei.

I ragazzi di Anansi

"Comincia, come quasi tutto, con una canzone.
Al principio era il verbo, erano parole accompagnate da una melodia. È così che venne fatto il mondo, che il vuoto fu diviso, che le terre e le stelle e i sogni e gli dei minori e gli animali...che ogni cosa venne al mondo.
Con il canto.
I grandi rettili furono cantati dopo che il cantore aveva finito con i pianeti, le colline, gli alberi, gli oceani e gli animali più piccoli. Furono cantate le scogliere che legano l'esistenza, i terreni di caccia, e l'oscurità.
Le canzoni rimangono. Durano. La canzone giusta può trasformare un imperatore nello zimbello del paese, può far cadere dinastie. Una canzone dure ben oltre il momento in cui i fatti e le persone di cui parla sono diventati polvere e sogno. E' questo il potere delle canzoni,"


Anansi è un dio, ma molto particolare: è un uomo-ragno. E questo libro di Neil Gaiman racconta i suoi figli. A Londra, in Florida e in un altro mondo parallelo al nostro. E' impastato di sogni, questo libro. E' impastato con i sogni. Animali divini che si battono nelle strade. Per conquistare il potere di raccontare le storie che creano mondi.


Neil Gaiman
I ragazzi di Anansi
Mondadori – Stradeblu



martedì 20 giugno 2006

Radio America


A Prairie Home Companion, With Woody Harrelson, Tommy Lee Jones, Garrison Keillor, Kevin Kline, Lindsay Lohan, Virginia Madsen, John C. Reilly, Maya Rudolph, Meryl Streep, Lily Tomlin
Comincia come se fosse una storia di Chandler, però dipinta da Hopper.
Uno di quei "diner" da falchi della notte, questa volta sfavillante di luci. La voce narrante è quella di Guy Noir, il nome improbabile del personaggio interpretato da un Kevin Kline in grande spolvero, il cui registro presto comincerà a passare da "viale del tramonto a Jerry Lewis.
La scena è quella di un teatro (lo "Scott Fitzgerald" di St. Paul, Minnesota) con tanto di testa in bronzo dell'autore de "il grande Gatsby" a far da nume tutelare.
L'avvenimento è "l'ultimo valzer" di una trasmissione radiofonica, registrata in diretta, che da trent'anni "ti porta la prateria in casa" ("A prairie home companion", il titolo originale di "Radio America") e che verrà chiusa da un progresso che avanza con le sembianze di Tommy Lee Jones.
La musica è quella che G.K. (Garrison Keillor), nel film e nella realtà, trasmette nel suo programma seguito da trentacinque milioni di ascoltatori nel mondo di lingua anglosassone. La musica di chi piange la scomparsa di Johnny Cash, e sa ridere dei fondamentalisti ascoltando una genesi nuova di pacca in cui l'uomo è stato creato dalla terza tetta di una donna, dopo che dio aveva deciso di mozzargliela per palese inutilità! Le canzoni sono quelle che in molti hanno cantato, e continuano a cantare. Da "the old plank road" a "red river valley", a "Frankie and Johnny", a volte cantate con parole improvvisate e diverse.
La pubblicità – sì, c'è anche la pubblicità! - è quella improvvisata in improbabili jingle e in divagazioni altrettanto improvvisate su un nastro isolante, con il rumorista che rischia il suicidio vangoghiano per non saper rendere il suono di una spada fiammeggiante. La realtà è quella della morte, portata da una Virginia Madsen in impermeabile bianco. Angelo, vittima (di una barzelletta insulsa) e giustiziere che porta il nome del fiore, sui cui campi, secondo i greci, vagavano le ombre dei defunti. Asfodelo! La regia è quella di Altman che, a ottantuno anni, realizza un film che è un inno alla vita, e che andrebbe rivisto almeno altre venti volte – e non basterebbero – per scoprire sempre cose nuove e rendere giustizia alle batture di "Dusty & Lefty", maltradotte nei sottotitoli in italiano.