venerdì 29 dicembre 2006

Giorgio Mustacchi!



Giorgio Mustacchi. No, non è uno scherzo, è proprio il vero nome e cognome di Georges Moustaki! Che dire di "Le métèque" (lo straniero, come ce lo proposero in italiano, sul finire degli anni sessanta!)? Del suo modo accattivante di cantare, quasi in punta di piedi? Solo che mi piace. Non ha una gran voce, certo, ma mi piace. Mi piacciono i suoi testi. A partire da "Les amis de Georges", in cui il "Georges" in questione è Brassens, e non Moustaki! E diciamo che Brassens ne esce come merita.

Les amis de Georges étaient un peu anars
Ils marchaient au gros rouge et grattaient leurs guitares
Ils semblaient tous issus de la même famille
Timides et paillards et tendres avec les filles
Ils avaient vu la guerre ou étaient nés après
Et s'étaient retrouvés à Saint-Germain-des-Prés
Et s'il leur arrivait parfois de travailler
Personne n'aurait perdu sa vie pour la gagner

Les amis de Georges avaient les cheveux longs
A l'époque ce n'était pas encore de saison
Ils connaissaient Verlaine, Hugo, François Villon
Avant qu'on les enferme dans des microsillons
Ils juraient, ils sacraient, insultaient les bourgeois
Mais savaient offrir des fleurs aux filles de joie
Quitte à les braconner dans les jardins publics
En jouant à cache-cache avec l'ombre des flics

Les amis de Georges, on les reconnaissait
A leur manière de n'être pas trop pressés
De rentrer dans le rang pour devenir quelqu'un
Ils traversaient la vie comme des arlequins
Certains le sont restés, d'autres ont disparu
Certains ont même la Légion d'honneur - qui l'eût cru?
Mais la plupart d'entre eux n'ont pas bougé d'un poil
Ils se baladent encore la tête dans les étoiles

Les amis de Georges n'ont pas beaucoup vieilli
A les voir on dirait qu'ils auraient rajeuni
Le cheveu est plus long, la guitare toujours là
C'est toujours l'ami Georges qui donne le la
Mais tout comme lui ils ne savent toujours pas
Rejoindre le troupeau ou bien marcher au pas
Dans les rues de Paris, sur les routes de province
Ils mendient quelquefois avec des airs de prince
En chantant des chansons du dénommé Brassens

Altre canzoni, come "Le facteur", possono, a mio avviso, essere considerate "deandreiane". E con questo intendo dire che se Fabrizio De André ne avesse fatto una "cover", con la sua voce, le avrebbe reso immortali; perlomeno nell'ambito delle combriccole di vedove, più o meno allegre.


Le jeune facteur est mort
Il n'avait que dix-sept ans
L'amour ne peut voyager
Il a perdu son messager

C'est lui qui venait chaque jour
Les bras chargés de tous mes mots d'amour
C'est lui qui portait dans ses mains
La fleur d'amour cueillie dans ton jardin

Il est parti dans le ciel bleu
Comme un oiseau enfin libre et heureux
Et quand son âme l'a quitté
Un rossignol quelque part a chanté

Je t'aime autant que je t'aimais
Mais je ne peux le dire désormais
Il a emporté avec lui
Les derniers mots que je t'avais écrits
Il n'ira plus sur les chemins

Fleuris de roses et de jasmins
Qui mènent jusqu'à ta maison
L'amour ne peut plus voyager
Il a perdu son messager
Et mon coeur est comme en prison...

Il est parti l'adolescent
Qui t'apportait mes joies et mes tourments
L'hiver a tué le printemps
Tout est fini pour nous deux maintenant

E poi come potrei non amare un cantautore che fuma, e parla di gitanes?

"Tu portes ma chemise
Et je mets tes colliers
Je fume tes gitanes
Tu bois mon café noir
............................"
(Je ne sais pas où tu commences)

Ancora contatti con De André? Si, almeno con il De André de "La buona novella"!. Li possiamo trovare in "Joseph".

"Tu aurais pu, mon vieux Joseph
Prendre Sarah
Ou Deborah
Et rien ne serait arrivé
Mais tu as preféré Marie"

E deandreiana è, nell'incedere, anche "Votre fille a vingt ans", scritta a quattro mani insieme a Serge Reggiani (un altro "cantante" da riscoprire!). Si proprio lui. Reggiani: quello che muore alla fine del film "Tutti a casa" di Comencini, il miglior saggio mai realizzato sulla liberazione italiana.
Si. Mi piace Moustaki. Mi piace perchè dice che è tempo di vivere!

"Nous prendrons le temps de vivre
D'être libres, mon amour
Sans projets et sans habitudes
Nous pourrons rêver notre vie "

giovedì 28 dicembre 2006

partigiani



Una bella foto, in copertina. Talmente bella che è giocoforza prenderlo in mano, il libro. "Cantalo Forte" edito per "Stampa Alternativa". L'autore è tale Gioachino Lanotte, e il sottotitolo recita "La resistenza raccontata dalle canzoni". Così, è andata a finire che me lo sono portato a casa. E ho fatto bene! E' intrigante, e se lo gioca bene il suo presupposto, raccontando, in qualche modo, la resistenza attraverso le canzoni. Ma riesce a fare anche di meglio! Racconta la lotta partigiana attraverso le canzoni che sono state scritte dal dopoguerra in poi, ascrivendo alla "canzone partigiana" autori come Bubola, Della Mea, Fossati, Gang, e via di seguito. Una scelta coraggiosa che vuole sottintendere come non siano mai venuti meno, del tutto, le motivazioni alla base della lotta di liberazione. Come se fosse rimasta una di quelle rivoluzioni fatte a metà. Una rivoluzione fallita, come tante altre. Con il suo carico di contraddizioni e di generosità, di nefandezze e di eroismi, e di assurde rinuncie. Ma anche di canzoni. E ancora se ne fanno. Qualcosa vorrà pur dire.

mercoledì 27 dicembre 2006

natale!



Anche quest'anno, grazie al cielo (ogni tanto è un piacere citare Bunuel che, grazie a dio, era ateo!), natale è passato, Passato, col suo carico di ipocrisie e falsità. Passato, così che i "prigionieri delle famiglie" possono tornare in "libertà". Non so perché, ma ad ogni natale, mi torna in mente una canzone di Adelmo e i suoi Serapis (un gruppo costituito da, fra gli altri, "Zucchero" Fornaciari e Maurizio Bandelli). Una canzone non proprio celebrativa. C'è stato perfino il "miracolo", questo natale. E non sto parlando del fatto che il "reverendo soul" James Brown è andato a vedere com'è fatto quello che ha illuminato di un raggio di luce John Belushi. Parlo del ragazzo morto soffocato in seguito all'incendio dell'albero di natale. Un miracolo? Sì, somiglia parecchio a quello raccontato da Portelli, in "Taccuini Americani": "nel santuario di Vallepietra, Lazio meridionale, una roccia staccatisi dal picco che sovrasta il santuario, era caduta addosso ad un venditore ambulante, il quale, anziché salvarsi come sarebbe stato naturale in un luogo tanto speciale, morì schiacciato. Il miracolo consisteva nel normale funzionamento delle leggi naturali, prodigiosamente ripristinate (per punire un peccatore, presumibilmente) al posto della normalità miracolosa di un luogo dove i massi ti cadono in testa senza farti male. Il verificarsi della normalità, anziché smontarla, confermava l'eccezionalità del luogo."

giovedì 21 dicembre 2006

le spine del deserto



La mente ha i suoi propri percorsi. E li segue, annodando e sciogliendo nodi. Così che, a volte, non rimane altro da fare che restare a guardare, mentre lo fa. Magari prendendo appunti, mentalmente. In attesa di poter stendere, su un foglio o su uno schermo, le parole che cercano e provano a ... raccontare.
Ho preso un libro che sto leggendo e ho visto un film. Anzi, nell'ordine, prima ho visto il film e poi, qualche settimana dopo, ho cominciato a leggere un libro. Del libro ne ho già parlato, ed è quello di Maurice Bignami. Del film non era mia intenzione parlarne. Non è un bel film, a mio avviso. Manca di una storia, di una sceneggiatura. E cade nel solito trito schema dei tedeschi cattivi e degli italiani buoni, anzi di più. Degli italiani buoni, nobili e generosi. Il film è "Le rose del deserto" di Monicelli, che ha qualche anno in meno di quanti ne avrebbe Torquato Bignami, se fosse vivo. E qualche anno in più di quanti ne avrebbe mio padre, se fosse vivo. Il film si svolge in Libia, durante l'ultima guerra. E mio padre, l'ultima guerra l'ha fatta in Libia. Il libro, Maurice Bignami, lo ha scritto perché ha letto la bozza di "memorie" che il padre aveva lasciato, morendo. E mio padre ha lasciato, morendo, fra le altre cose, anche un pacco di fogli scritti a mano che cercano di raccontare la "sua" guerra. Credo di essere l'unico ad aver letto quei fogli. Ed è stato giocoforza raffrontare il contenuto di quelle pagine, e le parole dei racconti orali, con il film. Sperando, in cuor mio, di ritrovarci qualcosa da poter riconoscere. Un po' di verità ... romanzesca. La odiava la guerra, mio padre. La odiava di quell'odio feroce che può provare solo chi la guerra l'ha fatta. Chi ne conosce la futilità e l'inutilità. Ma dentro la guerra c'era anche la sua giovinezza e la sua ... libertà. La sua incoscienza. I chilometri infiniti percorsi, in autocolonna, nel deserto della Sirte, di notte; ché di giorno fa troppo caldo. I bussolotti pieni di sigarette. Il fiammifero per accendere la prima, poi le altre a seguire, una via l'altra. Le bombe a piovere. Anche un parto, nel cassone del camion. Nascono facile i bambini, se ne infischiano loro. Un bersagliere, sopra una motocicletta, matto più di un cavallo. Uomo-gallina, lo chiamavano gli "alleati" tedeschi! Un pazzo scatenato che rapinava le scorte teutoniche. Da Tripoli a Bengasi, incrociando i tedeschi in fuga. A piedi. Vuoi un passaggio? Sì, ma dove vai? A Bengasi. Fossi matto! La fame. Un pacco di pasta, finalmente. Sì, ma dove cuocerlo? Dove far bollire l'acqua? Solo un vecchio fusto di nafta. Vuoto. Pasta condita con la nafta. Non è poi così male! E poi ancora le bombe dal cielo. E l'officina prende fuoco. Un operaio è un operaio, anche in guerra. E se muore, gli tocca di morire in officina. Ma no, solo l'80% di ustioni, sul corpo. Forse non si muore, poi. Si "limitano" a farti delle spennellature con la cera fusa. E niente cibo. Ché si rischia l'avvelenamento! Non erano né buoni, né nobili, né generosi, gli italiani. Non più di quanto lo fossero i tedeschi, o gli inglesi, o gli americani. Pazzi, stronzi, generosi, vigliacchi. Come tutti quelli che sono sopravvissuti a quella guerra. Non c'è altro, di lui. Solo quei fogli. Niente film.

mercoledì 20 dicembre 2006

emozioni



Non è che propriamente non mi piaccia, Lucio Battisti, Del resto, in qualche modo, era talmente presente in quegli anni, sul finire dei '60, che non poteva non segnare la mia adolescenza. Sarebbe ingeneroso dire che non mi piace, tout court, ed assimilarlo, così dicendo, ai vari ed eventuali che mi procurano il mal di stomaco e mi fanno accapponare la pelle. Dai Battiato ai Ramazzotti, per finire con Carmen Consoli. Senza dimenticare nessuno, pur concedendo loro il sollievo del silenzio. Non è che non mi piaccia, Battisti. Gli è che lo trovo banale. Agghiacciante nei testi infami di Mogol, già massacratore e coverista massacratore di cover (che a far le cover si riscuotevano le royalties anche sul venduto dell'originale in Italia!), e costituzionalmente incapace di un pensiero “alto”. Ma banale (e qui è Battisti e non Mogol) anche nel tessuto musicale, con quel suo strisciare semi-rauco in attesa del salvifico ritornello che lo traesse d'impaccio. Schiavo del ritornello, questo era, a mio avviso, Battisti Lucio. Nessuna sorpresa, tuttavia, a sentirlo celebrare, nello speciale del tg1 della domenica sera. Tutti concordi, a venerare il morto. Il più grande di tutti, rivoluzionario, e via a sprecare aggettivi. Gli stessi che gli Zucchero e le Mannoia sono pronti a sprecare alla prossima puntata. Che sia su De André o su Modugno, che importa? La nota divertente, però, c'è stata. Baglioni, direttamente dalla garbatella (*mi correggono: centocelle!), non fa a tempo ad informarci circa le simpatie fasciste, portate con una certa arroganza, del caro estinto, che subito il Capanna Mario, dalla statale di Milano ci rende partecipi del fatto che lui, vispo come un volpino, non ha mai dato credito alle “voci” che volevano di destra il canta-semi-autore nazional-popolare. Aveva capito tutto, fin da allora.

martedì 19 dicembre 2006

uomini



La foto in copertina è bella. Un uomo e un bambino, presumibilmente il padre e il figlio, che mimano un incontro di boxe. Sembra essere proprio questa, la cifra del libro su cui ho messo le mani e gli occhi, e che sto leggendo! “Gli uomini eguali”, edizioni Bietti. L'autore è Maurice Bignami. Solo che, stavolta, non si tratta del “solito” libro di memorie dell'ex-”lottarmatista” di turno. Mi verrebbe da definirlo come il tentativo di pagare un debito. Il debito che il Bignami (Maurice) figlio ha, o crede di avere, con il Bignami (Torquato) padre. Già, Torquato Bignami. Nato nel 1910, e morto nel 2000; e in mezzo l'iscrizione al partito comunista, nel 1926, a 16 anni, e la tessera strappata pubblicamente nel 1977, fino alla condanna per 'partecipazione a banda armata', comminatagli nel 1980. Partecipazione alla banda armata del figlio! E forse, quella “partecipazione”, era un modo in cui il padre pagava il debito che aveva, o credeva di avere, col figlio. Chissà se è riusto a farcela, prima di morire? E chissà se il figlio è riuscito a “riportare a terra” quel 'cotanto' padre? A riportarlo all'altezza dei suoi propri occhi.
Per farlo, ha messo mano al manoscritto di memorie, lasciato incompleto dal padre, e ha scritto la storia di un uomo fra le due guerre.
No, non credo. Non credo sia possibile, quando si ha bisogno di scrivere al libro un'appendice in cui definirsi, descriversi. Per dire le differenze. Quali differenze?
“Le idee erano buone, gli uomini sbagliano” - sintetizza il padre.
“Le idee erano pessime, anche se alcuni uomini hanno dato comunque il meglio” - obietta il figlio.
Maurice, per dirla con una metafora che andava di moda in quegli anni, è uno che ha buttato via il bambino insiema all'acqua sporca. L'abiura, dalla lotta armata, si è estesa anche al “comunismo”. E' arrivato, perfino, a co-dirigere il periodico fascista “Area” , nel tentativo di legittimare il diritto di tutti a esprimere le proprie idee, sposato al tentativo di dimostrare che tutti gli “estremismi” si equivalgono. Eterno divenire ed eterno ritorno, una volta astratti dal contesto della lotta di classe, si equivalgono. E il gioco è fatto. E infatti il peggior epitteto, l'insulto più terribile, diventa “amico dei sionisti", nella querelle col padre, e col comunismo. Già, amico dei sionisti. E non già amico dei padroni. Ché, dei padroni, nemici sembrano non essercene più.

lunedì 18 dicembre 2006

enigmistica



Non ho mai amato troppo la voce di Lucio Dalla, e neppure lui e il suo personaggio, ma "Anidride Solforosa", al tempo, mi colpì. E non poco. Mi colpirono i testi di Roberto Roversi.E mi capitò di pensare che Dalla, a conti fatti, non la meritasse una canzone così bella. Ma tant'è!


Le parole incrociate
[Roversi-Dalla]

Chi era Bava il beccaio? Bombardava Milano;
correva il Novantotto, oggi è un anno lontano.
I cavalli alla Scala, gli alpini in piazza Dom.
Attenzione:
cavalleria piemontese, gli alpini di Val di Non.

Chi era Humbert le Roi? Comandava da Roma;
folgore della guerra, con al vento la chioma.
La fanteria stava a Mantova, i bersaglieri sul Po.
Attenzione:
fanteria calabrese, i bersaglieri di Rho.

E chi era Nicotera, ministro dell'interno?
Sole di sette croci e fuoco dell'inferno.
All'Opera il Barbiere, cannoni a Margellina.
Attenzione:
spari capestri e mazze da sera a la mattina.

Di pietra non è l'uomo
l'uomo non è un limone
e se non è di pietra
non è carne per un cannone.

Cavallo di re
la figlia di un re
l'ombra di un re
e la voglia di un re.
Soltanto chi è re
può contrastare un re.

Il gioco dei potenti
è di cambiare se vogliono
anche la corsa dei venti.

E i limoni a Palermo? Pendevano dai rami,
coprendo d'ombra il sangue di poveri cristiani.
Chi era Pinna? Un questore, a Garibaldi amico.
Attenzione:
fucilazioni in massa, dentro al castello antico.

E la tassa sul grano? Tutta l'Emilia rossa
s'incendia di furore, brucia nella sommossa.
Stato d'assedio, spari, la truppa bivacca.
Attenzione:
lento scorreva il fiume da Cremona a Ferrara.

Che nome aveva l'acqua trasformata in pantano?
Macello a sangue caldo di popolo italiano.
Un'intera brigata decimata sul posto.
Attenzione:
i soldati legati agli alberi, agli alberi del bosco.

L'uomo non è di pietra
l'uomo non è un limone
poichè non è di pietra
neppure è carne da cannone.

Quando la vecchia
carne voleva
il macellaio
fu presto impiccato;
e un re da cavallo
è anche sbalzato
e in mezzo al salnitro
precipitato,
come al tempo
del grande furore
quando il vecchio imperatore
a morte condannava
chi faceva l'amore.

Sei le colonne in fila, il gioco è terminato.
Nel bel prato d'Italia c'è odore di bruciato.
Un filo rosso lega tutte, tutte queste vicende.
Attenzione:
dentro ci siamo tutti, è il potere che offende.

venerdì 15 dicembre 2006

una frase, un rigo appena ...



"La conoscenza è legata alla lotta. Conosce veramente chi veramente odia. Ecco perché la classe operaia può sapere e possedere tutto del capitale: perché è nemica persino di sé stessa in quanto capitale."

Così si leggeva a pagina 14 di "Operai e Capitale", di Mario Tronti. Almeno nell'edizione di cui sono in possesso io. Per la ripubblicazione del libro, DeriveApprodi ha fatto confezionare una maglietta che reca in calce, sul dorso, la prima parte della frase.
Sul davanti un bellissimo gatto stilizzato, rosso.

giovedì 14 dicembre 2006

gangster



Thomas Sterne Eliot:: "I poeti immaturi imitano; i poeti maturi rubano."

Gilles Deleuze: "Il furto di un concetto è tutt'altra cosa dal plagio, perché finisce con l'essere un atto creativo: rubare un concetto, estrapolandolo dal suo contesto, significa trasformarlo, ricrearlo."

mercoledì 13 dicembre 2006

storie di lotta continua



L'ho letto, il libro di Ico Gattai. "Mamma dormo fuori". L'ho letto quasi tutto d'un fiato. Mi sono divertito, ed ho riconosciuto chi doveva essere riconosciuto. Civetterie d'autore, forse. No, forse no. Forse semplicemente un qualcosa di ineludibile, la figura del "maestro". Lo era a pisa, e doveva per forza esserlo anche nel romanzo. Ricordo, a proposito del "maestro", come rimettedendo in ordine, all'archivio "il 68", i faldoni del fondo dell'avvocato Sorbi, ero incappato in una gustosissima cronaca giudiziaria del 1966 e 1967, a base di parà e capelloni, e di chitarre sfasciate sul capo. Anche lì imperversava la figura del "maestro". Ma questa è un'altra storia, anche se forse no. Non del tutto. Comunque ho ritrovato nel libro di Gattai, quel ritmo, quell'aria che non riesco a trovare nelle ricostruzioni serie di quella - Lotta Continua - che rimane una realtà che ci ha investito e pervaso un po' tutti, noi di quel paio, o tre, di generazioni. Anche, ma vi verrebbe da dire "soprattutto", coloro che non ne facevano parte! Mi è sembrato il modo migliore di raccontarla, la storia. O meglio, le storie. Perché di storie si tratta, più che di una storia monolitica. E quella di Gattai è, a pieno titolo, una storia di lotta continua. Una delle tante! Non sfigurerebbe affatto, anzi, accanto a quelle che conosco io. Direttamente, o che mi hanno raccontato altri. Quella di "pasquino", a Piombino, ad uno dei tanti processi contro il potere operaio pisano che, all'ennnesimo invito a togliersi la papalina di lana, risponde facendo notare al carabiniere che anche lui ha un berretto in testa. E quando quello ribatte dicendo di essere in servizio, sbotta con un "... e perché, io sare qui a divertirmi?". Quelle che giravano intorno alla più variopinta delle sezioni di elleci: quella di Siracusa, composta dalla più variegata provenienza di sinistra che si fosse mai vista. E una sede, in via Resalibera, nel ventre di Ortigia, che assomigliava a tutto - da un mercato ad un asilo nido - meno che ad una "sede politica". Praticamente, in essa era confluito tutto: dagli operai della montedison alla fuci. Dagli stalinisti agli anarchici. Alla prima uscita di piazza, vennero massacrati dalla polizia! Chissà dove sono adesso i miei amici. Aldo Taranto e Alfredo Di Pasquale. Storie. Come quella di Lotta Continua di Firenze, che venne "oltraggiata" da Adriano Sofri, quando per organizzare il comizio a Pisa, per la morte di Serantini, prese direttamente contatto con gli anarchici del "Gruppo Durruti". Ma a Firenze c'era anche il babbo di Moreno - che era di LC, non il babbo, Moreno - che aveva una friggitoria in Santa Croce. Quante volte ci ha sfamato, gratis, quando non avevamo una lira per mangiare. Adesso c'è una pizzeria di lusso, al suo posto, proprio di fronte al Cibreo. Che è del Picchi, che non era di Lotta Continua, ma avrebbe potuto esserlo, considerato che lo è stato uno come Pietrostefani! E la faccia trionfante di Maurizio Lampronti, quando sul quotidiano uscì un articolo di fondo a proposito di Trozkismo e Stalinismo, di mano del gran capo in persona, che argomentava dicendo il trozkismo non esistere e, rincarando la dose, defineva lo stalinismo parte costituente del nemico di classe. Era il 1972. Già, la faccia di Maurizio era il reciproco della faccia di Andrea "formaggino" Montagni.Storie di lotta continua. Non so se quella di Ico sia una storia buona, o una storia "giusta", ma è una storia. Giusto una storia. Di lotta continua.

martedì 12 dicembre 2006

la barca ... della vita



"Black and Blue America", di Chip Taylor, è un capolavoro. Un "concept-disk" che è un viaggio. Un viaggio attraverso gli anni a cavallo fra il 1950 e il 1960, i fatti, la musica e le idee. Prima di ogni pezzo, una breve "intro" per dare respiro all'album. Sono molti i "duetti". Fra tutti, e sopra tutti, quello giocato con la voce di Lucinda Williams, in "the ship". La voce di un angelo, caduto, quella di Lucinda. Graffia, commuove, fa rabbrividire. Come la vita!

La barca
di Chip Taylor

Nella luce del mattino
nel cuore della notte
piccola mia, giusto o sbagliato,
sono con te, sei parte di me
lo sarai sempre
nel mare aperto della vita
sei la barca con cui salpare

Prenderai questo anello
accoglierai il mio nome
abbraccerai i miei sogni
li farai tuoi
prenderò questo anello
si adatta alla mia mano
e quando lasceremo questa terra
tu sarai la barca con cui salpare

Portami verso l'acqua
guidami sulla spiaggia
dove sempre vuol dire per sempre
e tutti i giorni prima
se i fulmini sono la passione
ed il tuono è il risveglio
lascia che le tempeste infurino sul mare ventoso della vita

Nella luce del mattino
nel cuore della notte
piccola, giusto o sbagliato
sono con te sei parte di me,
lo sarai sempre, nel mare aperto della vita
sei la barca su cui navigare

giovedì 7 dicembre 2006

I loro ragazzi, così eroici...



Trovo molto divertente, ogni qual volta si assiste ad un confronto televisivo fra "destri" e "sinistri" (quelli che abbiamo), lo scambio di accuse e scuse che, a vario titolo, gli intervenuti si scambiano. Molto divertente, davvero, che l'incomprensione, e la diffidenza, fra gli opposti schieramenti, nasca da un solo semplice fatto: nessuno crede a quello che l'altro dice di essere! Per i sinistri, i destri non sono democratici. E per i destri, i sinistri non sono democratici. Tutto qui!! Gli uni accusano gli altri di millantato credito, e gli altri si profondono in giustificazioni e spiegazioni sul loro vero sentire e sul loro vero essere. Reciprocamente. Avanti al centro, contro gli opposti estremismi. Era un vecchio slogan democristiano, o era berlingueriano? ( non ricordo più!), ancora molto attuale: No, non moriremo democristiani! Moriremo tutti ... democratici. Magari a Nassiriya. O a Genova.

Body Bags
di Wu Ming 1

0. E che s'aspettavano? D'essere accolti a Refosco e polenta? Ce n'est qu'un debut.
1. I "nostri" soldati"? I "nostri" carabinieri? I *loro* carabinieri ce li ricordiamo molto bene in via Tolemaide, a Genova. Dei *loro* soldati ricordiamo le torture in Somalia, la morte di Emanuele Scieri e lo "zibaldone" del generale Enrico Celentano.
2. I *loro* soldati sono in Iraq per difendere gli yacht e le Ferrari dei petrolieri, il cancro ai polmoni, il caldo da schiattare e, non ultimo, il crocifisso sul muro della scuola. Nobili cause per le quali paghiamo le tasse.
3. I *loro* soldati continueranno a morire anche quando torneranno a casa. Quelli utilizzati in Kosovo stanno morendo come mosche. Zirconio e altri metalli pesanti nel loro sangue. I proiettili a uranio impoverito che la commissione Mandelli aveva giudicato innocui, e che in Iraq erano pioggia quotidiana. Non c'è da attendersi che questi morituri si ribellino, sono programmati per obbedire. Comunque salutant. Bye bye.

Bologna, Novembre 12, 2003

un altro genere di canzone



Sarò la tua Rosa di San Antonio

Se suonano un'altra canzone d'amore
E se quella pubblicità della birra miller che rende felici rimane accesa
E se tu continui a riempirmi di whiskey il bicchiere
Ti sussurrerò parole che vorrei dire a lui.

Chiedimi solo di ballare tutti i lenti
Tienimi vicina e portami attraverso la pista da ballo
Io appoggerò piano la mia testa sulla tua spalla
E farò finta di credere che prima di ora non mi è mai successo niente di tutto questo.

Non voglio ascoltare una triste storia
Sappiamo già entrambi come va a finire
Ma se tu, stanotte, sarai il mio bel straniero tenebroso
Io sarò la tua Rosa di San Antonio.

Bene, potrei dirti che ti amo
Vorrei che lui non fosse sempre nella mia mente
Se ci fossero treni veloci per il texas
Oh, lo prenderei e lo prenderei; come lo prenderei!

Non voglio ascoltare una triste storia
Sappiamo già entrambi come va a finire
Ma se tu, stanotte, sarai il mio bel straniero tenebroso
Io sarò la tua Rosa di San Antonio.

Io sarò la tua Rosa di San Antonio.

mercoledì 6 dicembre 2006

domande



Dici: a noi va male.
Il buio cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi più potente che mai.
Sembra che gli siano cresciute le forze.
Ha preso una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può mentire.
Siamo sempre di meno.
Le nostre parole d'ordine sono confuse.
Una parte delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è ora falso di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto?
Su chi contiamo ancora?
Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprender più nessuno e da nessuno compresi?

O dobbiamo sperare soltanto
in un colpo di fortuna?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua

Bertolt Brecht

martedì 5 dicembre 2006

tifoserie



Ci si può permettere di tutto nel "regno della democrazia" (no, non è un ossimoro)! Perfino una collana politica, intitolata "le radici del presente", varata della Sperling & Kupfer e diretta da Luca Telese (sì, proprio quello dei "cuori neri"!). Una collana per scrutare il passato, alla ricerca delle radici del presente, e sancire che gli anni sessanta e settanta sono stati una sorta di "guerra fra opposte tifoserie" (nessuna lotta di classe, non lo sapevate?). A dargli man forte, interviene Aldo Cazzullo (troppo facile ironizzare sul suo cognome!) che ci (ri)scrive una bella "storia critica di Lotta continua", ad uso e consumo della conferma di tale paradigma. "I ragazzi volevano fare la rivoluzione" - guarda un po' - e invece hanno finito per sposare la "democrazia", come un'ovvietà che non ha più bisogno di essere spiegata. Così la democrazia avrebbe vinto: quello che è, e rimane, un "dispositivo di governo" è riuscito a fare identificare le pratiche di lotta della classe operaia con la pratica politica e, a sua volta, la pratica politica con la pratica parlamentare. Fino a ridurre il tutto ad un mero problema di ... amministrazione.
Così, alla fine, i Telese e i Cazzullo, insieme a politici e giornalisti, coadiuvati dai "rivoluzionari in disarmo", possono venire a riscrivere la storia, per raccontarci che in fondo eravamo solo ... tifoserie.

lunedì 4 dicembre 2006

brindisi



Uno a Victor Jara (nella foto), e l'altro alla faccia del porco macellaio che sta morendo, a Santiago, in Cile. Sì, lo so che è ancora vivo, ma io comincio a brindare lo stesso!

orfani



"Quando ero piccolo" - ha dichiarato Tom Waits - "pensavo che gli autori di canzoni si sedessero al pianoforte, in qualche piccola e fumosa stanza con una bottiglia e un posacenere, ed ogni cosa sarebbe arrivata, come da un soffio dalla finestra, e ne sarebbe uscita dal piano in forma di canzone."
"...Ed in qualche modo, questo è esattamente quel che succede." - si è subito premurato di aggiungere.
E come non credergli, ascoltando le 54 canzoni che, a vario titolo, fanno parte del suo ultimo triplo CD appena uscito?
Orphans è una sorta di miracolo, sgangherato e prodigioso. Non ci sono parole. E' Tom Waits!

venerdì 1 dicembre 2006

scritture



"Scrivere è semplice ... come aprirsi una vena."

Il filosofo e critico tedesco Walter Benjamin aveva concepito un libro, costituito solamente di citazioni di altri autori.

Nel Dicembre 1957, Guy-Ernest Debord ... pubblica un libro, cui ha dato il titolo di "Memorie". Ma non lo ha scritto, ha solo ritagliato pezzi di paragrafi, aforismi, frasi, a volte singole parole, traendoli da libri, riviste, e giornali. Da subito, il libro era apparso come una metafora ricercata e preziosa. Infatti, raccontava una storia molto particolare, e per di più recava in sé la dichiarazione solenne che quella fosse l'unica storia che valesse la pena raccontare.

giovedì 30 novembre 2006

cinema



Encomiabile questa lista! Mancano dei personaggi, sicuramente. Uno per tutti il Charlie Warrick di Matthau, e come Giudice Roy Been, avrei visto meglio il Paul Newman de "L'uomo dei 7 capestri". Per non parlare del Pike Bishop (William Holden) del Mucchio Selvaggio, o del Lee Marvin de L'imperatore del Nord (vedi foto). Ma pensandoci me ne verrebbero centinaia di altri in mente, a cominciare dallo Spencer Tracy di Giorno Maledetto e per non finire col Tuco (Eli Wallach) de "Il buono, il brutto e il cattivo"....
Altri non li avrei messi per niente, ed avrei limitato ad uno, il numero di personaggi "citabili" per film! Di modo che si potessero incontrare, fra loro, solo personaggi di film diversi. In omaggio a quella "rivoluzione che preveda la realizzazione terrestre del cinema americano", per dirla con Manchette. Che, ovviamente, americano non era.

I 100 personaggi nei film (da http://hollywood.weblog.com)

1º- George Bailey (James Stewart) - La vita è meravigliosa
2º- C.C. Bud Baxter (Jack Lemmon) - L'appartamento
3º- T.E. Lawrence (Peter O´Toole) - Lawrence d'Arabia
4º- Rick Blaine (Humphrey Bogart) - Casablanca
5º - Daphne/Jerry (JacK Lemmon) - A qualcuno piace clado
6º- Dr. Huckenbush (Grouxo Marx) - Un giorno alle corse
7º- Stumpy (Walter Brennan) - Rio Bravo
8º- Vito Corleone (Marlon Brando) - Il padrino
9º - Madeleine (Kim Novak) - L donna che visse due volte
10º- Charlot (Charlie Chaplin) - Tempi moderni
11º - James Bond (Sean Connery) - Goldfinger
12º- Ethan Edwards (John Wayne) - Sentieri Selvaggi
13º- Forrest Gump (Tom Hanks) - Forrest Gump
14º- Scarlett O´Hara (Vivien Leigh) - Via col vento
15º- Michael Dorsey/Dorothy Michaels (Dustin Hoffman) - Tootsie
16º- Big Daddy (Burl Ives) - La gatta sul tetto che scotta
17º- Jefferson Smith (James Stewart) - Mr. Smith va a Washington
18º- Margo Channing (Bette Davies) - Eva contro Eva
19º- Judge Roy Bean (Walter Brennan) - L'uomo del West
20º- Norma Desmond (Gloria Swanson) - Viale del tramonto
21º- Dr. Strangelove (Peter Sellers) - Il dottor Stranamore
22º- Luke (Paul Newman) - Nick mano fredda
23º- Hank Quinlan (Orson Wells) - L'infernale Quinlan
24º- Ellen Berent (Gene Tierney) - Femmina folle
25º- Rever. Harry Powel (Robert Mitchum) - La morte corre sul fiume
26º- Terry Malloy (Marlon Brando) - Fronte del Porto
27º- Dixon Steele (Humphrey Bogart) - Il diritto di uccidere
28º- Mrs Venable (Khaterine Hepburn) - Improvvisamente l'estate scorsa
29º- Willie Gingrich (Walter Matthau) - Non per soldi ma per denaro
30º- Ginny Morheed (Shirley McLaine) - Qualcuno verrà
31º- Sir Wilfried Robarts (Charles Laughton) - Testimone d'accusa
32º- Venezia (Joan Crawford) - Johnny Guitar
33º- Marshall Will Kane (Gary Cooper) - Mezzogiorno di fuoco
34º- Martha (Elizabeth Taylor) - Chi ha paura di Virginia Wolf
35º- Fred C. Dobbs (Humphrey Bogart) - Il tesoro della Sierra Madre
36º- Don Fabirizio Salina (Burt Lancaster) - Il Gattopardo
37º - Inspector Closeau (Peter Sellers) - La pantera rosa
38º- Col. Nathan R. Jessup (Jack Nicholson) - Codice d'onore
39º- Charles Foster Kane (Orson Wells) - Quarto Potere
40º-Monsieur Verdoux (Charles Chaplin) - Mounsieur Verdoux
41º-Eliza Doolitle (Audrey Hepburn) - My Fair Lady
42º-Alonzo Harris (Denzel Washington) - Training Day
43º-The Dude (Jeff Bridges) - Il grande Lebowski
44º-Hannibal Lecter (Antonhy Hopkins) - Il silenzio degli innocenti
45º-Frank (Henry Fonda) - C'era una volta il west
46º-Alice Hyat (Ellen Burnstyn) - Alice non abita più qui
47º-Michael Lightcape (Ronald Colman) - Un evaso ha bussato alla mia porta
48º-Jim Stark (James Dean) - Gioventù bruciata
49º-Christine Vole (Marlene Deitrich) - Testimone d'accusa
50º-Lenny Bruce (Dustin Hoffman) - Lenny
51º-Mustache (Lou Jacobi) - Irma la dolce
52º-John “Scootie” Fergusson (James Stewart) -La donna che visse due volte
53º-Ella Garth (Jo van Fleet) - Fango sulle stelle
54º- Cap. Jack Sparrow (Johnny Depp) - I pirati dei Caraibi
55º-Ma Joad (Jane Darwell) - Furore
56º-Stanley Kowalski (Marlon Brando) - Un tram che si chiama desiderio
57º-Cyrano de Bergerac (Gerard Depardieu) - Cyrano de Bergerac
58º-Alfie (Michael Caine) - Alfie
59º-Archie Leach (John Cleese) - Un pesce di nome Wanda
60º-Roger Thornhill (Cary Grant) - Intrigo Internazionale
61º-Tracy Lord (Khatarine Hepburn) - Scandaloa Filadelfia
62º-Luc Tessyer (Kevin Kline) - French Kiss
63º-Lilith (Jean Seberg) - Lilith, la dea dell'amore
64º-Jezebel (Bette Davis) - Jezebel
65º-Robert Stroud (Burt Lancaster) - L'uomo di Alcatraz
66º-Rose Sayer (Khaterine Hepburn) - La regina d'Africa
67º-Elliot Templetton (Clifton Webb) - Il filo del rasoio
68º-Frank Slade (Al Pacino) - Profumo di donna
69º-Joseph Tura (Jack Benny) - Vogliamo vivere
70º-Ernie Mott (Cary Grant) - Il ribelle
71º-Trabuco (Walter Matthau) - Buddy Buddy
72º-Pearl Chavez (Jennifer Jones) - Duello al sole
73º-Phyliss Deitrichson (Edward G. Robinson) - La fiamma del peccato
74º-Brutus (James Mason) - JGiulio Cesare
75º-William Cutting (Daniel Day-Lewis) - Gangs of New York
76º-Beverly Mantle/Elliot Mantle (Jeremy Irons) - Inseparabili
77º-Edward Schissorhands (Jonhy Depp) - Edward mani di forbici
78º-Maximus (Russel Crowe) - IL Gladiatore
79º-Stanley Mots (Dustin Hoffman) - Sesso & Potere
80º-Edward Crane (Billy Bob Thornton) - L'uomo che non c'era
81º-Elmer Gantry (Burt Lancaster) - Il figlio di Giuda
82º-Samwise Gamgee (Sean Astin) - Il signore degli anelli
83º- Darth Vader (James Earl Jones) - Guerre Stellari
84º-Pina (Anna Magnani) - Roma, Cittá Aperta
85º-Don Corrado Prizzi (William Hickey) - L'onore dei Prizzi
86º- Emperor Nero (Peter Ustinov) - Quo Vadis
87º-Mary Hatch (Donna Reed) - La vita è meravigliosa
88º-Leonard Zelig (Woody Allen) - Zelig
89º-The Old Men (Spencer Tracy) - Il vecchio e il mare
90º-Guido Orefice (Roberto Benigni) - La Vita é Bella
91º-Liberty Valence (Lee Marvin) - L'uomo che uccise Liberty Valance
92º-Sam Dawson (Sean Penn) - Mi chiamo Sam
93º-Ellis “Red” Redding (Morgan Freeman) - Le ali della Libertà
94º-David Dobel (Woody Allen) - Anything Else
95º-Captain Ahab (Gregory Peck) - Moby Dick
96º-Paula Asquit (Ingrid Bergman) - Angoscia
97º-Harry (Art Carney) - Harry and Tonto
98º-Vincent Vega (John Travolta) - Pulp Fiction
99º-Dian Fossey (Sigourney Weaver) - Gorillas inella nebbia
100º-The Girl (Marilyn Monroe) - Quando la moglie è in vacanza

mercoledì 29 novembre 2006

solo un hobo...



A 89 anni, Maurice Graham è morto. Ne aveva 14, di anni, quando incominciò a scroccare passaggi sui treni. Lo chiamavano "Steam Train Maury", Treno A Vapore Mauri. Era conosciuto come il re degli Hobo, e con ogni probabilità era l'ultimo della sua specie. Nel 1990, aveva anche scritto un libro, Tales of Iron Road: My life as King of the Hobos", dove raccontava le sue esperienze sui treni e negli accampamenti degli hobo, fino al 1980.

Only a hobo, but one more is gone
Leavin' nobody to sing his sad song
Leavin' nobody to carry him home
Only a hobo, but one more is gone

Bob Dylan - Only a Hobo

martedì 28 novembre 2006

insuscettibile di ravvedimento!



Alfonso, l'ho conosciuto nel 1970, durante una delle sue rare visite a Siracusa, dove entrambi eravamo nati. Di Failla, ne avevo sentito parlare fin da bambino. In casa e fuori. Il migliore amico di mio padre era il fratello di Alfonso, di qualche anno più giovane di lui.
Era una sorta di mito, Alfonso Failla a Siracusa. Tutti quelli che avevano l'età per farlo, si ricordavano di come nel 1925 Siracusa aveva subito l'assedio di alcune migliaia di militi fascisti che, nell'attesa di imbarcarsi per la Libia, venivano utilizzati contro il movimento operaio ed antifascista. Il gruppo di Failla, insieme ad altri, a mano armata, aveva inflitto gravi perdite ai fascisti, trascinando la popolazione, con in prima linea i lavoratori portuali, ad un insurrezione di massa contro i mercenari in camicia nera. In seguito a questa sollevazione il governo sospese l'imbarco dei militi fascisti dal porto di Siracusa che vennero convogliati nel porto di Napoli, per parecchio tempo.
Era un mito - dicevo - Alfonso Failla. Positivo per gli uni, negativo per altri. Una sorta di simbolo di rivolta indomita. Eppure l'aveva lasciata relativamente presto, Siracusa. Già nel 1949, dopo il suo breve ritorno, all'indomani della liberazione, e dopo essere stato eletto segretario della camera del lavoro - ed aver rifiutato l'incarico, datogli all'unanimità, per non dividere il movimento operaio! L'aveva lasciata per Roma, dapprima, e per Carrara, dopo. Ed a Carrara è morto nel gennaio 1986.
In una delle sue rare visite - l'ultima credo - lo andai a trovare ad Ortigia. Credo sia stato, quello, uno dei momenti che ha dato alla mia vita una direzione, piuttosto che un'altra. Ne venivo fuori, da quell'incontro, con un ricordo indelebile e con un indirizzo in tasca, cui rivolgermi quando sarei arrivato a Firenze, città in cui mi apprestavo ad andare a vivere. Dopo, l'ho incontrato ancora, e più volte. Sempre parco, quasi schivo, nel raccontare episodi della sua vita; qualcuno lo custodisco gelosamente. Su un libro di Lacan, anni dopo, avrei trovato scritto, in un linguaggio più o meno comprensibile, quello che da lui avevo appreso con semplicità. Come il fascismo - quel fascismo che tanta parte aveva avuto nella sua vita, marchiandolo a fuoco - non fosse "mancanza della libertà di parola", bensì "costringere a dire". Me lo illustrò aneddoticamente, raccontandomi di come una volta lo avesse insegnato ad un caporione fascista, facendogli gridare, coltello alla gola, "viva l'anarchia". Aveva il suo senso dell'umorismo. Anche per questo sorrideva parlando di Pajetta, cui non mancava il senso dell'umorismo, e lo paragonava fra sé e sé a tanti anarchici "barbosi" con cui aveva a che fare. Un altro ricordo, quello che attiene al più bel complimento che il "me" ragazzo ha ricevuto, quello lo tengo per me solo.

lunedì 27 novembre 2006

gucciniana...un po' contaminata



Adesso che i manifesti per strada, che annunciano il prossimo concerto di Guccini, non sono più gli stessi di sempre, adesso si è liberi di tornare ai tempi di via paolofabbri43, ai manifesti di un tizio con la barba, appesi sui muri di Firenze, in via Nazionale all'angolo con via Guelfa.
I manifesti! Allora i manifesti non erano affatto "visi di carta che non dicono nulla...". Erano voce sui muri. Erano festa. Erano confronto. Erano sudore e colla, e dita intirizzite in attesa di scaldarsi nei primi bar dell'alba. Erano sogni e speranze. E, in mezzo ad essi, anche quella faccia ci stava bene!
Millonevocentosettantacinque, Firenze fra via Guelfa e via Nazionale. Migliaia di "locomotive", per la strada, a cercare di scagliarsi contro l'ingiustizia. I tempi erano quelli! E "l'avvelenata" faceva molto più effetto, dentro le nostre orecchie, di "canzone quasi d'amore". Eravamo più disponibili a considerare le cose che venivano dette su di noi, anche se spiacevoli. Non mi è mai piaciuta, "l'avvelenata"! Falsa e costruita. Sempre tale, l'ho considerata! Per "canzone quasi d'amore", invece, avevo ancora bisogno di tempo. E di strada! Dovevo arrivare fino a ...."fra la via emilia e il west", per accorgermene. Dovevo arrivare ad un periodo in cui, per la prima volta, avrei cominciato a volgermi indietro. Riconsiderando episodi e persone che avevo lasciato scivolare via, come "spiccioli infernali" da un buco nelle tasche. Cominciare a fare i conti, e tirare i cordoni delle borse. Non era più tempo di dissipare le parole. Ne avevamo scialacquate troppe! Rinunciare anch'io a cercare le "mie" parole che non trovavo. E per rinunciare, avrei prima dovuto cominciare a cercarle! Non era ancora tempo. Era una canzone che doveva "lievitare" dentro. O, forse, eravamo solo noi che dovevamo "crescere" per riuscire ad arrivare all'altezza della canzone......abbracciarla, una canzone!
Di quando ero bambino ricordo sempre un fumetto con Brick Bradford, "viaggio dentro in una moneta". Parlava di un viaggio nel microcosmo, all'interno degli atomi che componevano una moneta. Atomi che diventavano astri e pianeti da visitare. Ora mi chiedo come sarebbe un viaggio dentro una canzone. Cosa riusciremmo a trovarci? E tutto questo, più che a larghezze e altezze, sembrerebbe attenere a delle...profondità! Lo spazio profondo delle storie di Bonvi e Guccini, per l'appunto!
"Canzone quasi d'amore". Non riesco a vederla come canzone di "disamore". Mi dispongo ad essa come alla canzone di un "ripensamento", uno dei tanti che facciamo, quando ci ritroviamo ad indugiare col pensiero alle possibilità perdute, alle strade non imboccate. E lo facciamo spandendo a piene mani tutta una serie di "responsabilità"! Rimpiangendo, certo. Ma, forse, rimpiangendo anche l'esserci preclusi, allora, la possibilità di non rimpiangere, o di rimpiangere per davvero!
A mio avviso, "canzone quasi d'amore" parla dell'indugiare al "ripensamento" di una "storia" finita ma non morta. Una di quelle che continuiamo a portarci dentro. Una di quelle storie cui, in una sera un po' più strana delle altre, rivolgiamo il nostro pensiero. Ne tiriamo fuori il ricordo per raccontarCI che, forse, si potrebbero ancora trovare le parole per riuscire a dire quello che siamo stati incapaci di comunicare allora. Si arriva quasi al punto di sollevare la cornetta del telefono e comporre il numero. Ma poi ci figuriamo l'altra persona e le sue certezze e la sua vita. Facciamo un respiro profondo e ci disponiamo a riseppellire quella storia che non sapremo mai come avrebbe cambiato la nostra vita. Canzoni di disamore, invece; già! Quante ce ne sono? Io, per parte mia, ci metterei "invecchierai" e "sabato stelle" di Roberto Vecchioni e, forse, "giugno 73" di De André. Questo perché le canzoni di "disamore", a mio avviso, non si costruiscono sugli abbandoni. Niente abbandoni alle spalle. Né da una parte né dall'altra! Ma solo sfumata consapevolezza che qualcosa si è irrimediabilmente rotto, accompagnata da una consapevolezza, altrettanto sfumata, che non abbiamo fatto niente perchè la rottura non avvenisse. E le "canzoni" che continuiamo a "scrivere", insieme alle "pigioni"(che fa rima con "illusioni") che continuiamo a "pagare". Servono ad "assolverci", probabilmente. Fanno parte di quella "nausea di ricominciare" (si lo so che questa è un'altra canzone) che permette, ogni volta, di sopravvivere. Sopravvivere sapendo che "la noia di un altro non vale". E che la tua "noia" non vale per un altro!

Fingo d'aver capito
Che vivere e' incontrarsi
Aver sonno, appetito
Far dei figli, mangiare,
Bere, leggere, amare,
Grattarsi.

In questa strofa, riesco proprio a vedere la comprensione, accompagnata all'incapacità di trasmetterla (non vale la "comprensione" di un altro!). Non è il poeta, ad essere un "fingitore" (con buona pace di Pessoa), ma è l'uomo! E il fingere avviene all'interno di un gioco mortale dove ciascun altro sa benissimo come e quanto l'altro finga, e finge, a sua volta, di non saperlo! Si finge di non sentire dolore al fine di poter continuare a sentir(se)lo in santa pace!

siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri,
coglioni,

e, anche qui, credo che Guccini si riallacci al tema della "finzione". Il "per te" che precede depone a favore della non condivisione di questo punto di vista. Anche se alla fine si può fingere di condividerlo. C'è quello che si vorrebbe dire e c'è quello che gli altri vorrebbero sentirti dire.
E, per finire, c'è la solitudine. Sempre presente. Anche se, forse, non subìta. Bensì, quasi scelta. Quella solitudine per cui "non si è soli, se qualcuno ti ha lasciato. Si è soli se qualcuno non è mai venuto!"

venerdì 24 novembre 2006

qualcosa farò



Mimmo Locasciulli l'ho conosciuto alla “Cantina Mediterraneo”, a Frosinone. Un posto incredibile, sperduto in mezzo ad una distesa di capannoni industriali. Un posto surreale, popolato di cani. Non moltissimi, a dire il vero, ma ciascuno di essi con la loro buona dose di intelligenza e di dignità. Un amalgama sempre egregio, quando lo trovi. Quando riesci a trovarlo. Ci fanno buona musica e si mangia benissimo, spendendo un cazzo fra l'altro (anche se ancora non sono sicuro se l'economicità eccessiva, quasi impossibile, sia dovuta ad un trattamento di favore). Il posto è gestito (senza fini di lucro, sul serio) da belle persone, oltre ad essere miei buoni amici, ed è un locale talmente “giusto” che se fosse a Firenze ci andrei a mangiare tutte le sere. Locasciulli ci è venuto a suonare, praticamente gratis, dopo uno strano abbocco con il gestore cui era arrivata la voce che lo stesso Locasciulli avrebbe suonato solo alla cantina, a Frosinone!
Strano tipo Locasciulli! Per vivere fa il medico dietologo, a Roma. Fra i suoi pazienti c'è anche Veltroni, il sindaco. Quando ha cantato a Frosinone (Locasciulli, non Veltroni), si è un po' risentito per l'ambiente che non lo stava propriamente in religioso ascolto. Ad ogni modo sono belle, le sue canzoni. Qualcuna più delle altre. Qualcuna riesce a suonare alle orecchie come quella “verità” di cui altre volte ho parlato. Qualcosa che piacerebbe aver scritto (anche per chi come me è incapace di scrivere canzoni), così solo perché, in qualche modo, riesce a rappresentarti a dare voce al modo in cui ti senti. A volte.

QUALCOSA FARÒ
Testo e Musica di M. LOCASCIULLI

Io non ho pagine bianche da scrivere
Non ho qualcosa di nuovo da aggiungere
Tutto è già scritto e nessuno sa ancora cos'è
E non ho nuovi progetti da vendere
Logiche strane dottrine a cui credere
Cerco di tirare avanti di non buttarmi via

Ho incontrato anche l'amore
Ho conosciuto anche l'errore
E non ho mai capito che avevo bisogno di te

E adesso le strade alle spalle si allungano
Quelle davanti ai miei occhi si accorciano
Ma non ho paura e mi faccio coraggio da me

Faccio i conti col vivere
Ho ancora dei sogni da spendere
E non ho tempo da perdere
Ho fretta di fare qualcosa
Ho qualcosa da fare e qualcosa farò

Qualcosa farò sì qualcosa farò
Perché non sia mai presto e mai tardi
Qualcosa farò qualche cosa farò
Perché non sia perduto anche un attimo
Per sentirmi vivo qualcosa farò

E non sarà inutile
E non sarà niente che tu non sai già

Se ti farà piangere qualcun altro ti farà sorridere
Ma Dio solo sa quello che ho dentro
E perché sto correndo
E non posso fermarmi qualcosa farò

Qualche cosa farò sì qualcosa farò
Perché non sia mai prima e mai dopo

Qualcosa farò
Qualche cosa farò
Perché niente sia mai troppo lontano
Per essere libero qualcosa farò

Qualche cosa farò
Compagnera de toda mi vida
Ho qualcosa da fare e qualcosa farò
Perché non sia perduto anche un attimo
Qualcosa farò sì farò
Perché niente sia mai troppo lontano
Per sentirmi vivo qualcosa farò

dia de los muertos



"Stamattina sono andato al funerale" disse Fazio
"C'era gente?"
"Dottore mio, tanta e con la solita botta d'emozione. Fimmine che sbinivano, fimmine che chiangivano, le ex compagne di scuola coi sciuri bianchi, il solito tiatro insomma, tant'è vero che quanno il tabbuto niscì dalla chiesa si misiro tutti a battiri le mano. Ma mi spiega pirchì battono le mano ai morti?"
"Forsi pirchì hanno fatto bene a moriri."
"Dottore, babbia?"
"No. Quann'è che si battono le mano? Quanno una cosa ti è piaciuta. A filo di logica, dovrebbe perciò significare: m'è piaciuto assai che ti si levato finalmente dai cabasisi."

- da "Andrea Camilleri - La vampa di Agosto - Sellerio 2006"

giovedì 23 novembre 2006

She finally spoke spanish to me



Una donna aiuta un bandito che si nasconde sulle colline sopra il Rio Grande...spietate parole di addio girano in cerchio nel ricordo, come avvoltoi...due ombre si congiungono con delicatezza in un sentiero, alla luce della luna...uno sparo echeggia in un vicolo...cani affamati si radunano in branco nella strada...su un aereo, in volo da Sonora, una donna bacia una foto sbiadita e dice addio al proprio amante...dopo tre anni, una donna pensa ancora la suo amore perduto nella notte...una ragazza, addormentatasi nel deserto, si risveglia ed assiste ad un funerale a mezzanotte...una stazione di servizio a Saltillo, una bottiglia infrange il parabrezza e una macchina parte sgommando nella notte...una ragazza fa un voto alla vergine di Guadalupe per un'ultima dose di droga...un fantasma infesta un corridoio buio, sul muro c'è scarabocchiato il suo nome...due amanti respirano la stessa aria, le loro ombre si fondono in una sola ombra, ma è solo un sogno...una donna canta una canzone d'amore accompagnandosi con la chitarra...cade una stella...Bianca De Leòn...

mercoledì 22 novembre 2006

buona notte Bob



"Ogni film è politico e ogni artista è responsabile verso l’intera società. "
- Robert Altman (1925 - 2006) -

mamma, dormo fuori!



Nel 1973, ricordo, facevo il servizio militare. In artiglieria. La caserma era la "Cavarzerani" di Udine. Proprio in quell'anno, continuo a ricordare, fu molto vicino a concretizzarsi un colpo di stato. Uno dei tanti che, in quel periodo "interessante", aleggiavano. A ripensarci, mi torna in mente l'atmosfera, e le facce. E mi torna in mente come, con una non piccola quota di avventurismo paranoico, avessimo deciso, alcune di quelle facce giuste ed io, qualora una delle tante sveglie notturne, e l'allarme, si fosse trasformato in qualcos'altro di più serio, di prendere letteralmente armi e bagagli (quegli stessi che lo stato ci aveva fornito gentilmente e premurosamente) ed oltrepassare, a bordo di uno dei tanti mezzi grigio-verde, il vicinissimo confine jugoslavo. Insomma, chiedere asilo!
Ora, l'altro giorno, mi è capitato di leggere su "Pulp", nell'ottima rubrica 'La teppa di Gutemberg' tenuta da Marco Philopat, di un libro che ha destato il mio interesse. "Mamma dormo fuori", di Ico Gattai. Racconta di tre ragazzi militanti nel Canzoniere Pisano - siamo negli anni settanta - che per eccesso di paranoia, riguardo a qualcosa di "troppo grosso" che ritengono di aver fatto, decidono di partire su un'utilitatia scassata per andare a chiedere asilo politico in Jugoslavia. Un libro sarcastico che quanto prima leggerò. Il 'perché' mi sembra ovvio!

due serate fiorentine



Giovedì 23 novembre ore 21 Ingresso € 5
SAN SALVI città aperta, Via di San Salvi, 12 Firenze
MASSIMILIANO LAROCCA E ANDREW HARDIN in CONCERTO
Massimiliano Larocca presenta un’anteprima del suo nuovo CD

Venerdì 24 novembre ore 21:30
libreria Melbook Store di Firenze (via de' Cerretani, 16r)
MASSIMILIANO LAROCCA E ANDREW HARDIN

martedì 21 novembre 2006

le bandiere dei nostri padri



E' cosa nota la passione che lega Clint Eastwood al pugilato, a cominciare dai suoi primi film, come "Filo da Torcere", per arrivare a "Million Dollar Baby"! Ed è forse proprio per questo che riesce a colpirti, ogni volta, con tecnica perfetta. Ti colpisce, come nel suo ultimo "Flags of Our Fathers", allo stomaco, al petto, alla testa. Di scena in scena. Scena dopo scena, in un gioco di continui rimandi. Un 'gioco di gambe', il suo. Così lo si potrebbe chiamare, sempre in omaggio all'analogia con la nobile arte.
I personaggi rimandano ad altri sé stessi, in altre situazioni, e rimandano ad altri personaggi in situazioni simili. E il tempo si piega, si annoda e si scioglie di nuovo. Una lunga ballata: non solo per l'indiano "pima", Ira Hayes, buono per salire su un palco, come eroe da sbandierare, ma non altrettanto buono per entrare e bere in uno dei tanti bar dove "non si servono gli indiani"; non solo per "Doc", eroe senza armi e con gli occhi pieni di incubi; ma per tutti quanti. I vivi e i morti. Fino alla scena sublime che chiude il film, e che riesce a portarci dove tutti si vorrebbe essere. Come tutti si dovrebbe essere. Lontano. Lontano da tutti i paesi infelici che hanno bisogno di eroi.



La ballata di Ira Hayes
di Peter LaFarge

Ira Hayes, Ira Hayes

[CORO:]
Chiamatelo pure Ira Hayes l'ubriacone
Tanto non vi risponderà più
Non vi risponderà né l'indiano che si sbronza di whiskey
né il marine che andò in guerra.

Venite intorno a me, gente, c'è una storia che vorrei raccontarvu
Parla di un giovane indiano coraggioso che dovreste ricordare bene
Egli veniva dalla terra degli Indiani Pima
Una fiera e nobile tribù
che coltivava la Phoenix Valley in Arizona

Per centinaia d'anni, attraverso i canali,
l'acqua aveva cresciuto i raccolti del popolo di Ira
Fino a quando l'uomo bianco non rubò i diritti sull'acqua
e l'acqua spumeggiante venne fermata.

Ora il popolo di Ira pativa la fame
e i loro campi erano infestati dalle erbacce
Quando scoppiò la guerra, Ira partì volontario
E dimenticò l'avidità dell'uomo bianco.

[CORO]

Laggiù combatterono fino a prendere la collina di Iwo Jima
Duecentocinquanta uomini
Ma solo ventisette rimasero vivi per poterla ridiscendere.

E quando la battaglia finì
E venne alzata la bandiera
Fra coloro che l'alzarono
C'era l'indiano Ira Hayes

[CORO]

Ira ritornò come un eroe
Venne celebrato in tutti gli stati
Banchetti in suo onore, e discorsi
Tutti gli stringevano la mano.

Ma egli era solo un indiano Pima
Senz'acqua, senza terra, senza fortuna
A casa nessuno si curava di quel che aveva fatto
e di quando gli indiani avevano ballato.

Allora Ira cominciò a bere forte
La prigione era sempre più spesso la sua casa
E in prigione gli facevano alzare e ammainare la bandiera
giusto come gettare l'osso ad un cane.

Morì ubriaco, una mattina
Completamente solo nel paese per la cui salvezza aveva combattuto
Una pozzanghera con due pollici d'acqua
fu la tomba di Ira Hayes.

[CORO]

Sì, chiamatelo pure Ira Hayes ubriacone
Ma la sua terra è ancora secca
E il suo fantasma giace assetato
dentro la fossa dove Ira è morto.

un mucchio selvaggio



La serata al "circolo arci la casa 139" per il tributo a Townes Van Zandt ha mantenuto le sue promesse ed è andato oltre. I partecipanti tanti, e tutti giusti. Oltre a Bianca De Leòn, che avevo avuto già modo di gustare la sera prima sul palco ad Arcola, insieme ad Andrew Hardin, c'era di che competere con "Poet", il tributo ufficiale! Michael Weston King, Luca Dai con Milena, Troy Campbell, Keith Rose, Diona Davies, Andrea Franceschini, Stefano Barotti, Octoberman, Ralston Bowles, Max De Bernardi, Massimiliano Larocca, Sam Baker, NQ Arbuckle, Andrea Parodi, Dickie Lee Erwin, Carolyn Mark, Radoslav Lorkovich, Gurf Morlix, Jono Manson ed Andy White. Mancavano solamente, già annunciati ma assenti per problemi personali, i Del sangre (Luca Mirti e Marco "Schuster").
Una nota di merito all'organizzazione che ha fornito, via e-mail, dei permessi per "infrangere" il divieto di circolazione che vigeva a Milano fino alle otto di sera. Un presidio di vigili urbani, dopo aver letto il prezioso lascia-passare, ci ha fornito tutte le indicazioni per arrivare in via Ripamonti, non senza fregiarci, da parte del comandante, del saluto. Mano portata alla visiera!

giovedì 16 novembre 2006

vite e morti

Di fronte alla morte, o al suo simulacro, si risponde sempre con uno scatto di vita, quasi un moto di orgoglio. E la vita, per quanto breve o lunga, è sempre vita.
Con la vita abbiamo confidenza, oramai. Non ci intimorisce più di tanto.
Siamo avvezzi alla vita. Ma la morte.....
La morte è sempre quell'immaginazione che non è (ancora) diventata esperienza.
E ciascuno ha la sua, di morte. E con quella fa i conti.
La mia? la mia morte è una giovane ragazza, che non si lascia coinvolgere più di tanto dai suoi "clienti". Distaccata il giusto. Quel distacco di cui si necessita, al fine di poter svolgere serenamente "certe professioni"!
Senza doversi svegliare, di soprassalto, la notte.


Oggi, la morte mi sta davanti
Come la guarigione sta davanti ad un malato
Come uscire in giardino dopo una malattia

Oggi, la morte mi sta davanti
Come l'odore della mirra
Come essere seduti sotto una vela col vento a favore

Oggi, la morte mi sta davanti
Come il corso di un fiume
Come il ritorno a casa, dalla prigionia in guerra

Oggi, la morte mi sta davanti
Come la casa cui un uomo brama di tornare
Dopo anni ed anni spesi in prigionia.

NEIL GAIMAN

sei parole



Ernest Hemingway una volta scrisse un racconto in sei parole: "vendesi scarpe da bambino, mai usate", e pare anche che dichiarò di considerarlo la sua opera migliore. Su questa idea la rivista americana Wired ha chiesto a trentatré scrittori, sceneggiatori, registi e attori di cimentarsi in questo particolare genere letterario. Una sola regola: il racconto deve essere lungo sei parole, non una di più, non una di meno. Punteggiatura quanto basta.
Una scelta dei racconti è stata pubblicata sulla rivista. Ne erano avanzati cinquantanove, ma sono ora disponibili sul web, insieme agli altri.
Fra i partecipanti, scrittori come Charles Stross ("Internet prende coscienza? Ridico-— connessione interrotta") e David Brin ("Dinosauri sono tornati. Vogliono indietro petrolio"), che ne ha scritti addirittura una decina! Ma anche attori come William Shatner ("Test fallito, università sfumata, inventato razzo") o produttori come Ron Moore ("Cantina? Porta per... ehm inferno, temo") o Joss Whedon ("Abito tolto delicatamente. La testa meno").
L'effetto a volte è affascinante. Come nel microracconto di Neil Stephenson, che scrive "Tic Tac Tic Tac Tic Tic". Oppure Rudy Rucker, con "Il pene si stacca; è incinto!", o ancora Charles Stross, con "Osama viaggia tempo. Presidente Gore preoccupato".
Per leggere tutti i racconti di Wired l'indirizzo è: wired.com/wired/archive/14.11/sixwords.html.
(fonte: www.fantascienza.com)

e domenica, a Milano ...

mercoledì 15 novembre 2006

vous, les poetes



Un vol de corbeaux dans le ciel
Georges Brassens et Jacques Brel
Une femme nue dans un lit
Georges Brassens et Moustaki.
Cuivre a toujours ses vingt cinq ans
Georges Brassens et Boris Vian.
L'aigle noir ne reviendra pas,
Mais on se souviendra de Barbara,
On se souviendra du club des poètes,
Des idoles passées, des chanteurs, des starlettes.
Ils nous ont confié leurs pensées
Georges Brassens et Léo Ferré
Nous ont parlé, nous ont souri
Georges Brassens et Reggiani.
Chloé est morte de la fleur du temps
Georges Brassens et Boris Vian.
Jean Ferrat et le Potemkine,
Tous ces gens que l'on assassine,
Toutes ces idées que l'on tue
Bientôt n'existeront plus...

riprendiamoci di nuovo la giacca...



Sabato, 18 Novembre, al "Pegaso" , ad Arcola (La Spezia) Via Aurelia Nord 92, sembra che suonino e cantino Massimiliano Larocca, Andrew Hardin e Bianca DeLeon.
Credo proprio che ci andrò!

martedì 14 novembre 2006

la gente della pioggia



C'è un bel film di Francis Coppola (quando ancora si faceva chiamare "Ford").
"Non torno a casa stasera" ("The rain people").
Nel film, viene pronunciata la seguente frase, da uno dei personaggi incontrati dalla protagonista:

"La gente della pioggia è fatta di pioggia, cosicchè, quando piange, sparisce".

lunedì 13 novembre 2006

la verità



"Mai avuto problemi con la droga, io!
Ho avuto problemi con la polizia."

- Keith Richards -

Jack Palance

Vladimir Palahnuik
1919 (forse 1918) - 2006



"La Rivoluzione è come una grande storia d'amore.
Quando comincia, lei è una dea. Una causa pura.
Ma ogni storia d'amore ha un nemico terribile. Il tempo.
Così cominciamo a vederla com'è realmente.
La Rivoluzione non è una dea, ma una puttana.
Non è mai stata pura, né santa, né perfetta.
Così scappiamo via.
Ci troviamo un altro amore, un'altra causa.
Piccole, sordide storie.
Desiderio, senza amore.
Passione, senza compassione.
Senza amore...senza una causa, non siamo niente.
Restiamo perché ci crediamo.
Ce ne andiamo perché siamo delusi.
Ritorniamo quando siamo perduti.
Moriamo perché siamo coinvolti."

(da "I professionisti" di Richard Brooks - 1966)

venerdì 10 novembre 2006

Thapsos!



Thapsos è una ex isola a nord di siracusa, nella zona industriale. Ex, nel senso che ora è unita al resto della Sicilia da una lingua di terra. La chiamano "penisola di Magnisi", infatti, adesso. E non più "isola". E' stata sede di una delle più antiche civiltà pre-elleniche della Sicilia. Ora giace in mezzo a cemento, acciaio e petrolio. Schiaffeggiata dai miasmi della montedison ed ingrigita dai fumi delle ciminiere.

"Thapsos è un altrove dell'anima.Legata ad un sottilissimo filoviaggia da millenni nel Mediterraneo,per rotte misteriose,insegnando antiche memorie,in cerca di futuri approdi sicuri".
Così sulle note di copertina di un cd, non più tanto nuovo, dallo stesso nome. Thapsos. Un disco di Riccardo Tesi e la banditaliana (edizioni musicali il manifesto).
Un disco che è, a dir poco un capolavoro.
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THAPSOS
( di Riccardo Tesi - Carlo Muratori)

Sale su, dal profondo
E il ricordo che mi assale è un brivido
Dove sei, mi confondo
Un sentiero vedo e un velo candido

Ritorna solo ciò che può
Quel che vale prima o poi quel che merita
Riluce un labbro su di me
Su un tramonto a Thapsos
Che ci insanguina

Donde estas Maria
Bianche pietre ora schiacciano l'edera
Donde estas Maria, donde stas
Donde estas Maria
Le ringhiere invase da buganville
Donde esta Maria, donde estas

Batterò pietre e mandorle
Fino a sera questa sera sognerò

Ritorna quando lo vorrai
Quel tramonto resta qua
Abita a Thapsos
Rimane muto senza te
Anche il canto del mio mare
Che ci tumula

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giovedì 9 novembre 2006

The Heart of the Appaloosa



Suggestioni. Spesso muovono la vita, come il vento scuote le foglie. E le cose tornano alla mente, quasi per caso. Un film che non pensavo mai di vedere (preclusioni infondate!) passa in televisione. Non ho niente da fare, e rimango a guardarlo fino alla fine. "Oceano di fuoco: Hidalgo". Questo il titolo. Una storia assai improbabile, fra le colline di Wounded Knee e il deserto arabico. Ma c'è un cavallo di mezzo. Loro lo chiamano "mustang" (che poi il termine identifica solo il "cavallo selvaggio"), ma il cavallo è un Appaloosa. Così mi è tornata alla mente una canzone. Sugli indiani, e i loro cavalli. E mi è tornato alla mente un cantautore. Fred Small.
Salutato da Pete Seeger come uno dei migliori d'America. Ha fatto solo un pugno di dischi in quasi trent'anni (la prima canzone, a dire il vero, è del 1974). Quattro o cinque, credo. Forse sei. The Heart of Appaloosa, l'album, il secondo che ha fatto, è del 1983, ed è con ogni probabilità il suo disco migliore. Contiene un buon numero di canzoni che non è azzardato definire "bellissime". The Heart of Appaloosa, la canzone, è stata inserita nel "All-Time Bluegrass Hit Parade". Che non vuol dire un cazzo, lo so, ma tant'è!
Ah, adesso Fred Small fa il predicatore per una specie di "Chiesa Unitaria Universalista". Però continua a suonare e a cantare. Anzi, include nelle sue prediche le proprie canzoni. Considerando che prima faceva l'avvocato e che, nel 1980, lasciò il suo posto nello staff della "Conservation Law Foundation" per fare il musicista a tempo pieno...




Il Cuore degli Appaloosa
di Fred Small

Dalla terra delle acque tonanti alle vette del "Cuore di Alene"
Le bacche che crescono nella foresta, le alci che pascolano nella pianura
Il Popolo del Coyote si stabilì lungo i fiumi
della verde Valle Wallowa prima che ci fosse un nome per gli steccati.

Ed essi allevarono una specie di cavalli, il tesoro della tribù
Chi potrebbe danzare sulle punte sopra un precipizio o galoppare su per il fianco della montagna
Chi potrebbe portare la selvaggina cacciata, sfuggire alla carica cieca dei bisonti
Il cavallo dal mantello maculato nacque dotato di una velocità senza pari.

CORO:
Tuono-che-rotola-sulle-montagne
Condusse il Popolo attraverso il Great Divide*
C'è sangue sulla neve delle colline dell'Idaho
Ma il cuore degli Appaloosa non è mai morto.

Durante l'inverno arrivarono i "coronati"**, semicongelati dal freddo
Portavano armi da fuoco e binocoli ed un libro che salva l'anima
Il popolo li accolse e li nutrì finché non furono tornati in forze
E studiarono la carta parlante, per impararne i misteri.

All'ombra della missione sorsero fattorie e città abusive
La pianura venne rigata dagli steccati, la lama dell'aratro ferì il terreno
Nelle acque poco profonde del Clearwater, l'oro luccicava nel crivello
E da Washington arrivò l'ordine: togliete di mezzo gli indiani.

CORO

Il capo parlò al Popolo con tutta la sua rabbia e la sua paura
"Non sono più Capo Giuseppe. Il mio nome è Tuono-che-rotola.
Ci condannano alla desolazione di una terra arida e sassosa
Noi combatteremo se dobbiamo, ma troveremo un'altra casa."

Fuggirono nel Bitterroot, un esercito alle loro calcagna
Combatterono a White Bird Canyon, combatterono a Misery Hill
finché il colonnello non capì la loro strategia e diede l'ordine
di uccidere tutti i cavalli Appaloosa donvuque venissero trovati.

CORO

Si ritirarono per milleduecento miglia, oltrepassando il Divide per tre volte
La loro unica salvezza, i loro unici alleati, i cavalli
Trecento Appaloosa morirono con la tribù
Le persone ed i cavalli morirono fianco a fianco.

Tuono-che-rotola-sulle-montagne disse, "il mio cuore è stanco e triste.
I nostri bambini sono al gelo. I vecchi sono morti.
La fame ha minato il nostro spirito. Le nostre ferite sono profonde e doloranti.
Da questo momento non combatterò più."

CORO

Vennero portati in Oklahoma, decimati dalla malaria
Ma i più morirono di crepacuore, lontani dalla terra che li aveva fatti nascere
E l'uomo che una volta si era chiamato Giuseppe, prima di morire, disse
"Abbiamo abbandonato i nostri cavalli. Essi sono andati via."

Ma a volte senza preavviso, da una pigra mandria addomesticata,
si staccherà un cavallo chiazzato, meraviglioso
Forte e senza paura e agile, su una collina
aspetta di sentire il tuono, l'Appaloosa è ancora vivo.

CORO

note:
* Great Divide: Le montagne rocciose
** Crowned: una setta religiosa

mercoledì 8 novembre 2006

Wasted Days and Wasted Nights

Freddy Fender

(Baldemar Huerta)


1937-2006

Assenze e Tradimenti



Già. Perchè De Andrè non parla di Giuda ne "la buona novella"? Anche facendo a meno dell'apporto di Vecchioni, che in "Giuda". per l'appunto, canta - "...ma il primo a uccidersi, per farti re, è stato quello che non salverai". E poi aggiunge qualcosa tipo -"ti serviva un uomo da usare e gettar via, appeso ai vostri buoni 'così sia' ".
Bella figura tragica, Giuda! Uno dei nodi irrisolti del "verbo divino", insieme a Caino, per usare un eufemismo. Fortunatamente che ci viene in aiuto Prevert. L'autore delle "foglie morte" non può fare a meno di chiedersi, in una sua divertente poesia, come abbia fatto Giuda a tradire Cristo, indicandolo, con un bacio, a delle persone che, peraltro, lo conoscevano già benissimo. E tutto quel sapere in anticipo che l'avrebbe tradito... Depone a favore o contro il libero arbitrio? Rimane il fatto che Giuda, ne "la buona novella" non c'è. Non c'è il tradimento. E curiosamente la parola "tradimento" ha la stessa radice della parola "tradizione". Ed, infatti, entrambi i termini si riferiscono al "consegnare". Il latino "tradere" (trans più dare) cambia la "e" in "i" diventa "tradire" ed ecco che abbiamo Giuda che CONSEGNA Gesù. Fabrizio De André, ma non solo. Viene da pensare anche a Bob Dylan. Dylan e la tradizione (la canzone folk degli hobos, di woody guthrie), Dylan e il tradimento (quando si presentò ad un festival folk armato di chitarra elettrica, accolto con l'epiteto di Giuda a cui risponde testualmente dicendo - "sei un bugiardo, non ti credo!"). E il cerchio quasi si chiude. Il tradimento, come la tradizione, è solo .... una bugia. De André, dopo un brevissimo periodo "modugnesco", tradisce da quasi subito. Parte immediatamente da tutta una serie di "tradizioni" più o meno inventate. E le modella, rendendole altre. Tradendole. Solo successivamente arriva, con "Creuza de ma" alla "tradizione". Ma è una tradizione la cui "consegna" si consuma, anch'essa, all'ombra del tradimento. Anche tralasciando la questione se il dialetto sia "vero" o "inventato". La radice del suono è la stessa. Che sia musica popolare (quella delle proprie radici, della propria terra, cantata nel proprio idioma) o che sia musica etnica (la musica popolare degli altri). La melodia è propria dell'uomo. Lo ha dimostrato, in maniera eccellente, John Trudell, nel suo disco "Blue Indians", dove il blues afroamericano convive con i canti sacri dei sioux. E così, alla fine, i "tradimenti" creano nuove "tradizioni".

martedì 7 novembre 2006

vecchie canzoni, vecchie storie



"Quello che non ho è un treno arrugginito......"

E per una volta, il treno, come nella canzone di Paolo Conte, dovrebbe andare all'incontrario! Da Catania a Bergamo. Perchè, per la prima volta in vita mia, ho conosciuto un emigrante. Un emigrante inconsueto. Un camionista che ha lasciato la sua città natale (Bergamo, per l'appunto) per stabilirsi a Catania. L'ho conosciuto in un bar del porto. Era appena sceso dalla cabina del suo camion, dove gli faceva compagnia, sul sedile accanto, un enorme panda di peluche. Aveva appena finito di sganciare il container. Uno dei tanti container che lo attendono nei vari angoli della Sicilia, per essere portati sui moli del porto di Catania, in attesa di imbarco verso Ravenna. Abbiamo attaccato discorso, grazie alla mia gatta nella sua gabbietta. C'è complicità, di solito, fra le persone che amano i gatti. Parlava in perfetto siciliano, con degli strani intercalari. Era arrivato lì, trent'anni prima. Ci si era trovato bene. C'era rimasto. "Qui c'è lavoro". - la sua spiegazione.

" per fortuna che al braccio speciale c’è un uomo geniale che parla co’ mme "

Lo "zio Mimmo" l'ho conosciuto quest'estate, sulla nave che da Catania mi riportava a Ravenna, appena finite le ferie. Mi ha anche detto come si chiamava veramente. Ma non importa. La Sicilia e il sud, tutti i sud, sono fatti di tante cose. Una di queste cose sono gli "zio Mimmo". Essi si pongono come una sorta di compendio di un modo di essere, che è tanto siciliano, meridionale, quanto il fico d'india, quanto la granita di mandorle. Ti fa capire più uno "zio Mimmo", circa le dichiarazioni di Fabrizio De André a proposito della mafia (che tanto scandalo fecero, a suo tempo), e sulla "mafia" in generale, di qualsiasi cronaca letta sui giornali e di mille film girati sull'argomento. "Se ti serve qualcosa, fammelo sapere"! - Detto senza ammiccamenti. Pronunciato niente affatto col tono di chi richiede qualcosa in cambio. Una sorta di redistribuzione fatta a partire dalla simpatia, piuttosto che da un senso di giustizia. Un bisogno prepotente di essere riconosciuto come "potere buono". Ti lasciano perplesso gli "zio Mimmo", ti mandano il dolce e la bottiglia di whisky in cabina, praticano il potere senza l'arroganza, manifestano umana gratitudine a fronte dell'instaurarsi di una comunicazione.Ti danno da pensare.

- 5 Novembre 2000 -

lunedì 6 novembre 2006

No More Secrets



In italiano, erano "I signori della truffa", ma il titolo originale del film suonava come "Sneakers" (letteralmente "Spioni", qualcosa come "quelli che entrano ed escono dai posti, senza farsene accorgere"). La storia di un gruppo eterogeneo di persone alla ricerca di un decodificatore universale, il cui nome era anche il suo programma, che recava impresso nei proprii circuiti stampati: No More Secrets. Non più segreti! Etica e filosofia da Hackers! Da "Spioni", per l'appunto. Niente più banche dati criptate e/o inaccessibili ai moltissimi. Tutto quanto "pubblico" e alla luce del sole e accessibile a tutti. Niente più segreti. Niente più potere fondato sulla conoscenza dei segreti, da parte di pochi. Semplice, no? Semplice, come premere il pulsante di quel congegno, in "Fuga da Los Angeles". Come fa, alla fine del film, 'Snake Plissken'.

martedì 31 ottobre 2006

strade...



Strade. Strade cattive, strade meno cattive. Qualcuna buona, magari. Strade ovunque, strade che ci attraversano, strade da risalire o da discendere, a seconda della piega che ha preso la nostra vita quando ci volgiamo indietro per lanciare un'altra occhiata, a una di quelle strade.
Via della Maestranza, all'angolo con via Nizza da una parte, la Mastrarua dall'altra. Le strade dove sono nato, dove ho imparato a camminare, a cadere e a rialzarmi.
Via Genova, via Torino, via Milano, le strade(brutte, con brutti nomi) dove sono cresciuto, per quanto mi è stato possibile, e dove ho imparato a correre, circondato da improbabili campi di grano. senza accorgermi che stavo solo prendendo la rincorsa per spiccare il salto verso altre strade. Via del Leone e Via dell'Orto, Via del Ponte Rosso e Via Ghibellina. Quante strade a partire da quella "casa dello studente" in piazza Indipendenza. E anche altre strade, in altre città. Alcune anche dal nome esotico come Köpenicker Strasse.
Le strade. Le strade hanno una loro valenza che è diversa da quella, ad esempio, delle piazze. La piazza parla del collettivo, la strada dell'individuo. Scendere in piazza ha un significato ben diverso dallo scendere in strada. In piazza ci si scende in cento, in mille, in centomila, se occorre. In strada ciascuno ci scende per conto proprio. E certo che in piazza, per arrivarci, bisogna arrivarci dalle strade: ciascuno dalla propria! In strada, nel 1943, ci scendevano i gappisti, ciascuno da solo, nella notte, magari armati di un martello, di un cacciavite, per attaccare il nemico e impadronirsi di quelle armi che necessitavano loro. Le armi che servivano a percorrere la strada ed arrivare nelle piazze.
La strada è la "via del corno" di "cronache di poveri amanti" di Pratolini, tanto per restare a Firenze. Ma se dovessi parlare di una strada che, in qualche modo, le "sussume" (occazzo, ho scritto sussume!!!) tutte, allora parlerei di via de' Macci! Incastonata fra "Le Murate" e Piazza Santa Croce, a due passi da Borgo Allegri, reca in sé sempre più i connotati di un ricordo, perdendo sempre più quelli di strada. Ci dormivo in quella strada, fra pacchi di giornali e ciclostili, sempre sul punto di andare a dormire da qualche altra parte, ma sempre rimanendo lì, alla fine. Un posto così poco casa che ti spronava a vivere per strada! Un bar, di quelli che non esistono più, col bancone, e i tavoli cui sedersi, in marmo. Sgabelli a tre piedi, scomodi il giusto, per bersi un caffè e addentare un bombolone, strettamente necessari entrambi, alle prime luci dell'alba. Appollaiati a dare una scorsa alle "prime notizie" , con le mani ancora umide della colla per "attacchinare".
Non era difficile, a quei tempi, credere a questa canzone di Gaber:

"C'è solo la strada su cui puoi contare
La strada è l'unica salvezza
C'è solo la voglia, il coraggio di uscire
di esporsi per la strada, nella piazza.
Perchè il giudizio universale
Non passa per le case
In casa non si sentono le trombe
In casa ti allontani dalla vita
dalla lotta, dal dolore e dalle bombe"

lunedì 30 ottobre 2006

...cercando pace!



La vela

Una vela biancheggia, solitaria
nella nebbia azzurrina
Che cosa ha lasciato a casa?
Che cosa va cercando così lontano?

L'onda gioca con l'onda
il vento è impetuoso, e l’albero maestro scricchiola e geme
Non crede di andare verso la felicità,
e non è dalla felicità che proviene!

Sotto la chiglia, correnti più luminose del cielo
e da sopra i raggi del sole la scaldano e la confortano;
ma lei, ribelle, cerca la tempesta,
come se solo in essa ci fosse pace e quiete!


- Michail Jur’evic Lermontov -

quando solo il meglio sarà sufficiente...



Il cinema. Già. Che arma potente che hanno inventato, inventando il cinema! Tempo fa, da qualche parte ho letto una cosa che mi ha molto colpito. Riguarda Jean-Patrick Manchette, scrittore arrabbiato di noir. Francese, nato nel 1942 e morto nel 1995, applicava la regola di Deleuze, secondo cui "una società data si riflette nella propria polizia e nei propri crimini". Sovversivo, e non solo del testo letterario, autore di romanzi memorabili come "Nada", da cui venne tratto uno sfortunato film con Fabio Testi e Mariangela Melato. Manchette era anche un critico cinematografico. E nei suoi scritti dichiara di sognare "una rivoluzione che preveda la realizzazione terrestre del cinema americano", e il rifiuto di un cinema che non si ponga agli occhi dello spettatore come "macchina del desiderio".

venerdì 27 ottobre 2006

di pianoforti e di pianisti ...



dedicato a Federico

Durante le cariche della polizia nei giorni di marzo 1977, a Bologna, uno studente, Antonio Marino, suonava il pianoforte sulle barricate.

"Il cielo era nuvoloso a forma di fumo. Quella volta abbiamo fatto una barricata di strumenti musicali. Appartenevano ad un conservatorio. Trombe, clarini, contrabbassi, violini e tamburi, ma il più voluminoso era un meraviglioso pianoforte a coda. Imponente stava in mezzo alla barricata e sembrava, lui da solo il vero argine che avrebbe impedito che noi fossimo travolti dalla polizia che minacciosi se ne stavano dall'altra parte coi fucili puntati. Poi è partito un candelotto. Sassi. Fucilate. Pistole. Fucilate. I bossoli volavano sulle teste infuriate e allora mi è parso di sentire una musica. Da dove viene? Viene forse dai nostri gesti, dalla nostra rivolta. Si è vero. E' vicina questa musica. Questa musica è in noi. Più volavano i proiettili, più la musica cresceva, ritmica, imponente, meravigliosa. Era Antonio che suonava sul pianoforte a coda in mezzo alle barricate la musica che era in noi, e sulla schiena aveva un cartello con su scritto: NON SPARATE SUL PIANISTA".

[Mario Marino, Non sparate sul pianista, Pavia, Libro Libero, 1978, p. 26.]

Il pianoforte borghese.
trascinato sulla strada
fra due barricate
si trova stupito
a suonare note
più calde
più dolci.
Il mogano lucido
circondato dal fumo
sporco dei lacrimogeni.
Ed uno strano pianista
deposti i sampietrini
suona imprevedibile
la sua serenata.
Sul suo capo
sassi e cose passano.
E una voce allarmata
oltre la barricata
più in là 100 metri
" un pianoforte, attenti
può essere nocivo."
Sorridono i compagni e la tensione cala
l'aria si fa più dolce
sul segno lucente
si ammucchiano i pavè.
Il pianoforte borghese
accompagna gli scontri
e si sorprende
più giovane
in mezzo alla strada
guidato da un pianista
senza frac.

(poesia di un giovane del movimento, trasmessa anche su Radio Alice e inserita in: Bologna marzo 1977. . . fatti nostri)